1
Mikayla
Finisco di prepararmi con quindici minuti di anticipo. Mi guardo allo specchio per controllare che sia tutto a posto. Non sono una gran bellezza. Non posso certo paragonarmi a Megan (la mia migliore amica). Ho la carnagione olivastra e gli occhi leggermente a mandorla, che devo al quarto di sangue filippino di mia madre. Papà è metà irlandese e metà scozzese, alto più di un metro e ottanta, la mamma invece supera di poco il metro e cinquanta. Per fortuna io sono una via di mezzo.
Non sono così ingenua da pensare di essere popolare per via del mio aspetto o delle attività extracurriculari. A scuola sono brava, ma so anche quanto è importante socializzare e scegliersi le compagnie giuste: la mia migliore amica è il capo delle cheerleader e Scott, il mio fichissimo ragazzo, è il capitano della squadra di basket.
Mi guardo ancora una volta allo specchio. Sono pronta per il ballo di fine anno.
Apro la porta della camera e per poco non vado a sbattere contro i miei genitori, che mi aspettano in corridoio. Hanno l’espressione di quando stanno per dire qualcosa che deve essere preso sul serio. Il braccio di papà cinge le spalle della mamma. Non c’è traccia di Emily, la mia sorellina di nove anni.
Fanno un passo avanti, contemporaneamente, e io di riflesso indietreggio, preoccupata.
Continuano ad avanzare finché non sono costretta a sedermi sul bordo del materasso. Soltanto quando sollevo la testa si separano e si sistemano accanto a me sul letto, uno a destra e l’altro a sinistra.
Papà fa un lungo sospiro e scuote la testa. «Tesoro, tua madre e io abbiamo una cosa da dirti.»
La mamma distoglie lo sguardo. È nervosa.
Cavolo.
Papà continua: «Visto che tra qualche settimana ti diplomerai e che hai compiuto diciotto anni… Be’, abbiamo deciso che era ora di dirti qualcosa di molto importante».
Mi spremo le meningi chiedendomi di cosa possa trattarsi. All’improvviso mi si accende una lampadina: Sono stata adottata.
Lo sapevo. Sono sempre stata diversa. Sembro meno asiatica di quanto dovrei essere e non capisco da dove venga il mio naso. Nessuno nella mia famiglia ce l’ha così. Oh, Dio. Chi saranno i miei veri genitori? E la mia sorellina Emily… È stata adottata anche lei?
«Mikayla?» mi chiama papà, strappandomi al flusso incontrollato dei miei pensieri.
Abbasso le palpebre, come per proteggermi da quello che sta per rivelarmi.
«Mi ascolti?»
Annuisco con gli occhi chiusi.
«Mikayla» riprende lui. Poi fa una lunga pausa. «I ragazzi hanno un pene…»
Spalanco gli occhi. I miei stanno soffocando una risata, la mamma ha il volto arrossato per lo sforzo. Li guardo e aspetto che il battito del mio cuore rallenti.
Vorrei dare a mio padre una ginocchiata nelle palle. Dietro questa farsa c’è lui, lo so. È nel suo stile. A mia madre non verrebbe mai in mente.
Mentre sto per alzarmi, Emily entra di corsa con una sagoma di cartone a grandezza naturale di Justin Bieber, la sventola davanti a sé ridacchiando e poi intona una sua canzone. «And I was like penis, penis, penis, ohhhhh! Like penis, penis, penis, nooooo! Like penis, penis, penis, ohhhhh! I thought you’d always be mine, mine!»
Trattengo a stento una risata. È una di quelle situazioni che a noi possono apparire ridicole, ma che per una bambina di nove anni sono sconvenienti. Fisso i miei, in attesa di una loro reazione.
La mamma sorride. Il papà si scatena in un ballo che vorrebbe essere la sua versione del dougie e canta a squarciagola: «You know you love me, I know you caaaare!».
