Genesi
eBook - ePub

Genesi

  1. 110 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Su un'isola dominata da un enorme vulcano, l'Oligarchia sta costruendo una prigione da cui nessun uomo potrà mai sperare di uscire vivo: l'Inferno. I lavori, però, procedono a rilento. Infatti nel cantiere ci sono spesso incidenti mortali e il progetto è quasi impossibile da realizzare senza un misterioso libro di cui l'Oligarchia non è mai riuscita a impossessarsi. Il volume è al sicuro nella bottega del saggio Nielub, che in seguito a una retata è costretto ad affidarlo al figlio Micael e al suo amico Federico. Sfogliando quelle pagine, Federico inizia a scoprire il particolare talento che possiede e l'ambiguo potere che il libro è in grado di esercitare su chi lo legge: in breve tempo, da umile manovale diventa architetto dell'Inferno e viene sedotto dal fascino sinistro dell'antico volume. Ma quando si accorge di aver perso il controllo sia dell'Inferno sia della sua vita, potrebbe già essere troppo tardi: dovrà tentare il tutto per tutto per salvare se stesso e le persone che ama dal mostro che ha creato. A guidarlo, un simbolo e un enigma dal significato oscuro: Visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidem. "Visita l'interno della Terra e, rettificando, troverai la pietra nascosta". Dopo la trilogia dei Canti delle Terre Divise, Francesco Gungui torna con Genesi: il primo, imperdibile episodio della saga che ha conquistato migliaia di lettori. Perché è arrivato il momento di capire come tutto è cominciato.

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Informazioni

Print ISBN
9788891517654
eBook ISBN
9788865975206

1

Era cominciato tutto una ventina di anni prima. Erano ormai molti mesi che abitavo in quell’enorme agglomerato di palazzi distrutti e baracche che l’Oligarchia si ostinava a chiamare Europa. Ero arrivato a piedi, affrontando un lungo viaggio attraverso il continente, insieme a un gruppo di disperati a caccia di fortuna. Eravamo giovani, anzi giovanissimi. Io avevo da poco compiuto diciotto anni e avevo lasciato la mia famiglia, in cerca di un futuro migliore.
Ero partito con mio fratello Marcus, ma le nostre strade si erano separate molto presto. I miei genitori invece non li avrei più rivisti. Questo però allora non lo sapevo, immaginavo ancora di tornare a casa, un bel giorno, pieno di ricchezze. E intanto vivevo a Konema, uno dei tanti quartieri della città, una baraccopoli di lamiere costruita sulle rovine di edifici pericolanti, come la vecchia scuola in cui avevo trovato rifugio insieme a un centinaio di derelitti come me.
Era una mattina di gennaio, uno dei mesi più duri per via del freddo. Quasi nessuno di noi lavorava in quel periodo, anche se avevamo trascorso l’estate nelle miniere di carbone. Ora quel carbone ci avrebbe fatto comodo per scaldarci, e invece ci dovevamo accontentare del poco legname che riuscivamo a recuperare nei boschi fuori città.
Quella notte mi ero praticamente congelato, tanto che all’alba mi buttai in strada con la sola intenzione di camminare senza meta, fin quando il mio corpo non avesse prodotto da sé quel poco di calore necessario per sopravvivere.
Forse, se non avesse fatto così freddo e io non fossi stato un buon camminatore – lo ero sempre stato, fin da bambino –, quel giorno sarei morto, come era capitato ad alcuni di noi. Oppure mi sarei arreso e rimesso in marcia verso sud, come le rondini. Invece vagai per la città tutto il giorno. Verso il tramonto passai come al solito dall’ufficio di collocamento, per sapere se c’era qualche lavoro. I posti liberi però erano sempre pochi, se non si era disposti a corrompere qualche funzionario, ammesso di avere soldi a sufficienza. E poi avevo un conto in sospeso con l’Oligarchia, un omicidio del quale ero stato ingiustamente incolpato e che mi era costato una condanna di due anni. Fortunatamente ero riuscito a evadere quasi subito, grazie a un’insurrezione generale dei carcerati. Capitava di frequente e l’Oligarchia non poteva farci molto.
Questa era Europa.
Ruba o morirai di fame, uccidi o sarai ucciso.
