La piccola bottega dei ricordi (Life)
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La piccola bottega dei ricordi (Life)

  1. 206 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La piccola bottega dei ricordi (Life)

Informazioni su questo libro

Una fotografia è molto più di un oggetto. Spesso custodisce un momento di felicità perfetta ed eterna. Lo sa bene Emma, che nel suo piccolo atelier nel cuore di Londra restaura foto antiche, e ama scrutare quei volti sconosciuti, e restituire ai ricordi degli altri lo splendore che il tempo ha rubato. Quando un giorno uno di quei volti prende vita, Emma pensa di aver bevuto un bicchiere di troppo. Ma l'uomo della foto, scattata nel 1940, le invia dei messaggi chiedendole di compiere per lui una piccola missione: ritrovare il suo primo, unico, grande amore per restituirle la spilla che lui le aveva regalato poco prima di morire. Per Emma questo è solo l'inizio: presto si trova coinvolta in piccole e grandi storie che richiederanno parecchia inventiva per essere risolte. Fino a che uno di quei messaggi non riguarderà proprio lei. Lei e l'affascinante giornalista che ha appena conosciuto. Nel suo passato, Nathaniel nasconde un trauma che gli ha lasciato una cicatrice indelebile. Con una vecchia fotografia di sua madre e le pagine del diario che la donna ha scritto poco prima di morire, Emma deve tentare di scoprire quello che è successo, ma la missione più difficile è convincere Nathaniel che amare è ancora possibile… "Come sempre, mentre lavoravo, mi soffermavo a guardare le persone ritratte cercando di indovinare chi fossero, che cosa pensassero nel momento dello scatto. In quella foto, Marty era al centro, e con il berretto e l'uniforme sembrava incredibilmente giovane, troppo giovane per fare la guerra. Mi distrassi un attimo e quando guardai di nuovo per poco non rimasi senza fiato… Marty aveva cambiato posto."

