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Non riesco a muovermi né a pensare, né a distogliere gli occhi dalla macchina accartocciata sulla pista.
Se guardo altrove, tutto questo diventerà reale. L’elicottero che sta volando sopra la mia testa starà davvero portando via il corpo distrutto dell’uomo che amo.
L’uomo di cui ho bisogno.
L’uomo che non posso perdere.
Abbasso le palpebre, ma non sento nulla. L’unica cosa che mi risuona nelle orecchie è il battito del mio cuore. L’unica cosa che vedo sono delle immagini senza senso: Max si fonde con Colton e poi Colton si dissolve e torna il viso di Max. Questi ricordi, però, spengono la speranza a cui mi sto aggrappando in una fiammata.
Ti corro, Ryles.
La sua voce forte e risoluta mi riempie la testa e poi svanisce, brillando veloce come un fuoco d’artificio.
Mi piego in due dal dolore, sperando che arrivino le lacrime a liberarmi da quest’angoscia sorda, eppure non succede nulla.
Mi sforzo di respirare e di convincermi che gli ultimi ventidue minuti non siano mai esistiti. Che la macchina non si sia capovolta piroettando nell’aria piena di fumo. Che non siano dovuti arrivare dei medici dall’espressione contrita a tagliare la lamiera dell’auto per estrarre il corpo esanime di Colton.
Non abbiamo mai fatto l’amore. Non abbiamo mai avuto la possibilità di correre davvero dopo che finalmente mi ha detto le parole di cui avevo bisogno: dopo che finalmente ha accettato e ammesso di provare questi sentimenti.
Vorrei solo poter tornare alla camera d’albergo, quando eravamo abbracciati e intrecciati, ma la vista terrificante della macchina distrutta non me lo permette. Quest’immagine ha segnato la mia memoria in maniera orrenda, e adesso per la seconda volta.
«Ry, mi sa che non sto tanto bene.» Le parole di Max si insinuano nel mio cervello, eppure la voce è quella di Colton, che mi sta avvertendo di ciò che accadrà . Di quello che ho già vissuto in passato.
Oh, Dio. Per favore no. Per favore no.
Il mio cuore si stringe.
La mia determinazione vacilla.
Tutto scorre al rallentatore.
«Rylee, soltanto tu puoi salvarmi. Sto morendo. Devi salvarmi.» Ancora la supplica di Max. Sto crollando anche fisicamente, il mio corpo si arrende di pari passo alla speranza, poi sento delle braccia che mi scuotono.
«Guardami!» No, non è Max. E nemmeno Colton. È Becks. I suoi occhi sono colmi di paura. «Dobbiamo andare in ospedale adesso, okay?» La voce è dolce ma ferma. Forse pensa che se mi parla con il tono che si usa con i bambini non mi frantumerò in mille pezzi, purtroppo però la mia anima è già sbriciolata.
Non riesco a ribattere nulla, quindi annuisco. Intorno a noi sulle tribune ci sono migliaia di persone, ma sono tutte in silenzio e fissano gli uomini che stanno lavorando per ripulire la pista da quello che resta delle vetture coinvolte nell’incidente. Lapidi colorate in un tranquillo cimitero d’asfalto.
Becks mi sostiene, mentre mi guida giù per le scale e verso lo sportello già aperto di un furgone. Si siede accanto a me, mi mette in mano la mia borsa e il mio telefono e infine dice: «Andiamo».
Mi sta per venire una crisi isterica.
«Zander» sussurro. «Martedì Zander ha appuntamento dal dentista. A Ricky servono le scarpette da calcio. Aiden giovedì comincia con il nuovo tutor e sono sicura che Jax non l’ha segnato sul calendario.»
Con la coda dell’occhio noto che ci sono altri ragazzi dello staff dietro di noi, ma non ho idea di come siano arrivati qui.
L’ansia risale in superficie.
«Beckett, ho bisogno del telefono. Dane se lo scorderà di certo e Zander ha davvero bisogno di andare dal dentista, e a Scooter ser…»
«Rylee» mi ammonisce.
