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«Allora? Che te ne pare?» mi domanda papà appoggiato allo stipite della porta con le mani infilate nelle tasche dei jeans sdruciti.
«Molto… particolare» rispondo, gettando un’occhiata intorno. La mia stanza è nel sottotetto. I mobili di legno sono stati dipinti di bianco e le pareti di un rosa confetto. Entrando sulla sinistra c’è una cassettiera con lo specchio, poi il mio letto e, in fondo, una rientranza nella quale quando ero piccola avevamo sistemato la libreria costruita da papà . Sulla destra ci sono invece la scrivania e l’armadio a sei ante.
«Ho cercato di renderla il più accogliente possibile» continua facendo un passo all’interno della mia camera. «Non so bene quali siano i tuoi gusti adesso, ma ho chiesto consiglio ad alcuni amici che hanno figlie femmine.»
«E queste figlie hanno più di otto anni?»
Papà mi guarda confuso.
«Lasciamo stare» sbuffo, facendo cadere per terra il mio borsone. «C’è puzza di chiuso» mi lamento un attimo dopo. Raggiungo i vetri e li spalanco. Il caldo di metà pomeriggio entra prepotente. Per fortuna da questa parte della casa il sole non batte e gli imponenti alberi della villetta dei vicini regalano una piacevole ombra.
«Ti dispiace occuparti tu delle valigie? Non credo di riuscire a trascinarle su per le scale» dico.
Papà non se lo fa ripetere e sparisce al piano di sotto, così almeno per qualche istante non mi girerà intorno.
Rivederlo è stata una delle cose più imbarazzanti che mi sia capitata negli ultimi anni. Quando sono scesa dall’autobus e me lo sono trovato di fronte è stato come essere tirata indietro nel tempo per l’ombelico. Non è cambiato di una virgola. Si è solo fatto crescere la barba e si veste come un boscaiolo. Per il resto è praticamente identico.
Lui invece non deve aver avuto la mia stessa impressione, perché mi ha squadrata dalla testa ai piedi a lungo, nel più completo silenzio, di fronte un alieno. Sono passati quattro anni dall’ultima volta che ci siamo visti, immagino di essere cambiata un pochino. Cresciuta, forse.
Mi siedo sul letto e una nuvola di polvere si solleva.
«Ma che diavolo!» esclamo scattando in piedi.
«Ecco la prima valigia» dice papà ricomparendo.
«Da quanto tempo non cambi le lenzuola al letto?» sbotto.
Lui sembra dover riflettere un attimo. «Da quando tu e la mamma siete andate via» replica grattandosi il mento.
Sono troppo sconvolta per ribattere con una delle mie battute pungenti e lui si dilegua ancora di sotto a recuperare la seconda valigia.
In verità non ho portato con me molte cose, perché volevo evitare l’impressione di un trasloco. In qualche modo sapere di avere ancora tutte le mie cose nell’armadio di casa ha reso meno tragica la partenza. Non ho lesinato sui libri, però, visto che sono la mia grande passione.
«Hai bisogno di una mano?» Sento la voce di papà alle mie spalle.
«No, grazie.»
«Sicura? Potrei aiutarti a sistemare i vestiti, faresti prima.»
«No, grazie» ripeto più decisa.
Papà infila le mani in tasca. Forse è un gesto che fa quando è a disagio.
«Abbiamo la connessione a internet, vero?» chiedo indicando la scrivania.
«Certamente. Ho un computer in salotto. Puoi usarlo quando vuoi.»
«Ho il mio portatile.» Prendo la borsa e lo estraggo.
«Vedo che sei fornita» commenta papà . «È quello che ti ho regalato a Natale dello scorso anno?»
«Intendi quello che mi sono comprata con i soldi che mi hai mandato a Natale dello scorso anno? Sì, è quello.»