Scoppio a ridere e comincio a scendere le scale per aspettare Megan e Scott, scuotendo la testa per la follia della mia famiglia. Mi seguono tutti, anche la sagoma di Justin Bieber, continuando a cantare a pieni polmoni, inclusa la mamma.
«And I was like penis, penis, penis, ohhhhh! Like penis, penis, penis, nooooo! Like penis, penis!»
La porta si spalanca.
«Cosa diavolo…» Megan ammutolisce appena vede Emily e il Bieber di cartone alle mie spalle.
Scott si gratta la testa. «State cantando una canzone sul pene a Justin Bieber?»
Ridono entrambi. La mia famiglia è pazza, ma io la amo comunque.
Dopo dieci minuti di fotografie, con mio padre che continuava a raccontare lo scherzo che mi hanno fatto, ci avviamo verso un ristorante italiano nel centro di Hickory famoso per la sua atmosfera allegra e le grandi tavolate: il posto perfetto per cenare prima del ballo.
Quando arriviamo, notiamo parecchi ragazzi della nostra età, tutti in tiro. Non li conosciamo, devono essere di altre scuole. Nell’aria carica di tensione sessuale aleggia un odore di profumi dozzinali e prodotti per capelli.
Troviamo il nostro tavolo e ci sediamo con Andrew e Sean, due compagni di squadra di Scott, e le loro ragazze.
Megan ha deciso di andare al ballo da sola. Non perché nessuno si sia offerto di accompagnarla, anzi, era stata subissata di inviti. Ma, come lei stessa ha detto, piuttosto di accontentarsi di un ragazzo che sembra un gran figo e alla fine si rivela un disastro, preferisce tenersi aperte tutte le opzioni.
Chiacchieriamo del più e del meno finché non arriva il cameriere e prende le ordinazioni. Voci concitate riecheggiano nel locale.
Quando il cameriere si allontana, Scott si alza. «Dov’è il bagno? Devo svuotarmi la vescica. Lo champagne che ho bevuto nella limousine è giunto a fine corsa.»
Elegante come sempre.
«Vengo anch’io. Devo sistemarmi le mutande che mi si sono infilate tra le chiappe» dice a voce alta Megan.
Si avviano insieme verso il fondo della sala.
Mentre sto parlando con Andrew della nuova palestra della scuola sento qualcosa che mi cola lungo la schiena. Per un istante rabbrividisco, poi mi volto e vedo un ragazzo in smoking che mi fissa con in mano un boccale di birra pieno a metà. L’altra metà, ne sono sicura, me l’ha versata addosso.
«Scusami piccola» dice l’idiota senza staccarmi gli occhi di dosso.
Piccola? Davvero? Non riesco a crederci.
«Cristo, Logan, guarda cosa fai!» interviene il suo amico dietro di lui. Ha un accento british, sudafricano o australiano.
Logan si volta di scatto, versando il resto del boccale sul petto dell’amico con l’accento strano, che lo spinge da parte e si incammina verso il bagno, mentre una chiazza bagnata si allarga sulla sua camicia bianca.
«Non fare così, Jakey» lo schernisce Logan.
Mi alzo per andare anch’io in bagno a controllare se il vestito, o la serata, è ancora salvabile, ma Logan mi blocca la strada. Squadrandomi dalla testa ai piedi, mi gira lentamente attorno. Poi si ferma con un sorrisino che gli increspa le labbra.
«Be’, ciao, principessa» biascica.
Indosso un abito nero di satin con una profonda scollatura dietro. Ovviamente non porto il reggiseno, perché si vedrebbe. Spero che la birra sia finita tutta sulla schiena e non sul vestito. Chiederò a Megan di controllare se si è macchiato.
Quando svolto nel corridoio dei bagni mi fermo di scatto. Megan è sulla soglia della toilette delle donne. Si sta aggiustando il vestito, ha i capelli tutti arruffati e il rossetto sbavato. Ridacchia e solleva le mani verso il viso di un ragazzo che probabilmente ha appena rimorchiato.
