1
ZERI E UNO
Quella sera Arthur non aveva progetti. Forse si sarebbe messo a guardare la tv o a leggere l’ultimo numero di Spider-Man: in fondo Miles Morales era sempre una buona compagnia. Di sicuro non avrebbe giocato a Minecraft o badato alla sua sorellina, occupazioni decisamente non adatte a un ragazzo di quindici anni. Non sempre, però, le cose vanno come uno desidera…
Sembrava tutto normale: i genitori stavano partecipando a qualche evento noioso e sua sorella monopolizzava il computer in salotto con quello stupido gioco dei blocchi. Non che odiasse i videogiochi, anzi, era espertissimo di Assassin’s Creed, Metal Gear Solid e Halo, ma non capiva il fascino di quella grafica così rudimentale e squadrata.
«Ho fame» piagnucolò Mallu. «Mamma ha detto che oggi prepari tu la cena.»
Arthur distolse lo sguardo dalla tv. «Hai due mani» rispose, con quel tono cortese che riservava solo alla sorella. «Puoi benissimo fermarti un secondo e farti da mangiare. Così mi lasci il computer, è il mio turno.»
Mallu era magrolina, aveva i capelli lunghi, crespi e ricci, la carnagione nocciola come il fratello e, secondo Arthur, i peggiori difetti del mondo, primo fra tutti l’età : quattordici anni di puro e semplice fastidio. Specie quando faceva gli occhioni e tirava fuori quella sua vocina da piccola ricattatrice: «Se non prepari la cena lo dico alla mamma, e starai in castigo per il resto della tua vita».
«Ti odio.»
«Sai cosa me ne importa.»
Arthur lanciò il telecomando sul divano e andò in cucina. Era sempre la stessa storia: quando uscivano, i genitori praticamente lo obbligavano a diventare lo schiavo di Mallu, e lo punivano se lei si lamentava di qualcosa. Arthur non ha cucinato, Arthur mi ha picchiata, Arthur mi ha presa in giro, ha fatto questo e quest’altro. La lista era così lunga che avrebbe riempito mille pagine, e per lo più si trattava di bugie.
Non che i due si odiassero veramente, poteva perfino capitare che fossero gentili e affettuosi l’uno con l’altra (solo in certe occasioni speciali e negli anni bisestili, a patto che nessuno li vedesse). Ma doveva esserci qualche legge universale che impediva alle sorelle minori di essere simpatiche, e se per caso questa legge non esisteva nella Costituzione del cosmo, qualcuno avrebbe dovuto proporla, pensava Arthur. «Che fastidio…» mormorò.
La sua unica specialità culinaria consisteva in uova strapazzate su pane tostato, un piatto che la sorella non rifiutava mai, perché poteva mangiarlo senza doversi staccare dal computer. Chissà cosa sarebbe successo se le avessero impedito di giocare a Minecraft anche solo per un giorno. Sarebbe stramazzata a terra con le convulsioni? Si sarebbe rannicchiata in un angolino, rifiutando di parlare e nutrirsi? Varrebbe proprio la pena di scoprirlo, si disse Arthur.
Aprì il cassetto per cercare un coltello e rimase sorpreso da quello che vide. Seminascosto tra le innumerevoli cianfrusaglie stipate di solito nei cassetti della cucina, c’era un dischetto grigio con un’etichetta rossa con su scritto: MINECRAFT 001. Non c’erano dubbi su chi fosse il proprietario. L’unica persona che lasciava le sue cose in giro per tutta la casa. E l’unica che giocava a Minecraft.
Arthur prese il dischetto e tornò in salotto: questa volta lei non avrebbe potuto negare né dargli la colpa. «Ehi, mostriciattolo» la chiamò con tono tagliente. «Non ti manca qualcosa?»
Mallu non rispose, intenta com’era a rompere blocchi sullo schermo. Si trovava in una specie di caverna attraversata da rotaie.
«Sto parlando con te.»
«Non vedi che sono occupata?» fu la sua risposta.
