Ho sempre considerato il mio letto come uno dei miei migliori amici. Ogni volta che ho avuto bisogno di lui, lui c’era. Non si è mai fatto da parte quando ho avuto necessità di tuffarmici sopra (immaginatevi che botta se si fosse spostato all’ultimo momento!). E tutte le volte che l’ho tradito per un divano, un sacco a pelo, un asciugamano sulla spiaggia, lui non se l’è mai presa. Era sempre lì ad aspettarmi. Fino a oggi, almeno.
Oggi c’è qualcosa che non va, nel mio fido compagno di dormite. È mattina e non ho ancora aperto gli occhi, ma da dietro le palpebre sento già il sole che mi colpisce il viso. Ed è strano anche questo. Punto primo, perché la sveglia non è ancora suonata. Punto secondo, perché non mi dimentico mai di chiudere le persiane prima di andare a dormire. Il letto, poi, non è mai stato così scomodo, duro, inospitale. Più che su un materasso, mi sembra di essere steso su una lastra di marmo dai bordi spigolosi. Istintivamente tento di rotolare su me stesso e girarmi, alla ricerca di una posizione più comoda, ma non ci riesco. Perché, come se non bastasse, la mia testa è pesante e rigida come un mattone. E chi ha mai visto un mattone rotolare? Io no.
Forse meglio alzarsi, così mi porto avanti con il video del giorno. Ho una puntata di Minecraft Hardcore da finire! Con gli occhi ancora chiusi mi sollevo per mettere le gambe giù dal letto e… nulla. Non ce la faccio. Cioè, riesco a tirarmi su e a muovere le gambe, ma non arrivo a poggiare i piedi per terra. Come se il materasso fosse diventato grande il doppio. Mi spingo in avanti con le braccia per avvicinarmi al bordo, e quando sollevo le palpebre lo shock è tale che quasi ricado all’indietro.
Gabby, non stai vedendo quello che stai vedendo. Non è reale. Dev’essere un sogno. Chiudo gli occhi, li riapro. Li richiudo, li apro ancora.
Ma la scena di fronte a me non cambia di una virgola. È proprio così. Non ho nessun letto sotto le chiappe. E il mondo che ho davanti lo conosco fin troppo bene. Ci ho passato tante di quelle ore, inventandomi storie su storie, facendo video su video, progettando costruzioni assurde, sperimentando la libertà più totale. E ora ci sono dentro? Davvero? All’idea, non mi sento più così tanto libero, anzi, diciamo pure che sono in preda al panico.
Devo trovare il coraggio di guardare il mio corpo, anche se temo di sapere già che cosa ci sarà. Abbasso lo sguardo e al contempo sollevo le mani.
Come mi aspettavo. Sono cubico. Sono tutto uno spigolo. E il mondo attorno a me è fatto allo stesso modo: cubi, quadrati e rettangoli. Minecraft è così, lo sanno tutti. Ma io che diavolo ci faccio qui dentro, dentro Minecraft? È un sogno, per forza! Eppure no, so di essere sveglio, e so anche di essere dentro Minecraft. Sto vivendo dentro Minecraft. Mi muovo e respiro dentro Minecraft.
Scatto in piedi e grido, alzando le braccia verso il velocissimo sole minecraftiano, come farebbe Goku in una puntata di Dragon Ball prima di scagliare l’energia sferica. UAAAAAAAAAH! È incredibile! Pazzesco!
Così pazzesco che non so bene come mi sento. Me la sto facendo sotto perché non capisco come sono finito qui né tantomeno come uscirne? Sì. Nonostante la strizza, non vedo l’ora di mettermi a craftare? Sì!
Certo, prima devo scendere di qui. Sopra la mia testa ci sono il sole, il cielo azzurro e le nuvole rettangolari. Sotto i miei piedi, la chioma di un albero immenso che si innalza per non so quante decine, forse centinaia, di metri al di sopra della terra. Si vedono un sacco di biomi, e lontano, all’orizzonte, mi sembra di scorgere un’imponente costruzione. Chissà quanta roba da lootare!
Ok, Gabby, stai calmo. Respira. Ragiona. Non c’è niente di rassicurante nel fatto di esserti svegliato dentro Minecraft… Però che spettacolo! Troverò un modo di uscirne, ma me ne preoccuperò tra un po’, quando mi sarò stufato. Ora voglio farmi un bel piccone, un’ascia, trovarmi da mangiare… Ah già, forse è il caso di scendere dall’albero, prima. Saltello da un ramo all’altro, stando ben attento a non sbagliare mira. L’alternativa è cadere e trasformarmi in uno spezzatino di Gabby. Gli zombie ne sarebbero contenti, io molto meno. Man mano che scendo, ne approfitto per fare un po’ di legna e raccogliere i frutti che droppano dall’albero.