Ad ogni modo, avevo un disperato bisogno di un impiego. Se lavoravi, almeno avevi diritto a una branda e a un pasto caldo. Perciò mi misi in fila e attesi il mio turno.
Mezz’ora più tardi ero seduto in un piccolo ufficio umido che puzzava di muffa, davanti a un vecchio impiegato gobbo e mezzo cieco che si muoveva con una lentezza esasperante.
Una volta visualizzata la mia scheda sul monitor, iniziò a scuotere la testa e capii che anche per quel giorno non avrei rimediato nulla. La mia foto identificativa mostrava un ragazzo giovane e speranzoso nel quale non mi riconoscevo più: un sorriso appena accennato, le guance ancora piene, eredità di un’infanzia durante la quale il cibo non mi era mancato, gli occhi grandi e neri, lo sguardo profondo, la fronte alta e i capelli castani.
L’impiegato mi piantò addosso i suoi occhi piccoli, nascosti da un paio di spessi occhiali, e accennò quello che poteva sembrare un sorriso. «La nave parte alle diciotto» disse in un roco sussurro.
«Che nave?»
«L’incarico dura tre mesi ed è rinnovabile se nel frattempo non sono state commesse infrazioni.»
«Mi sta dicendo che c’è un lavoro per me?» chiesi, ma quello mi ignorò. Probabilmente stava ripetendo una formula a memoria.
«Una tenuta verrà fornita al momento dell’ingresso nel cantiere.»
«È un cantiere, quindi? Per che cosa? E dov’è?» domandai, anche se ero certo che non avrei ricavato altre informazioni da quell’uomo.
In fondo non mi importava. Un lavoro valeva l’altro.
Tornai a casa dove recuperai qualche vestito, un paio di gavette di metallo e due coltelli. Poi mi avviai verso il porto.
Prima di salpare decisi di fermarmi alla bottega di Micael e di suo padre Nielub.
Io e Micael eravamo nati e cresciuti alla periferia di Europa, in uno dei tanti villaggi a sud delle Alpi. Lui era più vecchio di me di una ventina d’anni e, durante gli anni della mia infanzia, era stato più uno zio che un amico. Il nostro rapporto era cambiato in seguito, quando io e Marcus lo rincontrammo nel cuore di Europa, dove lui si era già trasferito da qualche anno assieme al padre.
Nielub aveva lavorato per anni con mio padre in una fabbrica di armi. Rincasavano insieme all’alba, dopo il turno di notte e, mentre papà dormiva, io giocavo di nascosto con la sua cintura di cuoio piena di attrezzi che mi parevano strumenti magici. Poi c’era stato l’incidente: Nielub era rimasto incastrato con la manica della camicia nel tornio e prima che riuscissero a bloccare la macchina si era giocato la mano destra e rotto il braccio. Così era rimasto a casa, senza lavoro. Mio padre aveva cercato di aiutarlo come poteva e per un certo periodo le nostre famiglie avevano vissuto sotto lo stesso tetto.
Nel frattempo, Nielub si era inventato un altro mestiere, recuperando rottami, vecchi mobili, pezzi di auto e varie cianfrusaglie che rimetteva a posto e vendeva per pochi soldi. Aveva un vero talento per riparare i reperti di un passato che affiorava in ogni dove, in vecchie cantine di edifici cadenti, fabbriche dismesse e cascine abbandonate. Lavorava con una mano sola e Micael lo aiutava. Insieme avevano avviato una piccola attività.
Era stato in quel periodo, a quanto ne so, che Nielub si era appassionato ai libri. Un giorno si era imbattuto in una vecchia biblioteca e se ne era tornato a casa con almeno un centinaio di tomi impolverati. Li aveva letti tutti e poi era tornato a cercarne altri. Quando ero ancora poco più che bambino, mi divertivo ad ascoltare le sue storie, quelle che lui leggeva e poi raccontava, la sera, in cucina davanti al camino. Ero l’unico che gli dava retta. Marcus non lo stava certo ad ascoltare e anche Micael si defilava appena sentiva il padre cominciare qualche racconto. Micael, in quel periodo, usciva con una ragazza, se ne andavano spesso in giro insieme nei campi, allora non avevo idea di cosa facessero, finché un bel giorno lei si era presentata a casa con una pancia grossa e tonda. Era stata l’ultima volta in cui l’avevo vista, perché pochi mesi dopo la sua famiglia si era messa in viaggio verso nord, come facevano un po’ tutti, da un po’ di tempo a quella parte. Micael aveva rinunciato a lei e al bambino con una leggerezza che tuttavia mi era parsa tale solo dopo molti anni. Allora, avevo pensato che forse fosse giusto così.