«No!» urlo. «No! Ho bisogno del telefono.» Sgancio la cintura di sicurezza, e sono talmente agitata che non mi accorgo che il cellulare ce l’ho già in mano. Provo ad allungarmi per raggiungere il portellone scorrevole, ma Beckett mi blocca.
E infine trabocca.
«Lasciami!» Mi dimeno con tutte le mie forze.
«Rylee» ripete affranto, e mi convince a desistere.
Beckett mi tiene stretta a lui; entrambi respiriamo affannosamente.
Il mio mondo si è paralizzato: lui è sdraiato su una barella, da qualche parte.
«Io lo amo, Beckett» sussurro.
«Lo so» risponde lui.
«Non posso perderlo.»
«Neanch’io.»
Il suono delle porte automatiche del pronto soccorso mi fa rivivere ricordi orribili, così come il bianco immacolato dei corridoi.
Le luci al neon sul soffitto sono l’unico elemento su cui riesco a focalizzare lo sguardo, mentre spingono la mia barella e intanto i dottori parlano. Ho in testa un’accozzaglia di pensieri incoerenti e intanto prego per Max e per la mia bambina.
«Ry?» La voce dolce di Beckett mi riscuote sulla soglia dell’ospedale. «Te la senti di entrare?»
Vorrei abbandonarmi al pianto. Le lacrime mi pungono gli occhi, ma ancora non sgorgano.
Inspiro per farmi coraggio e costringere i piedi a muoversi.
Continuo ad avere davanti il viso del medico: imperturbabile, impassibile, non smetteva di scuotere il capo. Ricordo che avrei voluto chiudere gli occhi e scivolare via per sempre anch’io, quando lui mi ha detto: «Mi dispiace».
No. No. No. Non posso sentire di nuovo quelle parole. Non posso sopportare l’idea che qualcuno mi informi che ho perso Colton, soprattutto ora che ci siamo appena trovati.
Conto le piastrelle del pavimento mentre Becks mi guida verso la sala d’attesa. Mi accomodo accanto a lui con il telefono in mano e guardo intontita i messaggi e le chiamate da parte di Haddie; non sono in grado di rispondere, anche se so che sarà fuori di sé dalla preoccupazione.
Mi cade lo sguardo su un libro per bambini appoggiato sul tavolino di fronte: Le avventure di Spiderman. Colton ha avuto paura? Si è accorto di cosa stava succedendo? Ha ripetuto la filastrocca di cui aveva parlato a Zander?
Con la coda dell’occhio noto le scarpe di un chirurgo e sento che qualcuno parla con Beckett.
«Lo specialista ha bisogno di conoscere con la massima precisione possibile i dettagli dell’impatto. Abbiamo cercato di vedere un replay dell’incidente, ma hanno smesso di mandare in onda le immagini dell’accaduto. Mi è stato riferito che era lei la persona più competente.»
«Si è ribaltato e ha colpito il guardrail… Almeno credo» risponde Beckett con un filo di voce. «Sì. L’auto era ribaltata e ha colpito la parte superiore del guardrail con il musetto verso l’alto. Poi la fiancata è crollata sulla barriera di cemento.»
L’urlo in contemporanea di migliaia di persone mi risuona ancora nelle orecchie.
«C’è qualche notizia?» chiede Beckett al medico.
L’inconfondibile rumore della lamiera schiacciata.
«Non ancora. Stiamo facendo gli esami e valutando tutti gli elementi…»
«Ma le prospettive…»
«Vi daremo un aggiornamento il prima possibile.»
L’odore di gomme bruciate sull’asfalto cosparso di olio.
Beckett sospira e si sfrega i palmi sul viso, poi con le dita tremanti afferra la mia mano e la stringe.
Lo pneumatico solitario che rotolava sull’erba e rimbalzava contro la barriera.
Lui ce la sta mettendo tutta per trattenere le lacrime, però non ce la fa. Mi devasta vedere che l’uomo che finora mi ha dato forza inizia a sgretolarsi. Chiudo gli occhi e mi impongo di rimanere salda per lui, ma continuano a rimbombarmi nel cervello le parole che mi ha detto ieri sera.
Scuoto la testa, in preda al panico e a una sensazione di irrealtà . «Mi dispiace tanto» sussurro. «Mi dispiace tantissimo. È colpa mia.»
