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6 marzo 2008, Williamson Park, Lancaster
Mia fece scattare il freno del passeggino, ci girò intorno e controllò Billy. Finalmente si era addormentato. Le guanciotte rosse per il freddo, una bolla di saliva e la cuffietta storta.
Con un po’ di fortuna, avrebbe avuto il tempo di bersi una birra al Sun prima di tornare a casa. Dopotutto era il compleanno della sua migliore amica, e… «Sarebbe scortese non farlo», avrebbe detto lei.
«Ciao, Liv.» Mia si tolse lo zaino di spalla, sedette sulla panchina e si guardò intorno per un attimo. Aveva trovato un posto davvero bello: l’Ashton Memorial era di un bianco accecante sotto il sole; una specie di versione in miniatura del Taj Mahal. Da lassù si vedeva tutta la città, il nastro d’argento del fiume e, in lontananza, le colline del Lake District, che somigliavano a grossi mammut pelosi, venuti da qualche terra lontana.
Tirò fuori un bicchierone, la bottiglia d’acqua, e i tulipani gialli. Cercò di metterci dentro i fiori, ma accidenti, si era scordata le forbici! I gambi erano troppo lunghi e rischiava di rovesciare tutto.
Si appoggiò allo schienale della panchina e li guardò.
«Be’, non sono un granché, no?» E rise, perché si aspettava quel risultato. Dov’era Olivia Jenkins quando avevi bisogno di sistemare dei fiori?
Scivolò verso l’altro lato della panchina per allontanarsi dal passeggino e prese la confezione di tabacco Golden Virginia e le Rizla. Allungò la felpa fino a coprirsi le ginocchia, faceva un freddo cane! Perché non si era messa un cappotto?
Ultimamente le capitava spesso: usciva di casa e si accorgeva di aver sbagliato abbigliamento. La settimana prima aveva addirittura indossato le scarpe spaiate.
Arrotolò una sigaretta, osservò il passeggino e provò un lieve senso di colpa. Certo, con quello che la faceva dormire il piccolo ultimamente, le uniche alternative per restare sana di mente erano una sigaretta ogni tanto o darlo in adozione. Messa così, le parve molto meno grave la prima ipotesi. Accese la sigaretta.
«E insomma oggi è il tuo compleanno, Olivia Jenkins. Buon compleanno, porca miseria.»
Soffiò il fumo nell’aria tersa di marzo, così fredda che sembrava frizzante.
«Lo so cosa stai pensando: “Dovresti vergognarti, Mia Woodhouse, a fumare ora che sei una madre responsabile”. Ma francamente, Liv, dopo la settimana che ho passato con quel piccolo mostro mi perdoneresti anche tu. E poi posso affermare con sicurezza…» proseguì, inspirando entusiasta, «che siamo di fronte a quella che tu avresti definito una sigaretta da venti sterline.»
Rise, e un secondo dopo scoppiò a piangere: anche questo le accadeva spesso, negli ultimi tempi. Improvvisamente le era riaffiorato un ricordo. Liv, sdraiata accanto a Fraser su una spiaggia di Ibiza, con quell’orribile visiera da pensionata della Florida che aveva tenuto in testa per le due settimane di vacanza, se n’era uscita con quella frase: «È una sigaretta tanto buona da pagarla venti sterline, questa qui».
Tutti erano scoppiati a ridere.
«A proposito, ci sono novità.» Cercò di ricomporsi: la situazione rischiava di degenerare, specialmente per la mancanza di sonno, ma Mia non voleva deprimersi. Era il compleanno di Liv, dopotutto. «Fraser ha smesso! Ti rendi conto? Sarei fiera di lui, se non se la tirasse tanto. Davvero, mi fa impazzire. L’altro giorno mi ha telefonato alle sette del mattino – proprio quando Billy si era riaddormentato – e mi ha detto: “Indovina dove sono? Dài, indovina!”
«Non saprei, gli ho risposto: al commissariato di polizia? Allo zoo? A Buckingham Palace? E lui: “No, sono alla pista di atletica di Hampstead Heath. Sono venuto a correre”.
«La cosa assurda è che non aveva neanche un po’ di fiatone; quando gliel’ho fatto notare mi ha dato la grande notizia: “Ho smesso di fumare. Da tre settimane e cinque giorni!”
«Ed era per quello che mi chiamava. Insopportabile. Tronfio come un tacchino.»