Sempre in quel periodo, Nielub aveva scoperto l’altra sua grande passione: il nepente, la droga più diffusa, una resina scura composta da oppio e altre sostanze in grado di cancellare ogni dolore e pensiero. Mio padre si era infuriato quando l’aveva beccato, una mattina avevano litigato e Nielub si era giustificato dicendo che quello era l’unico modo per non sentire i dolori che lo assalivano periodicamente dal giorno dell’incidente. I rapporti tra le nostre famiglie si erano così incrinati e un bel giorno Nielub si era presentato a casa nostra per dirci che aveva deciso di trasferirsi a Europa. Credevo che non l’avrei più rivisto, ma alcuni anni dopo era venuto anche per me e Marcus il momento di partire. La fabbrica di armi dove lavorava mio padre avrebbe presto chiuso i battenti e per noi non ci sarebbe stato nessun futuro.
L’unica possibilità era quella di cercare fortuna a Europa e lì ci eravamo rincontrati.
Ricordo che al momento di stringerci la mano per la prima volta Micael aveva mancato la presa: mi credeva ancora il bambino che aveva salutato anni prima, ma si era trovato di fronte a un uomo.
Quando arrivai alla bottega, Micael stava armeggiando intorno a una vecchia stufa. Aveva l’aria soddisfatta e la cosa non mi stupiva. Un oggetto del genere, rimesso a posto, poteva valere un bel po’ di soldi. Anche a Europa, Nielub e Micael campavano vendendo cianfrusaglie, mobili, libri e ferraglia che recuperavano nelle vecchie cantine dei palazzi fatiscenti. Qui però non erano gli unici a scavare tra le macerie del passato, sebbene loro fossero più abili nello scovare sotterranei intatti, quelli in cui nessuno aveva ancora messo le mani. Un paio di volte li avevo accompagnati pure io in quelle incursioni.
Nielub era seduto in un angolo su una poltrona, la pipa tra le labbra, un libro aperto sulle gambe, lo sguardo perso nel vuoto.
Appena Micael mi vide, sorrise e mi fece cenno di avvicinarmi.
«E questa dove l’hai pescata?» gli chiesi.
Si alzò in piedi e si guardò in giro con circospezione. «Ho trovato gli archivi sotterranei di una biblioteca» disse con un filo di voce. «Non c’era ancora entrato nessuno. Sono pieni di roba, una vera miniera d’oro.»
«Come ci sei arrivato?»
Micael lanciò un’occhiata al padre. «Merito suo. Come sempre.»
«Come sta?»
«Come al solito. Fuma troppo e dopo rimane in questo stato per ore. Non può farne a meno, per i dolori, però… si sta bruciando il cervello.»
«Mi spiace.»
«Non ti dispiacere. Piuttosto stagli lontano adesso, prima che attacchi con uno dei suoi deliri.» Micael scoppiò a ridere cercando di sdrammatizzare quella situazione. Poi mi si avvicinò. «Ho bisogno di te stanotte. Devo tornare in quel posto prima che lo scopra qualcun altro.»
«A chi pensi?»
«Ai soliti sciacalli, quelli che mi seguono di notte e si infilano nei sotterranei dopo che me ne sono andato. È un posto immenso, non sono nemmeno riuscito a esplorarlo tutto…»
«Stanotte non posso proprio.»
«Domani allora.»
«Non posso neanche domani.»
«Non scherzare, per favore. Guarda che diventiamo ricchi stavolta.»
«Mi hanno assegnato un lavoro e parto questa sera, mi dispiace. Ero passato per salutarti.»
Micael restò in silenzio per alcuni istanti, ma sul suo viso era evidente la delusione.
«Di che si tratta?» mi chiese.
«Non me l’hanno spiegato. Un cantiere, so solo questo. Non so nemmeno dove si trovi. Ci imbarcano stasera.»
Micael sospirò. Nielub invece borbottò qualcosa annuendo. Sfogliò il libro che aveva sulle gambe e sussurrò qualche frase sconnessa. Mi faceva un po’ pena quando era in quello stato, proprio non riuscivo ad accettare il fatto che il nepente fosse l’unica soluzione per non soffrire.
