Il calore della neve
eBook - ePub

Il calore della neve

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il calore della neve

Informazioni su questo libro

Le montagne dell'Alto Adige, il maso di famiglia e un bimbo di tre anni. Sono queste le cose a cui Angelika, caparbia ventiquattrenne, non rinuncerebbe mai. E per Matthias, il figlio avuto da una breve relazione con Riccardo, Angelika è disposta a tutto. L'ha cresciuto da sola, senza dire nulla al padre: sapeva che i loro due mondi - lei precaria maestra di sci, lui giovane milanese di ottima famiglia - erano inconciliabili e che quel figlio non era frutto dell'amore, ma di un desiderio infuocato che li ha travolti per un paio di settimane, per poi sciogliersi come neve ai primi cenni di primavera. Così Angie si è dedicata completamente al piccolo, impedendosi persino di lasciarsi distrarre da un amore vero, maturo e potente: Rio è sempre stato un amico per lei e Matthias, ma adesso quel sentimento è cresciuto trasformandosi in qualcosa di molto più profondo, che freme per liberarsi dal bozzolo e spiegare le sue ali. Ma quando Riccardo torna a farsi vivo, tutto cambia: la vita di Angelika e delle persone che le vogliono bene si ritrova improvvisamente in bilico, sull'orlo del precipizio. Un romanzo gioioso e delicato, immerso nelle vallate innevate delle Dolomiti, dove le passioni scaldano la pelle e gli imprevisti confondono il cuore.