Arthur sbuffò. «Hai lasciato il tuo stupido gioco in un cassetto della cucina.»
La sorella si girò a guardarlo per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata. Aveva un’espressione stranita, come se Arthur avesse appena detto un’assurdità . «Non ho lasciato proprio un bel niente in cucina» commentò.
«Quindi questo me lo sto immaginando?»
Con la fronte corrugata, Mallu fissò il dischetto che il fratello agitava fra l’indice e il pollice, e Arthur credette quasi che fosse sincera. Quasi.
«Qualcosa da dire a tua discolpa?»
Lei si alzò e prese il quadrato di plastica come un paleontologo farebbe con un fossile appena ritrovato. Arthur era convinto che stesse cercando una scusa qualunque per scaricare ogni responsabilità e tornarsene nel mondo dei blocchi. Lei invece mise il dischetto sul tavolino del computer e concluse: «Posso solo dire che non capisci niente». Poi continuò con un sorrisetto sarcastico. «Se avessi un minimo di cervello, avresti notato che questa è la scrittura di papà . Un altro particolare che ti sei perso: io gioco a Minecraft con i miei amici online. E terzo, i dischetti sono una roba giurassica, non li usa più nessuno!»
Arthur rimase in silenzio, confuso per non aver fatto caso a tutti quei dettagli. Era così impaziente di cogliere in fallo la sorella che non aveva prestato attenzione al resto. In effetti, Minecraft non poteva risalire all’epoca dei dischetti. Però non riusciva a immaginare cosa c’entrasse suo padre con quel gioco. Il dubbio gli si leggeva in faccia, tanto che Mallu aggiunse subito dopo: «A meno che papà non voglia nascondere un segreto» e un sorriso malizioso le spuntò sul volto, «non credo gli importi se diamo un’occhiata. Soprattutto se non lo viene a sapere».
Arthur si scrocchiò le dita come faceva di solito quand’era nervoso. Una delle regole principali della famiglia era non toccare le cose altrui senza permesso. Decise di dar retta a quel poco di buon senso che possedeva. «Secondo me dobbiamo rimetterlo nel cassetto e dimenticarcene.»
«Neanche per idea» disse Mallu «sono troppo curiosa. Se poi papà lo scopre… be’, darò la colpa a te.»
«Ma non ti vergogni?»
«No» rispose lei. «Perché voi maschi siete così fifoni?»
La minaccia era stata fatta in tono scherzoso, ma Arthur sapeva che se qualcosa fosse andato storto, Mallu avrebbe davvero scaricato ogni colpa su di lui. Ok, se comunque era condannato, tanto valeva sapere per cosa.
Fece spostare la sorella di lato e si sedette accanto a lei, mentre il computer inghiottiva il dischetto.
2
IL MESSAGGIO
3
CONVERSAZIONI DIGITALI
Schermo blu. Zero. Uno. Zero. Uno. Una lunga serie di numeri bianchi e… nient’altro. Arthur e Mallu si scambiarono un’occhiata. Probabilmente avevano appena infettato il computer con qualche specie di devastante super-virus. Poi sentirono degli scricchiolii, come se il processore stesse facendo degli sforzi di elaborazione al di fuori della sua portata.
Altri strani ticchettii.
«Spegni tutto!» gridò Arthur. «Spegni tutto subito!»
Ancora numeri e rumori.
«Ci sto provando, ci sto provando!» rispose Mallu, premendo a ripetizione il tasto di spegnimento. Ma non serviva a niente, i numeri continuavano a sfilare sullo schermo, una cascata di simboli senza senso.
Mallu era sul punto di alzarsi per togliere la spina quando tutto cambiò in un secondo. E un secondo può durare un’eternità , in certi casi.
Lo schermo diventò completamente verde. Niente più numeri né lettere. Solo verde.
«Secondo te si è rotto?» chiese la ragazza.
«Non ne ho idea.»