Stavo per andarmene quando mi cadde l’occhio su una pila di libri, ammonticchiati su un tavolo accanto alla poltrona.
«Quelli li hai presi lì?» domandai.
Micael si voltò distrattamente e fece cenno di sì, rivolgendo al padre uno sguardo carico di compassione. «Li ha presi lui. Questa fissazione non l’ha persa, anche se non so nemmeno più se li legge veramente.»
Mi avvicinai per darci un’occhiata. Era un mucchio di vecchi volumi ammuffiti, con le pagine ingiallite e l’inchiostro sbiadito. Lessi alcuni titoli, che però non mi dicevano nulla. Ne aprii uno a caso, ma il testo per me era incomprensibile.
Quindi lo appoggiai e ne notai un altro che mi incuriosì. Aveva una bella copertina di cuoio rinforzata da un profilo di bronzo che incorniciava un coltello dello stesso materiale, avvolto in una spirale di foglie. Lo aprii scorrendo rapidamente il testo e capendoci ben poco. Era scritto in un linguaggio arcaico che ricordava appena la lingua che avevo appreso da bambino e che si parlava solo a sud delle Alpi. Intuii vagamente che doveva trattarsi del racconto di un viaggio. C’erano anche delle illustrazioni che però sembravano essere state aggiunte successivamente, dal momento che in alcuni punti si sovrapponevano al testo stampato. Raffiguravano macchine, motori e complessi ingranaggi, ed erano simili ai disegni tecnici che mio padre portava a casa dalla fabbrica di armi. Cercare di indovinarne il funzionamento, muovendo con l’immaginazione ruote, pulegge e leve, era stato uno dei passatempi preferiti della mia infanzia. Davanti alle illustrazioni di quel libro, provai così una sensazione dimenticata: mi sembrava quasi di sentire il rumore degli ingranaggi, lo stridere metallico delle viti e dei bulloni e perfino l’odore speziato dei trucioli di metallo e dell’olio lubrificante.
Chiusi il libro per guardare di nuovo la copertina con quello strano coltello incastonato nel cuoio e mi accorsi che Nielub mi stava fissando.
Con una mano mi fece segno di accostarmi, spalancò gli occhi e inspirò a fondo, come se si fosse appena svegliato.
«La selva oscura» mi sussurrò in un orecchio «si illumina negli occhi di chi guarda il mondo con la mente.»
«Davvero?» dissi assecondandolo. Sapevo che era la cosa giusta da fare quando lui attaccava con i suoi discorsi deliranti. Di solito, dopo alcune frasi sconnesse, ricominciava a borbottare, dimenticandosi di chi aveva davanti.
Questa volta, però, sembrava animato da un’energia nuova, tanto che mi afferrò con forza un polso e mi tirò a sé facendomi quasi perdere l’equilibrio. «Il potere nascosto in questo libro è molto più grande di quanto tu possa immaginare…»
«È sicuramente un bel libro. Magari lo leggerò.»
Mi voltai per vedere se Micael ci stesse osservando, ma era uscito. Lo intravidi attraverso la vetrina, era in strada a parlare, probabilmente con un potenziale acquirente, della sua stufa.
«La storia del destino dell’uomo è scritta in queste pagine, la genesi dell’universo nel rito che si compie per ognuno ed è sempre uguale e sempre diverso.»
Stavo per interromperlo, lui però mi zittì con un gesto, come chi sta recitando una formula a memoria e ha paura di perdere il filo.
«Questo libro è la prima tappa di un cammino oltre i confini della conoscenza.»
Nielub mi fissò con maggiore intensità.
«Stai attento, però. Chi non conosceva la meta di questo viaggio, si è perso lungo il cammino.»
La porta della bottega sbatté con forza.
«Lo sai che ore sono?» mi chiese Micael avvicinandosi con un’espressione stupita. «Quasi le otto. Tu non dovevi prendere una nave?»
Mi voltai verso la poltrona dove Nielub stava lentamente chiudendo gli occhi, e le sue labbra si aprirono un’ultima volta.
«Non a tutti il libro racconta la sua storia, e non per tutti coloro ai quali la racconta la storia è la stessa…»
«Allora, che fai?» intervenne Micael senza prestare a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. Ringraziamenti