I figli sono tutti a letto, anche i più grandi. Il tema della serata è «Obbligo o verità». La maggior parte di noi ha tentato di svicolare inventando occupazioni urgentissime, ma l’entusiasmo di Julien le ha immediatamente derubricate a occupazioni secondarie.
Dato che le temperature si sono fatte più dolci, ci siamo sistemati all’esterno, un po’ in disparte rispetto ai nostri camper. Il buio calerà tardissimo. Le ginocchia dei più freddolosi sono riparate dalle coperte, le candele bruciano e tutti i bicchieri, a parte quello di Marine, sono pieni di aquavit, l’acquavite locale. Mi dà alla testa anche solo annusarla.
Julien gira la ruota che ha costruito per determinare la sorte di Françoise: la ruota si ferma su «obbligo». Estrae uno dei bigliettini su cui abbiamo scritto compiti e domande.
«Devi raccontare una barzelletta con l’accento del Québec!»
Françoise si prende un po’ di tempo per riflettere, obiettando che non sa nessuna barzelletta, poi si butta.
«Ci sono due topi fuori dal cinema: “Allora entriamo?” dice uno. “Ma no!” dice l’altro. “Non vedi che ci sono quattro gatti?!”»
Alza il mento, evidentemente fiera di se stessa. Ci metto un momento a capire che la barzelletta è finita. Getto uno sguardo attorno a me: sui volti degli astanti regna l’incredulità.
«Lo sai che non era accento quebecchese?» dice François a sua moglie.
«Lo so, ma io so fare solo quello marsigliese. Era carina però la barzelletta, no?»
La rassicuriamo in coro.
Soddisfatta, manda giù una sorsata di alcol e gira la ruota per Greg.
«Verità!»
Estrae un bigliettino, mentre Greg aspetta con un po’ di apprensione.
«Racconta il tuo ultimo sogno.»
«Ah!» fa lui, visibilmente rincuorato. «È stato la notte scorsa, ho sognato che camminavo in una stradina buia, da solo, i negozi erano chiusi, non passava neanche una macchina, un aereo, un uccello, niente. Non sapevo dove stavo andando e all’improvviso è arrivata una bionda bellissima, tutta circondata di luce, mi ha preso la mano dolcemente e l’ho seguita. Non mi sentivo più perso. Eri tu, Marine, amore mio.»
Marine scoppia a ridere.
«Tranquillo, tesoro, puoi dire la verità, non mi offendo.»
«Ok, ho sognato che mangiavo un hamburger su uno scivolo e un coniglio mi diceva che stava per piovere.»
Poi gira la ruota e tira fuori un bigliettino senza aspettare i nostri commenti.
«Edgar, verità! Ci racconti il suo più bel ricordo.»
Il vecchio inspira lentamente: scavare nella memoria sembra risultargli doloroso.
«Il più bel momento della mia vita è l’incontro con Rosa. Avevo venticinque anni. Andando al lavoro passavo ogni mattina davanti alla scuola in cui insegnava. Era sempre sorridente, aveva uno di quei sorrisi che ti scaldano il cuore anche se ci sono cinque gradi sotto zero. Ci ho messo tre mesi a osare salutarla da lontano, poi altri tre per provare a iniziare una conversazione. Una sera l’ho aspettata all’uscita con un mazzo di rose e le ho proposto di accompagnarla a casa. Non abitava lontano, abbiamo fatto la strada a piedi. Una volta arrivati, sapeva tutto di me e io niente di lei, così ci siamo dati appuntamento al giorno dopo. Non mi dimenticherò mai del suo sguardo nel momento in cui mi avvicinavo a lei coi fiori in mano. Mai.»
La tristezza si abbatte sulla tavolata, Diego appoggia la mano sulla spalla dell’amico, io mando giù un sorso di acquavite cercando di ingoiare il nodo che mi si è formato nella gola.
«Edgar, tocca a lei girare la ruota!» dice gentile Julien.
L’anziano signore esegue: a Marine tocca un obbligo.
«Citi dieci titoli di canzoni inglesi sostituendo una parola con un’altra.»
Non ci pensa nemmeno un istante, mi viene il dubbio che quella richiesta l’avesse scritta lei. Enumera i titoli a uno a uno, contandoli con le dita.