Domande frequenti

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Informazioni

1

Crac!
La mia leggendaria goffaggine aveva colpito ancora. Risultato: la mia tazza da tè preferita si era appena fracassata sul parquet del salotto. Le cose negli ultimi tempi stavano andando decisamente di male in peggio. Sfinita, mi accovacciai per raccogliere i pezzi di porcellana più grossi e scoppiai a piangere. Nelle ultime settimane, queste crisi di pianto mi coglievano all’improvviso. A mia discolpa, devo dire che avevo appena perso i miei genitori in un tragico incidente d’auto e quindi mi ritrovavo sola al mondo. Ero convinta di avere ormai superato il culmine del dolore, dato che da qualche giorno avevo smesso di singhiozzare in pubblico, ma nella vita niente è mai così semplice.
Il telefono squillò, strappandomi alla mia triste apatia. Accovacciata com’ero, afferrai rapidamente la cornetta con la mano destra. L’altra era piena di grossi pezzi di porcellana.
«Ciao bella» esordì Lexie all’altro capo del filo.
«Ciao Lexie» dissi, tirando su piano con il naso.
«Tutto bene?» s’inquietò subito lei.
«Sì, sì, devo aver preso freddo stanotte. Non è niente» minimizzai.
Lexie non credette a una sola parola, ma non disse nulla. Ecco, una migliore amica è proprio questo: una persona capace di risollevarti il morale quando ce l’hai sotto i tacchi e di capire se hai bisogno di parlare o no.
«Pranziamo insieme oggi?»
«Volentieri. Puoi passare a prendermi in negozio?»
«Okay. Emma? Curati quel brutto raffreddore. È una giornata troppo bella per andare in giro con il naso che cola.»
Questa piccola frase ottenne l’effetto voluto, perché finalmente sorrisi e pensai che bisognava smettere di affliggersi… e di farsi deprimere da una tazza rotta, per bella che fosse.
Dopo aver pulito il salotto, mi preparai un’altra tazza di tè e andai a berla nel mio negozio-laboratorio, al piano terra del palazzo.
La luce inondava l’insolita stanzetta in cui lavoravo. Lexie aveva ragione, il sole era talmente raro in Inghilterra che, quando si decideva a farci visita, si poteva soltanto fargli festa.
Rinfrancata dal bel tempo, mi misi al lavoro di buona lena. Ero fotografa e grafica, specializzata nel ritocco e nel restauro di vecchie fotografie. Avevo aperto il mio negozio qualche anno prima. I miei genitori erano rimasti sconcertati: pensavano fosse un’idea stramba, e mia madre, poi, temeva che non rendesse abbastanza. Almeno all’inizio non aveva avuto torto. Poi, poco a poco, anche grazie all’aiuto di Lexie, che conosceva molta gente a Londra, il laboratorio si era fatto il suo piccolo nome. Le persone venivano per curiosare e, quando spiegavo che avrei potuto ridare vita alle loro vecchie foto di famiglia, si mostravano sempre più interessate. Mia madre se n’era fatta una ragione e, nonostante le sue considerazioni sulla mia vita bohémienne, aveva imparato a rispettare il mio lavoro, anche se non disperava di vedermi «tornare sulla retta via».
Ci sarei potuta tornare con Will, su quella famosa retta via, ma non era successo. Bel ragazzo, di buona famiglia, dirigente nel settore finanziario. Quando lo presentai ai miei genitori, mia madre lo adottò all’istante, forgiando grandi speranze sul futuro del nostro rapporto. Will era un gentleman, era affascinante, perfino romantico; ma si rivelò altrettanto piatto e dotato dell’immaginazione di un’ostrica! Dopo sei mesi di relazione altalenante, decisi di lasciarlo, annientando nel contempo tutte le speranze di mia madre. Dopo questo episodio, il mio rapporto con lei cambiò parecchio. Più fredda del solito, spesso distaccata, ce l’aveva con me perché non avevo fatto il mio dovere sposando una persona perbene.
Mio padre, dal canto suo, tendeva a ridimensionare la faccenda ricordandole che nemmeno lei, all’epoca, aveva messo la testa a posto… visto che aveva sposato proprio lui. La storia dei miei genitori, in effetti, era fuori dal comune. Giornalista freelance, Arthur Langlois percorreva in lungo e in largo la Francia, suo Paese natale, alla caccia di un buon soggetto per qualche articolo. E su una spiaggia appartata finì per incontrarne uno… mia madre. Elisabeth Stew, inglese di puro ceppo, era in viaggio sulla costa atlantica per studiare la lingua. Quando vide Arthur, scoccò il colpo di fulmine. Dopo appena due mesi passati insieme, decisero di sposarsi, naturalmente contro la volontà dei genitori di lei. Ma quando l’amore è così forte… niente può fermarti, neanche la minaccia di essere diseredata. Mia madre dunque tagliò i ponti con la sua famiglia e, se tornò in Inghilterra, fu soltanto per superare l’esame finale per la laurea in legge. Si sposarono a Quimper, circondati dai loro amici e dalla famiglia di mio padre. Un anno e mezzo dopo, Arthur ed Elisabeth Langlois accoglievano la piccola Emma. Da quel momento, la famiglia che avevano creato sarebbe divenuta il loro principale impegno.
Dodici anni dopo la mia nascita, decisero di trasferirsi in Inghilterra. Mia madre voleva che conoscessi le mie origini e mio padre aveva trovato un posto come corrispondente per un importante giornale francese. Lasciammo tutto, non senza una certa stretta al cuore, e iniziammo una nuova vita a Londra. Molti adolescenti della mia età mi avrebbero invidiata! Io avevo solo l’impressione di perdere una parte delle mie radici e tutti i miei amici. Anche se l’Inghilterra era solo a poche ore di navigazione, la distanza che separava le due culture era ben più grande. La mia fortuna era di essere bilingue, anche se conservavo un forte accento francese… a cui tenevo molto.
Contro ogni attesa, l’Inghilterra e la mia nuova vita a Londra mi piacquero moltissimo. I miei compagni di scuola erano tutti molto gentili con me, incuriositi da quella specie di strano animale che rappresentavo ai loro occhi. La mia prima amica fu Lexie Olliver. Una piccoletta con i capelli rossi e il naso tempestato di lentiggini, che il primo giorno di scuola mi venne incontro. Condividemmo le nostre merende e capimmo che più niente ci avrebbe separate. Ed effettivamente, quindici anni dopo, eravamo ancora vicine più che mai!
Lexie fu il mio sostegno più importante dopo la tragedia. Mi aiutò con l’organizzazione dei funerali e con tutte le scartoffie che la morte di due persone può generare. Medico del pronto soccorso, si occupò di me immediatamente, per evitare che sprofondassi nella depressione. Mi prescrisse dei sonniferi e mi organizzò alcune sedute quotidiane con un celebre terapeuta. Senza di lei, non so cosa ne sarebbe stato di me.
Ancora oggi, tre mesi dopo il funerale, so che la mia cara amica veglia costantemente su di me e non passa giorno senza che parliamo al telefono o che pranziamo insieme.

