Solitudine viene da sole e abitudine. È riconoscere il sole nel quotidiano, è fare cose con luce e calore, avere agosto in ogni gesto, essere forti come un’alba e delicati come un tramonto. Mi piace la solitudine perché non ha testimoni, si fonda sulla fiducia, edifica in silenzio. Mi piace perché è reale solo quando è desiderata, ricercata, quando la si ammira, perché essere soli e non amare il proprio disparte, vuol dire non essere innamorati di sé.
Quando non stiamo bene nella solitudine, al nostro sole vengono a fargli visita un sacco di ombre, sfilate di nuvoloni, alberi spogli. Solitudine non è semplicemente stare soli, ma stare soli bene, riconoscersi soli, pianeti caldi, anche in mezzo agli altri.
La solitudine è il mio primo cuore.
Sono convinto che ognuno di noi abbia cento cuori dentro, e che se li riconosciamo tutti, riusciamo a dare alla nostra vita una coscienza, un valore, un unguento per alleviare i colpi, una cura. Una volta riconosciuti, tutti e cento, si può anche morire sereni, ma meglio ancora, si può dire di aver vissuto la vita attentamente, perché chi è stato attento a cento meraviglie, non è stato poi così assente, sbadato. È difficile prendersi cura del cuore, quando ci riusciamo, si può dire che stiamo facendo un buon lavoro. Quando sono cento, di cui ci prendiamo cura, si può dire che stiamo facendo un capolavoro. Credo nel capolavoro, nel capolavoro del cuore. Credo che la parola cuore sia ferita, che abbia bisogno di una nuova vita, di poeti, di contadini, di rianimazione bocca a bocca, di chi riconsegni al ticchettio del suo tempo una vita veloce ma non abusata. La parola cuore ha bisogno di cure, molti ti amo sono stati detti a vanvera, molti amori sono nati sabato e morti domenica, in giro ci sono troppe promesse ritrovate con l’anulare senza oro. Dovrebbero inventare la parola cuorare: curare il cuore.
Faccio questo pensiero sulla solitudine mentre metto su il caffè: una moka da due per uno solo. Mi piacciono le cose da due per una sola persona, mi fanno sentire il doppio di uno, di più, mi fanno sentire pieno di moltitudini, doppia porzione, profondo, che strabordo uno e riporto due.
Delle cose a due per uno solo, mi piace anche lo yogurt e il letto matrimoniale. Quando ci dormi da solo hai un sacco di spazio, c’è terreno di gioco buono per inseguire i sogni più atletici.
Metto su il caffè, ma a me il caffè non viene mai bene. C’è chi dice che con poca polvere il caffè sa di acqua, e se ne metti troppa l’acqua manco esce. C’è chi dice di fare la montagnetta, chi di pressarlo e chi dice che a pressarlo ci pensa la moka durante l’avvitamento. Che anche quando pressi troppo, il caffè non esce. Un po’ come la nostra vita, se non facciamo niente sappiamo di acqua, se ci pressano troppo non riusciamo.
A casa mia l’odore del caffè è il primo di tutti gli odori, avvia alla vita, campana tibetana degli aromi, via libera degli occhi, incenso della mia messa.
È il mio secondo cuore.
Oggi è il 26 maggio e il 26 maggio del 1897, centoventidue anni fa, lo scrittore Bram Stoker pubblicò Dracula. Cinquant’anni fa, sempre di 26 maggio, dopo aver orbitato attorno alla luna, l’Apollo 10 atterrò facendo il record di velocità: 39.897 chilometri orari. Il 26 maggio di novantatré anni fa nacque il jazzista Miles Davis.
Il 26 maggio di oggi, invece, inaugurano qui a Perugia la Gag, Galleria d’Arte Giovane. Sarà adibita a esposizioni di opere contemporanee, quelle che quando ti ci fermi davanti pensi, un po’ stupidamente, “Potevo farlo anch’io!”. So che mi piacerà, Bongo mi ha detto che saranno esposti i lavori di alcuni tra i miei artisti preferiti, Yves Klein, Marina Abramović, Duchamps. La visiterò, ma non oggi, non domani. Aspetterò lo sfollamento delle prime settimane, la dissolvenza della calca, che da novità passi a vecchia abitudine, quando diventerà parte di un paesaggio scontato. Preferisco non avere troppa gente intorno quando mi predispongo a essere ammaliato, preferisco poca gente intorno quando passeggio, quando esco, a cena, quando vivo. Se riesco a contarle, le persone, allora riesco a contenerle. Seguo la matematica delle mani con le persone, fino a dieci reggo, dopo non ho dita su cui tenere il conto, diventano aria, invisibili, diventano folla. E io se non riesco a contare comodo ammattisco. Per questo folla e follia hanno la stessa radice.
Aspetterò volentieri qualche settimana prima di vedere la galleria, prima di scendere. Quando vivi in montagna, prima di scendere a valle, di toccare la città, ci pensi almeno due volte, perché la strada non è poca e nemmeno le buche, i dossi, i caprioli. La strada di montagna non è poca di niente, è fatta di tanto, è fatta di tutto, è riserva naturale dei nostri ricordi rimasti buoni.
Per arrivare in città bisogna uscire dal bosco, prendere prima la strada di ghiaia, poi la strada battuta, poi inizia un selciato fatto dai contadini di inizio Novecento, e solo alla fine trovi l’asfalto, quando già la popolazione si è riunita, quando tutto si è fatto facile. Vivere in montagna significa preferire gli alberi agli uomini, il tramonto al pub e il suono di cicala alle sirene dei soccorsi. Per farmi scendere, la città deve fare una cosa che ne deve valere la pena, deve valere un “wow” del mio cuore, deve avvicinarsi al miracolo o perlomeno offrire una meraviglia immancabile.
