Capitolo 1
Alison
Ci sono sere in cui c’è proprio bisogno di un costume da Catwoman. E questa è decisamente una di quelle.
Motivo numero uno: è Halloween. Non sono completamente impazzita, a differenza di quanto pensano i miei genitori dopo lo spettacolare tracollo che ho avuto nell’ultimo semestre di università.
Motivo numero due: sto andando a una festa a casa della nuova ragazza del mio ex, e sono più che sicura che questo richieda un’armatura di pelle lucida. E un frustino.
Mi sdraio, rigida come uno sci, sul sedile posteriore del mio Porsche Cayenne. Philippe – il mio migliore amico e stylist non ufficiale – guida nel suo solito modo: con la grazia di un orso polare sui rollerblade. È incredibile, perché è minuto e flessuoso e ha uno straordinario senso dello stile, eppure in ventidue anni non è ancora riuscito a stabilire un collegamento decente tra corpo e cervello.
Si ferma sbandando a un semaforo verde e io rischio di rotolare giù dal sedile. Un’auto dietro di noi suona il clacson e Philippe riparte come un razzo, scaraventandomi contro lo schienale.
«Scusa» borbotta.
Se con questo costume riuscissi a stare seduta normalmente – o anche solo a respirare – non lo avrei mai fatto guidare, ma a volte una ragazza deve prendere decisioni difficili. E io stasera mi sono fatta cucire addosso da Philippe un costume di pelle aderentissimo, completo di maschera con le orecchie a punta e coda di finto visone, per farmi portare a una festa dove mi ritroverò faccia a faccia con il peggior errore della mia vita.
Cerco di sedare le farfalle che mi svolazzano nello stomaco e mi ripeto che lo sto facendo per lavoro. Programma della serata: arrivare, andare via e assicurarmi che nessuno si faccia male. Me compresa.
Questo significa che non berrò niente di più forte dell’acqua frizzante. Una lezione che ho imparato dopo diverse esperienze difficili e umilianti. Devo solo salutare cordialmente alcune persone e restare il tempo necessario per farmi un’idea dei miei futuri colleghi… e soprattutto di Adam Blackwood, l’amministratore delegato di Boomerang: l’uomo che mio padre ha intenzione di riempire di denaro. Un’oscena quantità di denaro.
Philippe procede lungo la strada tortuosa che attraversa il canyon. Sopra la nostra testa piccole nuvole si muovono nel cielo notturno, ingrigito dal debole bagliore delle luci della città.
«Come va lì dietro, Miss Daisy?» mi chiede Philippe.
«Mi diverto da pazzi. Se non mi avessi stretto così tanto il costume, mi sarei potuta sedere davanti con te. Per farmi uscire da questo affare dovrai usare le forbici.»
«Be’, se ti ho cucita dentro riuscirò anche a tirarti fuori» replica. Mi scruta dallo specchietto retrovisore. «Sei splendida… è quello che conta, no?»
Faccio un respiro profondo e accarezzo il corsetto aderente. Philippe ha compiuto un vero miracolo: ha sottolineato le mie curve facendomi sembrare sexy ma non volgare.
Così, mentre cerco di mettermi in qualche modo a sedere, rispondo: «Sì, sono splendida».
Non solo Philippe mi ha aiutato a sembrare affascinante e audace, ma soprattutto a farmi apparire il più possibile diversa da Alison Quick, la rampolla dell’alta società. È esattamente ciò di cui ho bisogno per affrontare la serata che mi aspetta.
«Stai per entrare nella tana del leone. Una tana piena di ex fidanzati e di gente che un giorno potresti dover licenziare. Lo sai, vero?»
Rido. «Adoro la tua immaginazione, ma non capisco perché hai usato il plurale.»
Lui mi lancia un’occhiata eloquente, distogliendo lo sguardo dalla strada. Rischiamo di travolgere un cespuglio.
«Attento!» esclamo. Be’, in ogni caso ha ragione: ci saranno un ex fidanzato e un grosso errore. Suppongo che il plurale sia necessario.
Il navigatore ci guida su per una ripida strada secondaria, fino a una moderna villa che sembra scavata nel fianco della collina. Dal giardino posteriore la vista sulla città deve essere incredibile.
«Guarda che ti accompagno volentieri» mi dice Philippe per la terza volta.
«Non hai un costume» lo provoco.
Sono tentata di portarmelo dietro per usarlo come paracolpi, ma se venisse con me resteremmo incollati tutta la sera, e io devo mescolarmi a questa gente. Anche se è un gioco che mi riesce tutt’altro che naturale. Soprattutto da sobria.
«Fa lo stesso. Posso sempre dire che sono vestito da guru della moda.»
Scoppio a ridere. «Vero. Ma andrà tutto bene, giuro. E se dovessi avere bisogno di te, ti chiamo.»
Mentre ci avviciniamo alla casa noto che il lungo vialetto è pieno di auto parcheggiate, il che significa che dovrò affrontare una salita con i tacchi alti. Ma per un paio di stivali Gucci al ginocchio ne vale assolutamente la pena. Senza contare che non sono abituata a tirarmi indietro… e non si può essere Catwoman con delle scarpe comode.