Fuck to hell
I will always fuck you
We fuck the world
Nothing compares 2 fuck
Girls just want to have fuck
Wake me up before you fuck-fuck
I wanna fuck with somebody
Smells like fuck spirit
Dancing fuck
Fuck on the water
Si interrompe, sorridendo fiera di sé. Diego aspira la pipa in silenzio, Edgar guarda altrove, Françoise ha le sopracciglia che sfiorano l’attaccatura dei capelli e suo marito è paonazzo. A Greg viene da ridere, e anche a me.
Arriva il mio turno.
«Verità!» esclama Marine aprendo il foglietto. «Qual è la persona che trovi più attraente a questo tavolo?»
Rido, convinta che stia scherzando. Invece no.
«Julien!» rispondo prima che il coraggio mi abbandoni.
«Ah! Lo sapevo!» esclama Marine.
«Diciamo che la scelta è quasi obbligata… François e Greg sono sposati. Edgar e Diego sono adorabili, ma la domanda parla proprio di aspetto fisico e l’età, insomma… restava solo Julien.»
Il suddetto Julien fa una smorfia. Cerco di rimediare alla mia goffaggine.
«Non volevo dire che non ti trovo attraente, Julien! Stavo dicendo che solo per il fatto che ti avevo scelto non voleva dire che…»
Mi interrompo: le giustificazioni stanno aggravando la mia posizione. Metto a tacere l’imbarazzo con un altro sorso di acquavite, Marine piange dal ridere. Giro la ruota.
Un’ora dopo, Edgar ha imitato Jacques Chirac, Greg si è messo le mutande sopra i pantaloni, Diego ha raccontato la sua prima volta, Françoise ha recitato la pubblicità di un deodorante, François si è aperto il mento tentando un salto periglioso, Marine ha sbucciato una mela coi denti, io ho confessato la mia più grossa bugia, Julien ha fatto il giro dell’area di sosta imitando un orso affamato e numerosi altri obblighi e verità si sono succeduti.
La bottiglia è vuota e noi pieni. Adesso è il turno di Marine: deve raccontare la cosa di cui si vergogna di più.
«Be’, è presto detto. Un giorno stavo camminando per la strada e ho notato che mi guardavamo tutti, mi sono detta che avevo fatto proprio bene a mettere quella gonnellina a fiori. Mi pavoneggiavo un po’, camminavo tipo top model, solo che a un certo punto mi sono accorta che avevo la gonna impigliata nelle mutande e mi si vedevano le chiappe…»
Ridacchiamo immaginando la scena, e io cerco di consolarla.
«Succede spesso di avere la gonna impigliata nelle mutande…»
«Sì» mi dice lei, «ma non che si impigli anche la carta igienica e svolazzi dietro come la coda di un aquilone…»
Le risate raddoppiano. Io rido così forte che ho il mal di pancia. L’aria fintamente offesa di Marine, che lotta per non ridere pure lei, non migliora le cose.
«Ok, adesso tocca a te!» mi dice senza aspettare che ci calmiamo. «Obbligo!»
Tira a sorte, prende il bigliettino e lo legge.
«Devi baciare sulla bocca il tuo vicino di destra.»
Giro la testa per verificare che il mio vicino di destra sia sempre quello di prima, cioè, naturalmente, Julien. Torniamo seri all’istante.
Mi chino verso di lui e senza riflettere gli do un bacio sulla guancia.
«Sulla bocca!» scandisce a fatica Françoise, reprimendo le risate.
Sghignazzo. Le idee mi girano in testa come un mulinello. Ma nel mulinello c’è ancora un barlume di ragione.
«Fammi vedere il biglietto, Marine!»
Fa finta di non sentire.
«Marine!»
«Cosa?»
«Fa’ vedere il biglietto, per favore.»
«Quale biglietto?»
«Smettila. Ti sei inventata la richiesta.»
«Cosa sentono le mie orecchie!»
«Lo sai che se dici bugie durante la gravidanza, al momento del parto il bambino peserà sei chili?»
«Ma cosa dici?»
«È vero, lo so anch’io» conferma Julien, serissimo. «E avrà anche il naso di legno.»
Mi metto a ridere, e lui pure. Edgar si alza ancora più lentamente del solito.
«Mi ritiro ne...