Lo schermo si fece all’improvviso più luminoso, tanto da rischiarare l’intero salotto. Il bagliore era accecante. Arthur si gettò a terra, proteggendosi gli occhi con una mano. Cercò a tentoni la spina e la staccò con forza, sentendola cadere sul pavimento di legno.
«Arthur, aiutami!» gridava Mallu. «Mi sta tirando… Mi sta tirando!»
Il ragazzo tese un braccio in cerca della sorella, invano. Era sparita. Poi, come se non fosse successo niente, la luce si affievolì, e il salotto ritornò uguale a prima. Immerso nel silenzio di una serata come tante altre.
«Mallu!» gridò Arthur. «Stai bene?»
Sentiva il cuore battergli forte, come un pugno sul petto. Aveva la bocca secca, una sensazione di gelo sulla punta delle dita e nello stomaco: il terrore puro e semplice che si prova solo di fronte a una catastrofe. Ci mise un po’ a riabituarsi alla luce: ogni angolo dell’appartamento lentamente tornò a fuoco, i piedi consumati del divano, i cuscini variopinti, il tavolino, il computer… e la scomparsa di sua sorella.
Guardò dappertutto alla ricerca della ragazza, ma non c’era traccia di Maria LuÃsa Carvalho da nessuna parte. La situazione sembrava diventare ogni secondo più assurda.
Lo schermo del computer era ancora verde e pieno di numeri, nonostante la spina staccata giacesse ai piedi di Arthur.
Numeri.
Zeri e uno.
Il ragazzo fece un passo avanti per guardarli più da vicino. Su una rivista di giochi aveva letto qualcosa a proposito di quel tipo di sequenza numerica, che risaliva ai sistemi di calcolo degli anni Sessanta: un codice binario. Una serie di zeri e di uno che poteva racchiudere qualsiasi messaggio. Rimase a fissare quelle cifre per un po’, senza sapere cosa pensare.
Poi si mise a perlustrare l’intero appartamento. Cercò in ogni stanza, nel bagno, negli armadi e nel seminterrato, ma non c’era traccia di Mallu da nessuna parte. A quel punto, smise di illudersi che si trattasse di uno scherzo di sua sorella.
Gli tornò in mente una frase di Sherlock Holmes: «Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, dev’essere la verità ». Bene, visto che aveva già considerato ed escluso tutto il possibile e l’improbabile, forse era il momento di contemplare l’impossibile. A maggior ragione di fronte a una macchina accesa nonostante la spina disinserita.
Si sedette al computer a osservare i numeri. «Perché funzioni in questa maniera incomprensibile?» mormorò esasperato.
Un bip rispose alla sua domanda. Il processore emise altri stridii, mentre elaborava qualcosa. Ad Arthur vennero i brividi. I numeri sparirono, lasciando spazio a lettere e simboli che composero una frase: ENTRARE NEL MONDO PRINCIPALE?
«Cosa?!?» esclamò Arthur con un sussulto.
La frase rimaneva fissa sullo schermo, come in attesa di una reazione, ma il ragazzo non aveva idea di cosa rispondere, né come. Che diavolo è il Mondo Principale? Un programma? pensò. O una parte del computer che non conosco?
Mallu sapeva tutto di elettronica e software, mentre Arthur non ci capiva niente. Era bravissimo nel freestyle rap e conosceva a memoria i nomi di centocinquanta Pokémon, ma quelle abilità non gli tornavano molto utili al momento. Non avendo altra scelta, decise di fare un tentativo: «Rivoglio indietro mia sorella» disse. «Lo so che mi senti. Per questo hai tradotto i numeri, vero? Dov’è mia sorella?»
Il processore scricchiolò e si mise a lavoro, sostituendo la domanda precedente con due parole a lettere cubitali: MONDO PRINCIPALE.
Non c’era modo di proseguire nella conversazione dato che Arthur ignorava il senso di quelle parole, e aveva già dato fondo a tutte le sue conoscenze informatiche. Si grattò la testa e diede una botta al monitor.
«Stupido computer, ridammi mia sorella!» urlò. «La rivoglio, an...