Philippe si ferma e gli ricordo di mettere in folle prima di scendere ad aiutarmi. Senza spegnere il motore gira intorno all’auto per darmi una mano mentre io mi contorco come un merluzzo sul ponte della barca di mio padre.
Dopo un po’ riesco a piantare a terra i tacchi a spillo. «Wow, non mi sono mai sentita così aggraziata.»
«Il costume dovrebbe allentarsi un po’» promette Philippe. Mi scruta con i suoi occhi color cannella e mi dà un’aggiustatina, mordicchiandosi un labbro per la concentrazione. Infila addirittura una mano nel corsetto per sistemarmi il seno.
«Scusa, eh…» Mi guardo intorno per vedere se ci sono altri invitati, ma per fortuna siamo soli. Dall’interno arrivano le note di Thriller di Michael Jackson, risate e frammenti di conversazione. Un altro brivido di nervosismo.
«Oh, per favore!» dice lui alzando gli occhi al cielo. «Per me è un semplice accessorio.»
Gli do un colpetto su una mano. «Mi oppongo all’uso del termine semplice in riferimento al mio seno.» Per due ragioni: primo perché è naturale, ma soprattutto perché sto per incontrare Mia, la nuova ragazza di Ethan, che è una specie di Scarlett Johansson più formosa.
Philippe mi sistema la maschera e mi lascio avvolgere dal suo profumo di Issey Miyake, familiare quanto l’odore dell’oceano e quello delle stalle dove tengo i miei cavalli. E io li adoro tutti e tre.
«Sei splendida, Ali. Te lo giuro. Altrimenti non ti lascerei andare.»
«Lo so.» Mi piego per dargli un bacio su una guancia. Con i tacchi a spillo supero il metro e ottanta, quindici centimetri buoni più di lui. «Sei il migliore. Andrà tutto bene.»
Adesso che sono qui, una parte di me non vede l’ora che la serata inizi. Non per vedere Ethan, ma per farmi un’idea degli altri e riportare le prime impressioni a mio padre. Mi ripete sempre che ho un istinto infallibile per le persone, anche se io non ne sono affatto convinta.
«Ne sono più che sicuro» ribatte Philippe. «Ora vai e divertiti.»
«È solo lavoro» gli ricordo.
Sbuffa. «Okay. È che “vai a lavorare” non è un granché come incoraggiamento. E poi hai anche il permesso di divertirti.»
«Lo so, lo so.» Guardo la salita e raddrizzo le spalle. «E allora divertiamoci.»
Capitolo 2
Adam
Imbocco a tutta velocità la stradina in salita che porta dai Galliano, stringo un po’ troppo la curva del vialetto e mi fermo davanti alla casa sbandando leggermente. Sono le undici, e a giudicare dalla musica martellante e dalla folla che mi fissa quando faccio stridere le gomme, la festa di Halloween è già entrata nel vivo.
Un parcheggiatore esausto corre verso la Mini Cooper davanti a me. È la macchina di Rhett Orland, il direttore delle risorse umane. Metto in folle e osservo sorridendo i miei dipendenti che escono dall’auto.
Paolo scende dal sedile del passeggero: indossa un frac attillato e un paio di Oxford lucide. Appena fuori, si calca un cappello a cilindro sulla testa e fa ruotare un bastone. È un perfetto Fred Astaire latino.
Sadie esce dalla portiera posteriore fasciata in un body di lycra rosso fuoco e si sistema la gigantesca parrucca blu che porta sulla testa: sul petto, a caratteri tondeggianti, c’è scritto THING 1. Accanto a lei compare Pippa, che ovviamente è THING 2. Quelle due devono sempre fare tutto insieme. Vestirsi da personaggi del dottor Seuss è assurdo, ma sono molto carine.
Infine, dal posto del guidatore scende Rhett. Per un attimo ho l’impressione che sia nudo, ma per fortuna mi accorgo del perizoma.
Tarzan, ovvio. Rhett ha un gran fisico e vuole mostrarlo al mondo intero. Deve pur mettere a frutto tutte quelle ore di CrossFit.
Prima di allontanarsi tira fuori dall’auto un casco di banane. Un tocco di classe, devo ammetterlo.
Abbasso il finestrino mentre si avvicina un parcheggiatore dinoccolato.
«È davvero una Bugatti?» Spalanca gli occhi e guarda gli interni. «Oh, porca miseria, sì!» esclama, rispondendosi da solo. «Mi scusi, è la prima volta che ne vedo una… dal vivo.»
«Immagino. Sono molto rare.»
«Senta, signore…» Mi dà del lei anche se ha grossomodo la mia età, poco più di vent’anni. «Vado dritto al punto: non penso di avere le palle per spostare una macchina del genere.»
«Nessun problema.» Mi sistemo la maschera nera ed esco, lasciando le chiavi inserite. «Mollala qui.» E gli allungo cento dollari.