Beckett si blocca un attimo e poi si asciuga gli occhi con i palmi.
Il senso di colpa mi assale nell’istante in cui realizzo che sono io il motivo per cui Colton è qui. Io l’ho respinto, non ho creduto in lui, l’ho fatto stancare la notte prima di una gara, tutto per colpa della mia testardaggine e delle mie paranoie. «Sono io che gli ho fatto questo.»
«Ma cosa dici?» ribatte Becks.
«È tutta… Gli ho incasinato la mente negli ultimi giorni, e tu mi hai detto che se continuavo sarebbe stata colpa mia se…»
«Ryl…»
«Ho litigato con lui, me ne sono andata, abbiamo fatto tardi ed è per causa mia che è salito in macchina stanco e…»
«Rylee!» esplode. «Quello che è successo non è colpa tua.»
Io sobbalzo quando mi avvolge tra le braccia e mi tira a sé: mi accuccio sul suo petto, strofinando la guancia sul tessuto ruvido della tuta ignifuga.
«C’è stato un incidente e lui ha dovuto guidare alla cieca. Sono cose che possono accadere durante le corse. Non è colpa tua.»
La claustrofobia comincia a soffocarmi tra i suoi artigli. Mi alzo di scatto: devo muovermi, alleggerire il disagio che mi sta seppellendo. Cammino avanti e indietro fino al fondo della sala d’attesa. Le lucine rosse lampeggianti sulle scarpe di un ragazzino catturano la mia attenzione. Strizzo gli occhi per vedere meglio e riconosco il triangolo rovesciato con una S al centro.
Superman.
Questo nome attraversa il mio subconscio come una piuma, mentre mi volto verso la tv: qualcuno ha cambiato canale, sento il nome di Colton e mi manca il respiro. Ho paura di guardare, ma voglio ascoltare.
Sullo schermo si affolla una massa di uniformi rosse dei pompieri. L’annunciatore spiega che l’incidente ha richiesto soccorsi che sono durati oltre un’ora, e intanto scorrono immagini della nuvola di fumo e delle auto che sbandano e si schiantano l’una sull’altra. L’angolazione delle riprese è diversa dalla visuale che avevamo sulla pista e ora siamo in grado di osservare meglio la dinamica, però nel momento in cui anche la macchina di Colton si schianta il filmato si interrompe. Il presentatore conclude dicendo che il pilota è attualmente ricoverato presso l’ospedale di Bayfront.
Ho negli occhi il corpo di Colton sulla barella, e Max al posto di guida accanto a me. La somiglianza di queste due situazioni scatena in me un dolore infinito. Mi giro e noto la famiglia Westin. La madre, di solito regale e volitiva, ha l’aria pallida e sconvolta. Andy la sostiene con delicatezza, guidandola verso una sedia mentre Quinlan le stringe l’altra mano.
Beckett in un lampo è al loro fianco. Dall’altra parte della sala sento un singhiozzo soffocato che rischia di farmi andare in pezzi. Nella mia mente torna vivo il ricordo del funerale di Max: una minuscola bara rosa poggiata su una normale bara di legno scuro, entrambe ricoperte di rose rosse.
Mi avvio verso Andy e Dorothea. Ci fissiamo, poi lei allunga una mano tremante a prendere la mia. «Non so cosa… Mi dispiace tanto…» Scuoto la testa, mi mancano le parole.
«Sappiamo tutto, tesoro» mi dice tirandomi tra le sue braccia e aggrappandosi a me. «Sappiamo tutto.»
«Lui ha una tempra fortissima» afferma Andy, dandomi leggere pacche sulla schiena per confortarmi e rendendo fin troppo reale ciò che è successo.
Continuo a vedere la faccia di Colton, la sua espressione rilassata e sicura mentre in mezzo al caos della sua squadra ha espresso i sentimenti che nutre nei miei confronti.
La televisione richiama di nuovo la mia attenzione: sta passando il trailer del nuovo film di Batman. La mia fiducia inizia timidamente a risorgere via via che collego tanti piccoli indizi che mi sono sfilati davanti nell’ultima ora: il libro di Spiderman sul tavolo, le scarpe di Superman, il film di Batman. Provo a essere razionale e a c...