Lanciò un’occhiata in giro per accertarsi che non ci fosse nessuno. Doveva ammettere che in certi momenti si sentiva scema, a parlare da sola. Ma poteva andare solo lì, era l’unico posto legato a Liv (escludendo il cimitero). Sapeva cos’avrebbe detto lei in proposito. Sapeva anche che, a parti invertite, Olivia avrebbe radunato gli amici con settimane di anticipo e avrebbe fatto arrampicare tutti su quella salita ripidissima, portando la torta, le candeline… probabilmente anche il coro della chiesa, conoscendola. Li vedeva addirittura: Liv, la prima della fila con la roba in mano; Melody che arrancava alle sue spalle con i tacchi alti e un tailleur dalla gonna troppo stretta, lamentandosi che la torta era kitsch, e perché non l’abbiamo presa da Marks and Spencer? Dietro di lei Norm, quasi di corsa; e Anna… Be’, Anna sarebbe arrivata in ritardo, appena saltata fuori dal letto di qualche tizio di periferia.
Infine Fraser… il meraviglioso Fraser Morgan. Lui cos’avrebbe fatto? Forse sarebbe filato al più vicino negozio di liquori, per onorare degnamente l’occasione. O per riuscire a sopportarla.
Mia pensò a Fraser, rimasto solo nell’appartamento di Londra, che divideva con Liv. Avvertì un moto d’affetto. Povero Fraser: doveva telefonargli, quella giornata per lui sarebbe stata molto difficile. Lo immaginò svegliarsi, rendersi conto di che giorno era, e percepire la dolorosa assenza di Liv, mentre i ricordi lo assalivano tutti insieme, più taglienti e penosi che mai. In momenti simili Mia si augurava che Fraser tornasse a vivere a Lancaster, così avrebbe potuto tenerlo d’occhio.
«Allora, che altro c’è di nuovo?» chiese soffiandosi sulle mani per scaldarle. «Ah, sì… Ho un figlio. Quasi me ne dimenticavo! Ha otto mesi, Liv: non ci posso credere. Com’è volato il tempo. Mi sembra di non ricordare niente. Devo averlo rimosso. Comunque, la bella notizia è che Billy non ha le orecchie grandi come le mie né il mento a punta… o almeno non è detto, perché al momento la mandibola è coperta di ciccia. La brutta notizia è che per tutto il resto è uguale a Eduardo. Sul serio, è il suo sosia: e ovviamente, questo mi fa arrabbiare un sacco. Gli stessi bellissimi occhi verdi, lo stesso monociglio brasiliano, la stessa perenne espressione da maschio ferito. Spero solo che non erediti anche il disprezzo per le donne.
«Ah, lo dicevi di non fidarmi mai di uno che porta gli occhiali da sole al chiuso! Insomma, Eduardo si è rivelato uno stronzo. In qualche parte del mio stupido cervellino, credevo che potesse cambiare. Purtroppo no. Da quando ho avuto Billy, lui l’ha visto otto volte. Otto volte in quasi otto mesi! Patetico, no?»
Le venne voglia di tirare pugni al muro… no, in realtà a Eduardo. Quando pensava a Eduardo provava sempre un terribile senso d’ingiustizia. Doveva essere una storiella estiva senza impegno, non il padre (l’inutile padre) di suo figlio. Poi era rimasta incinta e, nonostante tutto, aveva cominciato a farsi qualche illusione…
Litigavano in continuazione: una parte di lei la trovava una cosa romantica, anche se si vergognava ad ammetterlo. Se non aveva una relazione tormentata e passionale con un focoso latinoamericano prima dei trent’anni, quando allora? Doveva essere come in uno di quei film in bianco e nero che un giorno sognava di sceneggiare, uno di quelli in cui non succede niente a parte due persone molto belle che si urlano addosso in una stanza spoglia. Di solito in Provenza, o in Andalusia, be’… in un clima caldo. L’effetto non era proprio lo stesso in un appartamento di Acton, a Londra Ovest, che odorava perennemente di cibo.
All’inizio lei voleva abortire, ma Eduardo aveva riscoperto improvvisamente la sua fede cattolica. L’aveva fatta sentire in colpa: «È un essere umano, Mia, non appena quelle cellule iniziano a dividersi». Lei c’era cascata, si era convinta che lui volesse davvero quel bambino e che magari quella creatura li avrebbe anche uniti. Ma alla fine le si era ritorto tutto contro.
Tentò di calmarsi. Non voleva che la visita alla panchina di Liv diventasse uno sfogo su Eduardo. E invece eccola lì, aveva già iniziato.