2

Il rintocco del campanello risuonò nella stanza. Sollevai la testa e cercai di abituare gli occhi all’eccesso di luce. Lexie diceva che un giorno, a furia di andare a caccia della minima imperfezione su quelle vecchie fotografie, avrei finito per perdere la vista. Con il passare del tempo, ero costretta a constatare che forse non aveva torto.
«Buongiorno, signora.»
La cliente era una donna anziana, con i capelli bianchi e ricci, la carnagione pallida e le guance ravvivate dal trucco. Assomigliava a una nonnina inglese, proprio così come me l’ero sempre immaginata.
«Buongiorno. Un’amica mi ha parlato di lei. Vorrei restaurare alcune foto. Ma non sono proprio in buone condizioni» spiegò con una voce tremula, porgendomi una grande busta di carta kraft sciupata dagli anni.
«Vediamo cosa posso fare.»
Mentre estraevo i negativi con precauzione, vidi la vecchia signora irrigidirsi leggermente. Mi ero abituata nel tempo a quel genere di reazione. Le persone mi affidavano i loro ricordi più cari. Alcuni non guardavano quegli scatti da molto tempo: rivederli evocava sensazioni e immagini molto intime.
Presi la lente e accesi la piccola lampada sopra il banco. I negativi dovevano risalire agli anni Quaranta. Alcuni erano molto rovinati, ma il lavoro da fare per la maggior parte di essi sarebbe stato piuttosto semplice.
«È mio marito» mormorò la signora, indicando con la punta del dito rugoso un uomo con in testa un berretto. «Marty… Marty St James. Vorrei soprattutto recuperare le foto in cui c’è lui.»
«Capisco. È un bellissimo uomo.»
«Sì» disse lei, con un timido sorriso. «E se l’avesse visto in uniforme… Tutte le ragazze erano invidiose.»
«Mi ci vorrà almeno una settimana per ritoccarle. Ha un numero di telefono? La avviserò appena avrò finito.»
Afferrò la penna che le porsi e annotò i suoi dati con una scrittura tremolante. Vedendo con quanta difficoltà si muoveva, e intenerita dalla sua storia d’amore con il bel soldato, le proposi di consegnarle le foto a casa, una volta concluso il lavoro. Mi ringraziò calorosamente e ripartì, lenta come una tartaruga, verso il taxi che l’aveva pazientemente aspettata davanti al negozio.
Mi preparavo a ripulire la prima delle sue fotografie quando il campanello della porta suonò di nuovo.
«A tavola!» urlò gioiosamente Lexie. «Ho una fame da lupi e mi aspetta un turno di trentasei ore. Mi ci vuole qualcosa di sostanzioso!»
Il suo buonumore era contagioso. Dopo che ebbi ordinato la mia scrivania, decidemmo di andare a mangiare da Yang Chi, un ristorante cinese della zona, che aveva avuto la buona idea di proporre una formula di buffet a volontà per l’ora di pranzo. Lexie e io non ci eravamo mai fatte problemi per la linea. Non eravamo affatto grasse, e nemmeno troppo magre, d’altro canto, ma il cibo aveva sempre avuto un ruolo molto importante nella nostra amicizia. Non ci eravamo forse conosciute durante la merenda? Per me, la gastronomia era una vera religione. Per Lexie, invece, solo ghiottoneria.
D’altronde, eravamo sportive: jogging, squash, nuoto… abbastanza per non sentirci in colpa in caso di grandi eccessi!
Arrivate al ristorante, fummo accolte con affabilità da Yang Chi in persona. Eravamo tra i suoi migliori clienti da quando avevo comprato il negozio e l’appartamento al primo piano.
«Sembri più in forma di…» cominciò Lexie prima di interrompersi bruscamente, per paura di mancare di tatto.
«Di stamattina» completai sorridendo. «Sì, in effetti. Prima di tutto mi hai trasmesso la tua allegria. E poi, poco fa ho incontrato qualcuno…»
«Ah! Finalmente!» mi interruppe.
«No, Lexie, non in quel senso. Al negozio è venuta una signora anziana. Voleva che ritoccassi alcune vecchie fotografie dei tempi della Seconda guerra mondiale. Faceva molta tenerezza mentre parlava di suo marito. Penso che sia morto, da quello che ha detto, ma c’era così tanto amore nel suo sguardo, nei suoi gesti, nelle sue parole… Mi sembra una bella storia, anche se non credo che abbia un finale allegro.»
«Mi sembra che tu stia tornando quella di una volta, mia cara. Preferisco questa Emma a quella cupa degli ultimi tempi. Naturalmente avevi le tue ragioni, ma se alla fine riuscissi a incontrare davvero qualcuno…»
«Credimi, non avrei nulla in contrario! Ma a quanto pare gli uomini che cerco sono in via d’estinzione e i pochi esemplari ancora in circolazione non sono facili prede.»
Il pranzo andò molto bene. Lexie mi fece morire dal ridere raccontando le vicissitudini di uno dei suoi pazienti e tutti i pettegolezzi dell’ospedale.
«La tua vita è molto più emozionante della mia» dichiarai massaggiandomi le costole, indolenzite dalle grandi risate.
«È normale, lavoro con gente a tre dimensioni. Il giorno in cui uno dei soggetti delle tue fotografie ti racconterà una buona barzelletta, dovrai iniziare a preoccuparti!»