Non sono affatto preoccupato per la mia auto. E poi, be’… anche se sono sempre felice di passare una serata con amici e dipendenti, l’idea di potermene andare in fretta quando voglio non è affatto male.
«Certo, grazie!» Il parcheggiatore prende la banconota. «Grazie!»
«Ehi! Adam!» esclama Sadie facendomi un cenno dall’ingresso. Sotto la luce del portico, la sua enorme parrucca blu elettrico è un pugno nell’occhio. Ci sono tutti, e mi stanno aspettando. Faccio il giro dell’auto e li raggiungo.
«Come hai fatto a capire che ero io?» dico spalancando le braccia.
Pippa mi squadra e sorride. «Cavoli, Zorro! Stai benissimo. Dovresti vestirti così anche in ufficio.»
Se non fossi il presidente e l’amministratore delegato, sarei tentato di farlo. C’è qualcosa che mi piace nell’indossare una maschera.
«No, Adam, per favore. Quella roba al lavoro… no» interviene Rhett passandosi le banane da un braccio all’altro. Essendo il direttore delle risorse umane, in azienda è la voce della ragione.
«Io sono d’accordo con Pippa» interviene Paolo indicandomi con il bastone. «Dovremmo fare una pubblicità. Tu e quel vestito. Le ragazze arriverebbero a frotte. O a sciami, tipo le api. E adesso andiamo a divertirci.» Picchietta il bastone sul sedere di Sadie. «Muoviti, ragazza.»
Entriamo nell’elegante salotto e andiamo dritti al bar. Sorseggio uno scotch e vado in cerca dei padroni di casa, i miei amici Joe e Pearl.
Come si conviene alla villa di una fotografa, gli spazi sono raffinati e arredati con gusto: moderni, eleganti e pieni di costosissimi pezzi d’arte. Ma stasera c’è qualcosa di diverso… sembra più la location di un rave che la casa di Pearl e Joe Galliano.
Gli invitati ballano al centro della stanza e nel patio. Su una piccola piattaforma in un angolo c’è il DJ. La casa è una baraonda di maschere e costumi colorati: alieni, soldati delle truppe d’assalto, flapper e angeli. Non manca niente.
Arriva Cookie, la direttrice del marketing, e si unisce a noi. Adesso siamo in sei e occupiamo una buona metà del bancone. Comincia a scorrere l’alcol e le risate aumentano. Per vestirsi da Tarzan Rhett si è fatto la ceretta sul petto e Sadie e Pippa vogliono tutti i dettagli, strappo dopo strappo. Un argomento davvero affascinante.
I miei dipendenti sono estroversi, proprio come me. Sentirsi a proprio agio in società è un requisito fondamentale per fare parte del mio team. Io vendo legami personali, e per farlo bene si comincia dalla cultura aziendale. Sono un bel gruppo, molto affiatato, e spesso si incontrano anche fuori dall’ufficio per fare baldoria.
«È… bellissimo» dice Sadie, mentre la conversazione si sposta sul costume di Cookie. «Ma non ho ancora capito chi sei.»
Cookie aggrotta la fronte e beve un sorso di midori sour. «Niente che ti riguardi» risponde, ma si passa nervosamente una mano sull’abito argentato. Collo alto, maniche lunghe e un piccolo strascico tempestato di cristalli. In una parola: austero. In poche parole: assomiglia al Chrysler Building.
«È la strega cattiva di quel film Disney» tenta Paolo. Incrocia le gambe all’altezza delle caviglie con affettata eleganza. «Dai, quella con i capelli bianchi…»
«Crudelia De Mon?» dice Sadie. «La tipa di Maleficent?»
«Hanno i capelli bianchi a punta?» Paolo scuote la testa. «Dio, non sai proprio niente delle streghe Disney.»
«Ho capito! Elsa di Frozen!» esclama Sadie. «È per quello che ti sei messa l’ombretto blu, vero, Cookie?»
Quando Sadie si fissa su una cosa, è impossibile fermarla.
«Cookie non è un personaggio Disney» interviene Pippa. «È la strega dei film di Narnia. Guardate le spalline. È tipo la Regina dei Ghiacci o come si chiama…»
«Si chiama Strega Bianca, analfabeti» borbotta Cookie, esasperata. «Comunque vi state sbagliando tutti.» Scuote la testa. «Santo cielo, siete come un’iniezione di Novocaina. Sento già il cervello anchilosato.»
«Ho una domanda» dice Paolo. «Come si fa ad avere il cervello anchilosato?»
«Dobbiamo tirare fuori i vostri report annuali, ragazzi?» chiede Cookie. «Eh, che ne dite?»
La conversazione si blocca all’istante e tutti ne approfittano per bere: sono spaventatissimi e allo stesso tempo si stanno sforzando di non scoppiare a ridere. Pippa, Sadie e Paolo rispondono direttamente a Cookie, e ne sono terrorizzati. Anche se è soltanto un grande e dolce yeti. Possiede lo stesso fas...