«… nonostante lo odi, è comunque il padre di Billy, no? E io voglio che Billy resti in buoni rapporti con lui. Il punto è che non sono tanto sicura che Eduardo lo voglia: non è triste?
«In ogni caso non voglio fasciarmi la testa: mi ha promesso che oggi alle cinque passa a prendere Billy, perché stasera siamo tutti alla tua festa.
«A proposito, ho un sacco di cose da raccontarti: cominciamo da Anna. Sarai felice di sapere che non è cambiato niente dai tempi di Station Road 12; a parte che ora lei vive a nord del fiume, e stressa qualche altro povero coinquilino. Non si lava molto spesso, gira per casa con il dentifricio sui brufoli, si gratta via la placca dai denti quando pensa che nessuno la guardi e mangia i cetriolini direttamente dal barattolo. Eppure assomiglia ancora a una cantante indie rock: ma come fa?
«Legge l’Economist a letto per darsi un tono e sono convinta che non abbia la minima idea di cosa ci sia scritto. Ma noi le vogliamo bene lo stesso. Ah, e ovviamente è ancora single.
«Melody e Norm… Lì invece è cambiato tutto: Melody ha quasi completato la sua trasformazione da rocchettara ad avvocato rampante (e come ricorderai, a Norm piaceva molto di più la versione rock). Stanno facendo carriera: Norm fa il “cronista di spettacoli” per il Visitor. Lo pagano una miseria, tanto che spesso gli tocca scrivere articoli su vecchietti che compiono cent’anni; ma alla fine va ai concerti gratis, e quindi non si lamenta. Hanno una bella casa a tre piani in quel quartiere chic vicino all’università, che presto si riempirà di mini-Norm. Fraser sostiene che avranno due gemelli: un maschio uguale a Melody e una femmina uguale a Norm.
«È strano, però. A quanto sembra Melody ha chiuso con i viaggi e con Ibiza, si è messa a studiare legge e vuole diventare adulta. Non fuma, non si fa le canne… ma almeno beve ancora un sacco.
«Ultimamente, casa loro sembra l’ingresso di una spa. Le è venuta la mania dei profumi per ambienti… si sente odore di mughetto a un chilometro di distanza, ed è tutto beige, anzi scusa, color pietra. E poi niente più Arctic Monkeys, Green Day e Foo Fighters, ora ascolta solo Norah Jones. Persino io, che non capisco un cavolo di musica, so che ci rimarresti male.
«Ah, e organizza vendite domestiche di oggetti per la cucina, in cui ti rifila uno spremiaglio per sole cinquanta sterline. Norm è sempre Norm, grazie al cielo. Vive in uno stato di lieve ebrezza, per soffrire meno, ma il “cambiamento” comincia a essere evidente anche su di lui. Melody ha iniziato a comprargli i vestiti in negozi come Gap (lei lo chiama The Gap) e perciò Norm, che era tutto cool con le sue basettone, oggi indossa pantaloni di velluto a coste e giacca di fustagno. Inguardabile.
«A parte questo… fare la mamma è bello, anche se è come convivere con un dittatore, e la maggior parte dei giorni non riesco nemmeno a farmi la doccia: prova tu con un bambino appeso al collo! Però mi fa ridere, Liv. Ed è molto carino, anche se somiglia a suo padre. Immagina di voler lanciare qualcuno fuori dalla finestra un secondo prima, e di volertelo mangiare per quanto gli vuoi bene un attimo dopo. Ti ricordi Mrs Durham, la vecchietta a cui tengo compagnia il martedì? L’altro giorno mi ha detto: “Non diventi…”»
Improvvisamente Mia si bloccò. Le parole di Mrs Durham avevano lasciato il segno. «“Non diventi davvero adulta finché non hai figli.”»
Alcune persone non hanno mai l’occasione di diventare adulte.
Billy dormiva ancora quando Mia si alzò dalla panchina. Era l’una, Billy riposava da mezz’ora; se giocava bene le sue carte, probabilmente le restava un’altra mezz’ora. Strinse forte le maniglie del passeggino mentre scendeva da Williamson Park con il vento alle spalle. Lasciarsi sfuggire di mano il passeggino e veder rotolare Billy verso il traffico era una delle sue paure più grandi. Al solo pensiero le mancava il respiro.
Attraversò la città. Le vacanze di Pasqua erano appena iniziate e gli studenti erano già partiti. A Mia Lancaster piaceva particolarmente in quei periodi: senza più frotte di diciottenni arroganti in giro, poteva fingere che foss...