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Informazioni

Anno
2018
Print ISBN
9788891581013
eBook ISBN
9788865975824
Argomento
Literatura

1

Le luci posteriori del treno erano scomparse oltre la curva, mentre il rumore scemava con la lentezza dei titoli di coda di un film.
Ferma sulla banchina della piccola stazione di montagna, lo zaino in spalla e il trolley appoggiato accanto ai piedi, Angelika lasciò che il silenzio l’avvolgesse. Inspirò a fondo e sollevò il viso al cielo, dove impalpabili fiocchi di neve galleggiavano in preda alle correnti. Finalmente a casa. Era stata via solo pochi giorni, in realtà: visita d’obbligo ai genitori in città prima del Natale. Ma ogni volta che rientrava sentiva il cuore fare una capriola nel petto. Non amava le città: i rumori costanti, l’aria viziata, i palazzi che incombevano soffocanti sulle strade incorniciando piccoli francobolli di azzurro. Non si poteva ammirare un cielo stellato: le notti non erano davvero tali, rischiarate costantemente da lampioni, fari, segnaletiche luminose. Non amava nemmeno le visite ai due illustri professori universitari che l’avevano messa al mondo: il legame biologico che li univa non era supportato da alcun particolare affetto reciproco. Se non fosse stato per la cocciutaggine di Rita, Angelika non avrebbe mandato loro nemmeno una cartolina di auguri. Ma la nonna era una vera montanara: tenace, dura e dal cuore grande.
Afferrò il trolley mentre un sorriso le si apriva sul viso punteggiato di lentiggini e si diresse all’uscita: era tornata a casa e il resto non aveva alcuna importanza. L’aria era frizzante e i fiocchi sembravano scendere più fitti e decisi: si augurò di non dover attendere troppo l’autobus che l’avrebbe portata in paese. San Silvestro era composto da una manciata di case adagiate in fondo a una valle chiusa, abbracciato e protetto per tre quarti da montagne alte e imponenti. C’era la chiesa con il campanile a cipolla, due bar e un nuovo supermercato che aveva inglobato il fornaio, il giornalaio, il negozio di alimentari e quello di ferramenta. Il fiume abbracciava il confine occidentale del borgo, le piste da fondo si perdevano all’interno della valle e gli impianti di risalita erano l’unica concessione a ferro, vetro, acciaio e cemento.
«Bentornata.»
Angelika sussultò sorpresa, ma quella voce inconfondibile le strappò un sorriso.
«Vuoi farmi morire di spavento?» esclamò all’uomo appoggiato pigramente al cofano di un fuoristrada nero, con un berretto di lana calato sulla fronte e spolverato di neve. «Che ci fai qui?»
«Anche io sono contento di vederti» replicò lui, gli occhi scuri che brillavano divertiti. «Spero tu abbia fatto buon viaggio.»
«Ah-ah-ah» scimmiottò Angelika abbandonando il trolley sotto la neve e gettandosi tra le sue braccia.
Florian Mair era il figlio inequivocabile di quelle terre. Un metro e ottanta di altezza, aveva un fisico asciutto e occhi scuri e sospettosi. In apparenza burbero e scontroso, a causa della sua predilezione per i fatti a discapito delle parole, era un amico leale e fidato. E aveva una stretta d’acciaio.
«Il viaggio di ritorno è stato una passeggiata.» Angelika si sciolse dall’abbraccio, regalando al suo migliore amico un sorriso sbarazzino. «A ogni chilometro macinato mi sentivo più leggera. E per i prossimi mesi nessuno mi porterà lontano da qui!»
«Ok» borbottò Florian, non accennando a muoversi. «I tuoi stanno bene?»
«Benissimo. Mi hanno rifilato gli stessi amorevoli consigli dell’ultima volta. Con le stesse parole. E gli stessi commenti carichi di disapprovazione. Credo che diraderò le visite.»
«Sono i tuoi genitori.»
Angelika lo guardò di traverso.
«Sei venuto per accompagnarmi a casa?» sorrise, determinata a chiudere l’argomento.
«Hai pranzato?»
«No. Ma negli ultimi giorni la mamma si è preoccupata di attaccare un po’ di ciccia a queste ossa. Sue testuali parole. In realtà voleva che facessi da cavia ai suoi esperimenti di cucina francese.»
Angelika aprì con disinvoltura il portellone posteriore del fuoristrada gettando malamente il trolley al suo interno.
«Quest’affare pesa tantissimo» brontolò, poi sospirò di sollievo. «Su, andiamo a casa. Ora non ho fame, ma tu sei invitato a cena da noi questa sera.» Fece il giro dell’auto e afferrò la maniglia della portiera del guidatore.
«Cosa credi di fare?» Con due falcate agili e silenziose Florian l’aveva raggiunta, bloccando la portiera.
«Guidare?» tentò lei, sbattendo candidamente le lunghe ciglia scure.
«Sparisci» sibilò l’uomo abbassando il viso su di lei.
Angelika sbuffò. Non sarebbe riuscita ad aprire quella portiera nemmeno puntando i piedi contro la carrozzeria: aveva già avuto modo di sperimentare la tempra d’acciaio dell’amico. Raggiunse il posto del passeggero e si sedette con irruenza, scrollando all’interno dell’abitacolo la neve che si era posata sui corti riccioli rossi.
«Soddisfatta?» brontolò Florian guardando i fiocchi sciogliersi sul cruscotto e sui sedili.
Angelika sogghignò, accomodandosi meglio e allacciando la cintura di sicurezza.
«Novità?» domandò serafica.
«Sei stata via solo una settimana.»
«Ah, dimenticavo! Se anche fosse accaduto qualcosa tu saresti l’ultimo a saperlo.»
Lui mise in moto senza degnarla di una risposta. Angelika si allungò verso di lui e lo baciò sulla guancia.
«Grazie per essere venuto a prendermi.»
Florian fece un impercettibile movimento con la testa, poi si concentrò sulla strada imbiancata.
«Casa dolce casa» sospirò Angelika. Un sorriso soddisfatto le incurvò le labbra screpolate dal freddo. Lo sguardo scivolò oltre il finestrino dove un fronte compatto di nuvole basse e scure impediva la vista. La neve scendeva copiosa, rendendo uniforme il colore del paesaggio, ma non importava. Lei conosceva ogni angolo di quelle montagne e in quel momento le bastava godersi quegli ultimi attimi di pace prima di mettere piede in casa e gettarsi a capofitto in quella baraonda che era la sua vita. Sorrise piena di aspettativa: non vedeva l’ora di essere a casa.