3

A fine giornata, la solitudine si faceva ancora più pesante. Lexie lavorava spesso di notte e io avevo preso l’abitudine di portarmi a casa un po’ di lavoro per occupare le serate. All’inizio di quel periodo doloroso avevo anche provato ad abbrutirmi davanti a qualche programma spazzatura in TV, ma non era durato molto… Nemmeno i libri riuscivano più a catturare la mia attenzione, in quei tristi momenti.
Quella sera ero decisa a non lasciarmi abbattere. Mi preparai una buona cenetta e la gustai con un ottimo vino. Dopo aver mangiato, mi misi alla scrivania e cominciai a ritoccare le foto della signora St James. Quella che avevo scelto non era molto rovinata; sarebbe bastato rendere l’immagine un po’ meno sgranata, eliminare le pieghe e rimuovere polvere e macchie. Come sempre, mentre lavoravo, mi soffermavo a guardare le persone ritratte cercando di indovinare chi fossero, come fosse stata la loro vita, cosa avessero pensato nel momento in cui la macchina aveva scattato… Adoravo quel piccolo diversivo e attribuire loro vite straordinarie. In quell’immagine, Marty St James era al centro, e con il suo berretto e l’uniforme estiva sembrava incredibilmente giovane, troppo giovane per andare in guerra.
Dopo aver passato mezz’ora a individuare i minimi difetti dell’immagine, decisi che era arrivato il momento di una pausa e mi versai un altro bicchiere di vino mentre cambiavo il CD nel lettore. Ero in pieno periodo Beatles, ma evitavo scrupolosamente le canzoni che mi suscitavano troppi ricordi. Let it be, la canzone dei miei genitori, era rigorosamente bandita: per me, ormai, sarebbe rimasta per sempre soltanto l’ultima canzone suonata durante il loro funerale.
Tornai alla fotografia di Marty St James. Prima di riprendere il lavoro, la girai per incollare sul retro la solita etichetta che appiccicavo alle foto dei clienti per tenere un po’ in ordine tutti quegli scatti. Ogni immagine aveva la sua piccola annotazione con la data d’inizio del restauro, il numero d’ordine di lavorazione e il nome del proprietario. Quella, in particolare, portava la dicitura 21-02-2011/1/ST JAMES.
Un codice che non dimenticherò mai.
Rigirai la foto, e per poco non rimasi senza fiato… Marty aveva cambiato posto. Si trovava ora all’estremità sinistra dell’immagine, dietro uno dei suoi compagni. Strizzai gli occhi più e più volte per vedere se cambiava qualcosa. Niente.
Decisi che era davvero arrivato il momento di andare a dormire.
«Bisogna che tu smetta di bere» mi rimproverai ad alta voce mentre vuotavo il bicchiere nel lavandino.
Spensi velocemente le luci e sprofondai in un sonno agitato.
Feci strani sogni. Vidi Marty che teneva sottobraccio una bellissima ragazza bionda, che doveva essere sua moglie. Ridevano e sembravano divertirsi molto. Un picnic… altri giovani della loro età… Faceva molto caldo. Nonostante la bellezza della giornata, i loro cuori sembravano dolenti… Cambio di scena: armi, jeep… Un uomo in uniforme che camminava di buon passo. All’improvviso, tutto si annebbiò...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. Epilogo
  22. Ringraziamenti