Abbassa lo sguardo per un istante e poi mi informa: «Ho già sbrigato le formalità per la scuola, puoi stare tranquilla. Megan, volevo dire tua madre, è stata molto precisa e mi ha inviato tutti i documenti necessari. Del resto si è occupato l’istituto. Sei ufficialmente iscritta».
«Immagino che abbiate avuto tutto il tempo per fare le cose con calma» borbotto.
«Be’, sì» ammette lui. «In salotto ci sono i tuoi libri di scuola. Non te li ho portati in camera perché non sapevo come volessi disporli, ma posso andare a prenderteli. Ci sono anche delle carte per te. Le devi leggere, magari appena ti sarai sistemata.»
«Okay.»
Vorrei che se ne andasse e mi lasciasse sola. Questo sforzo di parlare come due persone normali mi sta infastidendo.
«Ti piacerà la scuola, vedrai. In fin dei conti da piccola non facevi che parlarne. Ti ricordi? Tutte le volte che ci passavamo davanti dicevi che volevi diplomarti come la migliore del corso.»
«No, non mi ricordo.»
«Be’… immagino ti ci vorrà del tempo per ambientarti. Ricordati, però, che questa è casa tua. Lo è sempre stata e questa è la tua città . Qua siamo tutti amici.»
«Papà , ti dispiace se mi faccio una doccia? Puzzo di autobus vecchio» tronco immediatamente il discorso.
«Certo, il tuo bagno è qua fuori. Io userò quello di servizio del piano di sotto, così non rischiamo incontri imbarazzanti.»
«Mi sembra sensato.»
«Se hai bisogno di qualcosa sono giù.»
«Non ho bisogno di niente.»
Se ne va e io quasi sbatto la porta. Mi butto sul letto e chiudo gli occhi, poi mi giro su un fianco e mi raggomitolo. Sei mesi. Soltanto sei mesi. Sono furiosa con mia madre. Come ha potuto farmi questo? Che cosa le è saltato in mente? Decidere di partire per la Cina e lasciarmi con lui! Di cosa parleremo? Come vivremo? E poi il preavviso: due miseri giorni per avere la fantastica notizia che lei aveva già comunicato a mio padre in giugno. Due giorni di tempo per preparare le valigie e salutare il mio mondo. Assurdo! E adesso sono rinchiusa qui. Odio questa situazione. E odio questa città !
Appena mi calmo un po’, tiro fuori i miei vestiti e li ripongo nell’armadio divisi per colore, separando quelli leggeri da quelli pesanti. Poi è il turno delle scarpe e della biancheria.
Sento bussare alla porta e papà fa capolino con la testa. «Posso disturbarti?»
«Cosa c’è?»
«Mi domandavo se avessi fame» dice. «Io non sono molto bravo in cucina, pensavo di andare alla tavola calda in fondo alla strada. Fanno degli ottimi hamburger, sempre se non segui qualche dieta particolare.»
«Non ho fame, grazie.»
«Ma qualcosa dovrai pur mangiare.»
«Mamma mi ha fatto dei panini. Ho mangiato durante il viaggio. Adesso sono impegnata qui. Voglio sistemare le mie cose prima di andare a dormire» spiego. «Tu va’ pure, se vuoi.»
«Come preferisci.» Apre un po’ di più la porta e mi porge un sacchetto voluminoso. «Un piccolo regalo di benvenuto. Ho chiesto a tua madre se lavorassi ancora e mi ha risposto di sì, così ho pensato che, magari, potevi arredare meglio questa camera. Lo so che non è un granché, io purtroppo non ci so fare. Sono un po’ arrugginito come padre.»
«Su quello non ho il minimo dubbio.» Allungo la mano e afferro il sacchetto. Dentro ci sono dei gomitoli di lana di tre colori diversi: avorio, beige e marrone.
«Non saranno colori allegri, ma ho immaginato che qualcosa di neutro fosse azzeccato, considerando la quantità di rosa. Magari puoi farti un copriletto.»