Tutto sommato, la prospettiva di vivere dentro Minecraft non è così male. Ho l’esperienza di ore e ore di gioco, so già quello che devo fare e come farlo. Una passeggiata, insomma. E la vista del sole calante che comincia a tingere l’orizzonte di rosso è un’esperienza che vale decisamente la pena vivere. Sì, le paure del risveglio ormai sono acqua passata.
«Gabby!»
Mi volto di scatto, guardandomi attorno. Chi mi ha chiamato? Da dove arriva la voce?
«Gaaaaabby!» Il tono è quello di una persona che sta imitando un fantasma. Senza stare a pensarci troppo metto insieme un bastone e due assi. Un istante dopo, stringo forte la mia misera spada di legno. Che è un po’ come difendersi con uno stuzzicadenti, ma per ora è tutto quello che ho. E delle mele.
«Chi sei? Come sai il mio nome? Fatti vedere!» grido senza sapere bene da che parte guardare.
«Sono proprio sopra di te, idiota» tuona la voce. Alzo lo sguardo. Per un attimo vedo solo le nuvole, poi qualcosa comincia a emergere da tutto quel bianco, avvicinandosi sempre più. Dapprima riconosco una cabina, poi una forma oblunga che la sovrasta. È un enorme dirigibile. Alla cabina sono agganciati quelli che sembrano essere degli altoparlanti, insieme a un enorme maxischermo.
Da qualche parte si accende un faro che mi spara una luce accecante dritta negli occhi, e sollevo una mano per schermarmi.
«Ben arrivato, Gabby» dice la voce. «Ce ne hai messo di tempo a svegliarti. Per un attimo ho temuto di dover sospendere tutta l’operazione.»
Strizzo le palpebre, senza capire granché di quello che sta dicendo. «Chi sei?» chiedo.
«Sono la persona che ti ha fatto finire qui, che ti ha messo su quell’albero e che presto ti fornirà un motivo per darti una mossa invece che continuare a fare il cretino come tuo solito.»
Wowowo, fermi tutti: mi ha appena dato del cretino? Ho capito bene? Ma come si permette questo citrullo volante?
«Ehi!» esclamo sollevando la spada, indignato. «Bada a come parli! Oppure… oppure…» Osservo la mia arma, lo stuzzicadenti che ho in mano, e poi guardo il dirigibile. Caro Gabby, hai ben poco da fare lo sbruffone in una situazione come questa! Quel tizio ha un dirigibile ipertecnologico e tu non sei nemmeno all’età della pietra.
«Quando hai finito di agitarti fammi un fischio, Gabby. Tanto io ho tutto il tempo che voglio. Tu, invece…»
«Io invece cosa? Cosa stai blaterando? E si può sapere chi diavolo sei?»
«Che ore sono?»
Eh? Ma che razza di imbecille è questo? «E che ne so che ore sono!» Non faccio in tempo a finire di sbraitare, col fiato mozzato dalla rabbia che mi sale in petto, che dagli altoparlanti, gracchiando, si diffonde una specie di breve sigla musicale.
«Guarda, c’è il telegiornale» fa la voce, e il megaschermo si accende. Qualche sfarfallio, poi l’immagine pare stabilizzarsi. Vedo una stanza buia e spoglia, a malapena illuminata da uno spiraglio di luce che arriva da chissà dove. In mezzo alla camera c’è una persona seduta e legata come un salame. Mi sembra un ragazzo. In testa ha un visore di realtà virtuale. E la maglietta che indossa… Oh, porca paletta! È una delle mie magliette.
Mi rendo conto di avere la bocca spalancata in una enorme O solo quando il tizio chiuso nel dirigibile si rivolge di nuovo a me: «Dalla tua espressione direi che lo hai riconosciuto. Già, stando qui dentro non te ne accorgi, ma sei imprigionato».
Io prigioniero? Rapito? Dev’essere uno scherzo. A volte sono proprio un idiota. E dire che ero convinto di essere finito davvero in Minecraft! Invece sono solo collegato a un visore di realtà virtuale che un burlone mi ha ficcato in testa.
Dagli amplificatori si sente qualche rumore, come se qualcuno stesse sistemando l’apparecchiatura o il microfono.
«Che cosa vuoi da me?» Forse stavolta mi risponderà; è come in quei videogiochi in cui devi fare la stessa azione un certo numero di volte prima che funzioni.
Funziona.