2

«Mamma!» trillò il cucciolo d’uomo gettandosi tra le braccia della madre, la quale rischiò di finire a gambe all’aria travolta da tanto entusiasmo.
Riacquistato l’equilibrio, Angelika lo strinse forte a sé, baciandolo e inspirandone l’odore di bambino.
Era la prima volta in tre anni che trascorreva tanto tempo lontana da Matthias e le era mancato. Sarebbero dovuti partire insieme, ma il piccolo aveva qualche linea di febbre, così Angelika aveva deciso a malincuore di lasciarlo a casa. Era stato quasi divertente ascoltare la madre fingere di essere dispiaciuta di non poter mai vedere il suo nipotino. Sapevano entrambe che nemmeno per quel bambino Monica avrebbe rimesso piede in montagna, dopo aver lottato tanto per andarsene. Non si era fatta vedere nemmeno il giorno in cui era nato, accontentandosi di ricevere qualche foto.
Angelika lo rimise a terra e solo allora lui si accorse dell’ospite.
«’io!» gridò, omettendo la R iniziale e correndo incontro a Florian. Rio era il soprannome con cui tutti lo conoscevano, e lui regalò al piccolo uno dei suoi rari sorrisi.
Angelika si liberò dello zaino e della giacca ammucchiandoli a terra nel corridoio, poi entrò in cucina.
«Che profumino delizioso!» esclamò. Quel locale, dal soffitto basso e i mobili scuri, era il regno della nonna e il cuore della casa. Attorno al tavolo in legno i membri della loro grande famiglia avevano discusso, litigato, gioito e pianto, e non mancava mai un piatto caldo e sostanzioso per dare conforto e riconciliare. Come in quel momento.
«Sei tornata» constatò Rita, sollevando gli occhi dall’impasto che stava lavorando.
«Tutta intera!» replicò Angelika facendole l’occhiolino. «E affamata.» Allungò una mano verso un barattolo di biscotti, ma la nonna la colpì con la mano infarinata.
«Aspetterai come tutti gli altri.»
«Ma non ho nemmeno pranzato!»
«Non è un problema mio.»
Angelika sollevò gli occhi al cielo: in confronto a quella della nonna, la sua testardaggine era un ridicolo capriccio.
«È stato bravo Matti?»
«Il solito.» Lapidaria. «Rio l’ha fatto divertire.»
«Rio?!» si lasciò sfuggire la nipote, mordendosi subito la lingua.
Rita le lanciò un’occhiata eloquente, continuando a impastare con energia quello che sarebbe diventato il dolce preferito dell’uomo in questione.
Angelika evitò con cura di approfondire l’argomento. Conosceva l’opinione della nonna su Rio, che coccolava ogni qualvolta metteva piede in quella casa: Florian Mair sarebbe stato un marito e un padre perfetto, se solo qualcuno gliene avesse dato la possibilità. E quel qualcuno, in quel preciso istante, era troppo felice di essere a casa per aver voglia di discutere.
«A proposito, l’ho invitato a cena…»
«Per chi credi che stia preparando lo strudel?» Angelika finse un broncio offeso, ma Rita continuò imperturbabile a impastare. «Vai a farti una doccia, poi tienimi il bambino fuori dalla cucina, altrimenti la cena non sarà mai pronta.»
Detto questo, colpì più volte il ripiano di legno con l’impasto di farina, acqua e olio, appallottolandolo finché non divenne una sfera liscia e omogenea, poi lo mise a riposare avvolto in uno strofinaccio infarinato. Le mele erano già pronte e profumavano la stanza immerse in una ciotola con il rum, lo zucchero e il limone. Il burro sfrigolava nella padella, pronto per rosolare il pangrattato.
«Sei ancora qui?» brontolò sbirciando la nipote da sopra la spalla.
«Vado, vado!» Con il sorriso stampato sul viso, Angelika sgattaiolò fuori dalla stanza.
Incurante dei bagagli gettati nel corridoio, che avrebbero provocato i rimbrotti della nonna, seguì il suono della risata del figlio che proveniva dal salotto. Quel maso, pieno di profumi, chiacchiere, capricci e rimproveri, era il più bel posto al mondo dove tornare.

3

Quando Angelika Romanelli aveva scoperto di essere incinta, era appena passato il giorno del suo ventiduesimo compleanno. Aveva ripetuto il test tre volte prima di rivolgersi al ginecologo, ma non c’erano dubbi: aspettava un bambino. D...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il calore della neve
  4. 1
  5. 2
  6. 3
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  8. 5
  9. 6
  10. 7
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  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
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  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. 43
  47. 44
  48. 45
  49. 46
  50. 47
  51. 48
  52. 49
  53. 50
  54. 51
  55. 52
  56. 53
  57. 54
  58. 55
  59. Ringraziamenti
  60. Copyright