Lo fisso.
«Ma sicuramente saprai giudicare meglio tu» si corregge subito dopo. «Mi sono fatto consigliare dalla commessa.»
«Grazie» dico.
«Se cambi idea per la cena, fammelo sapere.»
Esce dalla stanza e richiude la porta. Guardo i gomitoli. Ho cominciato a lavorare a maglia che avevo undici anni. Mamma mi ha insegnato le basi, poi il resto l’ho appreso dai tutorial sul web. Adesso realizzo qualsiasi cosa, dall’abbigliamento all’arredo. Se un giorno dopo la laurea mi ritrovassi disoccupata, potrei sempre aprire una piccola attività per tirare avanti. In effetti questi gomitoli sono bellissimi e il pensiero di papà è stato davvero gentile, accogliente. Ma non mi lascerò intenerire…
Estraggo il mio beauty case dal borsone. Poi vado in bagno e apro l’acqua della doccia, mi piace che si crei il vapore. Torno in camera, e mentre recupero l’accappatoio dal borsone, sento qualcosa cadere a terra con un tonfo sordo. È una cornice. Mi piego per raccoglierla e mi siedo sul letto. È una foto di me, mamma e papà . Risale ai tempi delle elementari, quando eravamo ancora una famiglia felice.
Guardo il mio volto sorridente punteggiato dalle efelidi che ho ereditato dalla mamma. Anche i capelli lisci li ho presi da lei, però sono ramati come quelli di papà . Da lui invece ho preso gli occhi: grandi e color nocciola con qualche pagliuzza dorata. Ho la pelle molto chiara, che si arrossa facilmente se esposta al sole, e le labbra piccole e piene. In effetti ho un po’ un’aria da bambolina di porcellana, con tratti delicati che non si intonano affatto al mio carattere.
Attaccato alla cornice c’è un biglietto spiegazzato. Lo stacco e lo apro.
«Dagli una possibilità .» È la calligrafia di mia madre. «Ti voglio bene, mamma.»
Stringo forte il foglietto. Dopodiché poggio la cornice sulla cassettiera. Solo nella doccia mi posso finalmente abbandonare alle lacrime. Mi piace piangere sotto l’acqua, perché nessuno se ne accorge. Anche se singhiozzi, anche se ti sfoghi, nessuno verrà a saperlo e tu hai l’intimità che ti serve per rimpadronirti di te stessa.
Non c’è un motivo preciso per cui sto piangendo. O meglio, ce ne sono molteplici: mi manca mamma, mi manca casa mia, non voglio stare qui, papà per quattro anni si è praticamente dimenticato di noi, questa villetta mi mette nostalgia e il pensiero di cominciare la scuola mi angoscia. Ho paura di non farcela.
Quando ho esaurito le lacrime, chiudo l’acqua ed esco. Mi asciugo rapidamente, stendo un velo di crema idratante e mi vesto. Poi pettino i miei capelli lunghi e li lascio sciolti sulle spalle. Con questo caldo si asciugheranno da soli.
Scendo in salotto e trovo papà intento a guardare la televisione.
«Se il tuo invito è ancora valido, mi è venuta un po’ di fame» dico.
Lui rimane spiazzato per qualche secondo. «Possiamo andare» risponde con un sorriso, spegnendo la tv.
Il nostro è un tranquillo quartiere residenziale. È attraversato da un ampio e lungo viale alberato su cui si affacciano abitazioni di medie dimensioni, la maggior parte a due piani, come la nostra. Tutte hanno un giardinetto sul davanti, che i nostri vicini amanti del verde curano meticolosamente. Sembra una di quelle cittadine da cartolina, dove gli irrigatori per annaffiare l’erba creano giochi di luce arcobaleno; i bambini si lanciano i frisbee o sfrecciano sui marciapiedi con le loro biciclette; le coppiette di anziani passeggiano con il cane e i padri di famiglia rincasan...