«Non sei qui da solo, Gabby. Ti ci ho portato io, e ho portato anche un’altra persona che conosci.»
Fa una pausa.
«Guarda lo schermo.»
«Ci sono solo io.»
«Sì. Se pensi che tutto sia così facile, perché non provi a sollevare una gamba? Nel mondo reale, intendo.»
Che fesseria. Perché non ci ho pensato prima? Sto solo sperimentando un po’ di realtà virtuale, ma nel mondo reale posso ancora muovermi.
Vero?
Sollevo la gamba. Nel gioco si alza, nel mondo reale no. Ops. Provo ad alzare l’altra, a scuotere la testa, le mani, i capelli, perfino a farmi rizzare i peli delle braccia anche se non riuscirei mai a vederli sullo schermo. Porcaccia la miseriaccia, non posso muovermi!
«C-c-che cosa…?» balbetto, senza nemmeno sapere che domanda fare.
«C-c-che cosa?» mi fa il verso. «Sembri un pollo! E non hai ancora scoperto tutto.»
La verità è che non so se essere terrorizzato o infuriato. Per metà sono la personificazione dell’emoji che sbuffa dal naso, per metà invece mi sento veramente un pollo. Sì, di quelli destinati a finire impanati. In un fast-food. Con della salsa barbecue, tra due fette di pane, una di pomodoro, qualche foglia d’insalata e… Gabby, cavolo! Ti sembra questo il momento di pensare al cibo? La mia maestra lo diceva sempre: è bravo, ma non si applica. Va bene, va bene, ho cose più importanti a cui pensare, adesso. Ovvero questo tizio che mi ha rapito, e che a quanto pare ha escogitato un modo per impedirmi di muovermi nel mondo reale. E non ho ancora scoperto tutto. Dài, fatto trenta facciamo trentuno, vediamo che altro devo sapere. Ha cancellato i video del mio canale? Mi ha disegnato qualcosa in faccia mentre dormivo? Ha messo un cetriolino nel panino che stavo immaginando poco fa?
«Ho rapito tuo padre, Gabby.»
Rimango imbambolato per qualche secondo. Fisso, fermo, bloccato, immobile. Se fossi in un mio video metterei un fermo immagine e farei partire un breve zoom sulla mia espressione scioccata amplificata dall’effetto sonoro di un’esplosione.
«Prima che tu possa cominciare con la tua sfilza di: “Non è vero, non ci credo, è uno scherzo, stai mentendo”, apri bene gli occhi.»
L’immagine sul maxischermo sfarfalla, e il mio corpo prigioniero viene sostituito da un altro corpo prigioniero. Ma questo si trova dentro Minecraft, nel mezzo di una piccola piattaforma circondata da fiumi di lava incandescente. E lo riconosco subito: è mio padre. Quella faccia la distinguerei ovunque: un cubo di Rubik con un bel paio di folti baffi. È la sua skin di Minecraft, ovviamente. La mia è uguale, rispetto a lui mi mancano solo i baffi: è l’aspetto che ho voluto che avessimo in Minecraft Hardcore, la mia serie. Ehi, ma allora questo tizio mi sta plagiando!
«Come cavolo ti permetti? Chi ti ha dato il permesso di rapire mio padre? Che cosa stai combinando? Questo è il mio mondo, non il tuo!»
«Se è il tuo mondo, non hai motivo di agitarti tanto. Saprai sicuramente come orientarti, no?»
Mi guardo attorno con più attenzione. In effetti, questi posti li conosco. Perché non me ne sono accorto fino a questo istante? Colpa dell’eccitazione da disorientamento virtuale, evidentemente.
«Hai tre giorni per salvare tuo padre. O meglio, tre tramonti. La terza notte, quel pozzo di lava si richiuderà sulla sua testa. E troverò il modo di far fare una brutta fine anche a te.»
Quest’uomo è pazzo! Matto da legare! «Non ti azzardare a fare qualcosa di male a mio padre, altrimenti io…» Fermi tutti. Fermi tutti per un secondo. Ragiona, Gabby, ragiona. Per una dannata volta cerca di far funzionare quella testa di Rubik e mettere ogni colore al suo posto. Di che cosa mi preoccupo? Le minacce di quel cattivone volante da due soldi sono solo fandonie. È tutto finto, qui! Anzi, sono sicuro che “morire” nel gioco sarebbe la maniera più veloce per uscirne. A Gabby non la si fa!
«Sì, sì, certo. Facci fuori entrambi. Tanto niente di quello che succede qui è reale.»
Dagli altoparlanti sento un mugugno soddisfatto. «Ne sei convinto? Continua a fissare lo schermo....