Megan è il sogno erotico di ogni uomo. La classica bionda con gli occhi azzurri e le cosce lunghe che sprizza sesso da tutti i pori. Il sesso le piace e lo pratica assiduamente. Non mi sorprende quindi che, un quarto d’ora dopo che siamo entrate nel ristorante, si stia già dando da fare con qualcuno.
Quello che però mi sorprende, mentre mi avvicino, è che le sue mani non stanno accarezzando un ragazzo qualunque, ma Scott: il mio, di ragazzo. Megan si pulisce il rossetto sbavato attorno alla bocca. Il mio sguardo è attratto dalle mani di Scott che armeggiano con la patta. Si infila la camicia nei pantaloni e tira su la cerniera.
Sento il vomito salirmi in gola. Dalla bocca mi sfugge un conato così forte da farli voltare. Si girano entrambi verso di me, al rallentatore, sgranando gli occhi e spalancando la bocca.
Come se fossero sorpresi dalla mia intromissione nel loro momento d’intimità.
2
Jake
Sono in bagno, sto cercando di salvare la camicia macchiata di birra che mi si è incollata addosso, ma non c’è niente da fare. È fradicia.
Mi tolgo la giacca e comincio a sbottonare la camicia, sperando che la canottiera sia asciutta. Dovrò correre a casa a cambiarmi. Per fortuna la mamma è abituata a queste cose e me ne ha stirata una di scorta.
Non riesco a credere che Logan le abbia versato addosso la birra soltanto per attirare la sua attenzione. Anche se non ha tutti i torti: ho notato quella ragazza appena è entrata nel ristorante sorridendo al tizio che teneva per mano. Il fatto che sia venuta in compagnia avrebbe dovuto essere un deterrente, ma non per Logan. Quando il suo fidanzato, o chiunque sia, si è allontanato, lui si è fatto sotto. L’ho seguito per divertirmi un po’. Non immaginavo che sarebbe finita così. Mi guardo sconsolato allo specchio. Sembro un idiota che è uscito in pantaloni da smoking e canotta. Vaffanculo Logan.
Apro la porta e mi blocco. È di nuovo lei, ma non è la stessa ragazza, la bella mora di poco fa. Sta trattenendo le lacrime e ribolle di rabbia. Ho scostato la porta quanto basta per osservarla: sta fissando con odio qualcosa o qualcuno.
Faccio un timido passo avanti e mi accorgo che sta fulminando con lo sguardo una coppia di fronte ai bagni delle donne. È come se fossero sospesi nel tempo. La bionda ha i capelli arruffati, il vestito tutto stropicciato e sta accarezzando il viso di un ragazzo. Non riesco a vederlo bene, però mi accorgo che si sta allacciando i pantaloni. È chiaro che quei due hanno appena scopato. Per loro, almeno, questo ballo di fine anno sarà memorabile.
Sto per andarmene quando sento la sua voce strozzata. «Da quanto?» chiede freddamente.
Lui si gira e lo riconosco subito. È lo stronzo con cui è entrata nel ristorante.
«Da quanto?» ripete lei, a voce più alta ma sempre nello stesso tono gelido.
«Tesoro…» dice lui, tendendo la mano nella sua direzione.
«Due anni» risponde la bionda.
Guardo la mora e aspetto la sua reazione. So che dovrei andarmene, che la scena a cui sto assistendo è troppo intima e personale, solo che i miei piedi sono incollati al pavimento. Vorrei prenderlo a calci per averla resa così triste. Nessuno merita di essere trattato in quel modo, specialmente lei. È come se sentissi il bisogno di proteggerla, anche se non la conosco nemmeno.
Due anni… come diavolo?
Il tipo avanza verso di lei dando le spalle alla bionda, che continua a fissarlo. «Tesoro» ripete. Chiudo la mano a pugno. «Ti amo, Mikayla.»
Cosa?
«Cosa?» chiedono le due ragazze.
La mora e il suo fidanzato si voltano verso la bionda.
«Chiudi ...