A me il casino fa male alla testa, strappa via le vene che mi collegano al corpo, agita il cuore e me lo butta fuori tempo, in un ritmo che non permette danza alcuna. Il casino è musica che io non so ballare, inciampo. A Perugia, di questi posti accoglienti, a parte la mia montagna, conosco solo la biblioteca e il tetto di Bongo, quando andiamo a bere tè e a vedere se le stelle cadono. Che poi se le stelle non cadono a noi poco importa, desideriamo pure sulle stelle fisse, sopra le costellazioni più forti, non ce ne importa niente, intanto ci portiamo avanti, poi magari, un giorno cadranno. Tutti cadono almeno una volta.
Nemmeno i giardinetti comunali sono più confortevoli, i parchi giochi di sera non accolgono bambini e papà in ferie, la sera cambiano pelle, ospitano ragazzi poco sicuri di sé che gettano sigarette e lattine a terra, scrivono di amori platonici sulla plastica dello scivolo, scrivono offese al cielo.
Oggi è il 26 maggio e io, sovversivo all’Apollo 10 e agli addetti della Gag che si staranno preparando al taglio del nastro, decido di non affacciarmi in città, di non uscire nemmeno oggi, che tanto a casa si sta bene, ho costruito il mio tiepido ideale. Il frigo è ancora accogliente di cibo e poi devo ancora potare gli albicocchi in giardino e concludere il primo capitolo di Capta, tornate sovrumani e poi devo ancora aggiustare la lavatrice e poi devo ancora fare un sacco di altri ancora. Penso che l’uomo sia fatto di molti “e poi”, di molti “ancora cose da fare” e che se li trascuriamo, i nostri ancora, allora diventano àncore calate nel mare più fondo. Ed è difficile andare al largo della nostra vita quando non abbiamo fatto altro che lasciarla alle strette, senza darle spazio.
Mentre aggiusto la lavatrice con una chiave inglese da tredici, nel momento in cui sto per dire “Ecco fatto”, mentre Martino il pappagallo annuncia la sua fame per la terza volta, nel tempo in cui una signora di Dozza di nome Angelique si prepara a prendere la sua pasticca per i dolori, nel tempo in cui in Francia due giovani fidanzatini concordano per seguire una terapia di coppia e mentre un cane cecoslovacco si dichiara perso tra i vicoli di Venezia e mentre il cielo si schiarisce e l’orologio si sposta sul terzo minuto di mezzogiorno, Bruce mi whatsappa.
BOSS, O UNA NOTIZIA BELLA E DUE BRUTTE.
QUALE VUOI SAPERE PRIMA? 12:03 ✓✓
PRIMA VOGLIO SAPERE PERCHÉ QUELLA POVERA
O È SENZA H! 12:04 ✓✓
BOSS, HO UNA NOTIZIA BELLA E DUE BRUTTE.
QUALE VUOI SAPERE PRIMA? 12:04 ✓✓
PRIMA DIMMI SE L’UNICA NOTIZIA BELLA È IN
GRADO DI NEUTRALIZZARE ALMENO UNA NOTIZIA
BRUTTA COSÌ DA PAREGGIARE I CONTI E INIZIARE
LA GIORNATA CON L’EQUILIBRIO ANCORA
IN GIOCO! 12:06 ✓✓
NO. 12:06 ✓✓
E ALLORA SORPRENDIMI! 12:07 ✓✓
LA PRIMA BRUTTA È CHE STASERA IRENE
DÀ UNA FESTA E DOVRAI USCIRE DALLA TUA
MALEDETTA TANA MO’, MI SERVE UNA
SPALLAAAAA! 12:07 ✓✓
BRUCE, QUESTA È UNA NOTIZIA ORRIBILE,
NON BRUTTA! 12:08 ✓✓
AJJAJAJJAAJAA. LA NOTIZIA BELLA È CHE
IL CORRIERE 361 MO’ FARÀ UN ARTICOLO
DI UNA PAGINA INTERA SU TE E
IL TUO LIBRO 12:08 ✓✓
L’ALTRA BRUTTA? 12:08 ✓✓
È CHE CI SARÀ UNA CONFERENZA A BRESCIA,
CON LORO, E MO’ DOVRAI ANDARE
A FARE UNA SPECIE DI INTERVISTA DI MEZZ’ORA.
E DOVRAI VESTIRTI BENE, SARAI
IN DIRETTA 12:09 ✓✓
BRUCE, DEVI RIVEDERE IL TUO CONCETTO DI
“BRUTTO” PERCHÉ IO QUI VEDO SOLO NOTIZIE
ORRIBILI E APOCALISSI NEL CUORE. E COMUNQUE
ALLA FESTA DI IRENE NON VENGO, TROVATI
UN’ALTRA SPALLA, ANZI UN’ALTRA SPALLAAAAA,
COME DICI TU, TI PREGO NON ME.
RISPARMIAMI 12:10 ✓✓
DAJJEEE ESCI DA STA CAZZO DI TANA
E MUOVITI, HAI TUTTO MO’ PER LAVORARE CAPTA
E GIOCARE CON QUEL PAPPAGALLACCIO INFAME,
MO’ NON ROMPERE E NON CERCARE SCUSE,
NON NE HAI. VENGO A PRENDERTI
UN PO’ PRIMA COSÌ PARLIAMO
DELL’INCONTRO CON IL CORRIERE.
DOBBIAMO FARE UN FIGURONEEEE. CIÀÀ! 12:11 ✓✓
Bruce è il mio sesto cuore.
Un classe ’86, l’ultimo sorso buono degli anni Ottanta, uno di quelli con ancora addosso la frescura e la leggerezza del secolo vecchio e il sogno di diventare un chitarr...