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Finalmente un po’ di silenzio. Sospiro, felice di essermi allontanata, anche solo per un momento, dalle inutili conversazioni che imperversano dall’altra parte della porta.
Sono i miei ospiti, ma questo non significa che mi debbano piacere per forza o che debba sentirmi a mio agio in loro compagnia. Per fortuna, Dane ha capito che avevo bisogno di una tregua e ha lasciato che fossi io a sbrigare questa piccola incombenza per lui.
Percorro i corridoi deserti del backstage del vecchio teatro che ho affittato per l’evento di stasera, e raggiungo il camerino dove Dane, prima della festa, ha lasciato le liste.
Ripasso mentalmente l’elenco di cose da fare per l’attesissima asta. L’istinto però mi dice che sto dimenticando qualcosa. Mi tocco il fianco, dove di solito tengo il cellulare con l’elenco sempre aggiornato, ma sento solo l’organza di seta del mio abito da cocktail color rame.
«Non è possibile» mormoro, cercando di ricordarmi cosa mi sta sfuggendo. Mi appoggio al muro, e il corpetto increspato del vestito mi impedisce di inspirare a fondo. Questo abito è stupendo, però avrebbe dovuto essere accompagnato da un biglietto di avvertimento: respirare è un optional.
Pensa, Rylee, pensa! Dondolo avanti e indietro per alleviare il dolore ai piedi, costretti nelle scarpe tacco dieci.
Le palette per l’asta! Devo prendere le palette per l’asta! Mi stacco dal muro e avanzo di qualche passo.
Ed è in quel momento che li sento.
Una risatina femminile fluttua nell’aria, seguita da un gemito roco e da una voce maschile che sussurra: «Oh mio Dio».
Mi blocco immediatamente, sconvolta.
Appena mi abituo al buio, riesco a distinguere una giacca da smoking nera appoggiata su una sedia e un paio di sandali alla schiava buttati sul pavimento.
Non farei una cosa del genere in pubblico nemmeno per tutto l’oro del mondo.
Stringo forte gli occhi in un istante di indecisione. Ho davvero bisogno delle palette che sono nel ripostiglio in fondo al corridoio. Purtroppo, però, l’unico modo per arrivarci è passare accanto a quei due. Non ho altra scelta. Mi auguro almeno che non si accorgano della mia presenza.
Mi avvio cercando di non sbirciare e in punta di piedi per evitare che i tacchi rimbombino sul parquet. L’ultima cosa che desidero è trovarmi faccia a faccia con qualcuno che conosco.
Sospiro di sollievo quando raggiungo il ripostiglio. Armeggio con la maniglia, mentre mi sforzo di riconoscere la voce della donna. Con uno strattone riesco ad aprire la porta e accendo la luce.
Individuo subito la borsa con le palette sullo scaffale più lontano, ma nell’attimo in cui afferro i manici, la porta alle mie spalle si chiude sbattendo con una tale forza da far tremare i mobiletti dello sgabuzzino. Mi volto per riaprirla e noto che si è staccata dal cardine.
Lascio cadere la borsa, che atterra con un rumore metallico. La maniglia gira, però la porta non si sposta di un centimetro. Sento montare il panico e tento di spingere il battente con tutta la mia forza. Non si muove.
«Cavolo!» mi maledico. «No, no, no!» Scuoto la testa frustrata. Ho tantissime faccende da sbrigare prima che l’asta cominci. E naturalmente non ho neanche il cellulare per chiamare Dane e chiedergli di venire a tirarmi fuori di qui.
Appena chiudo gli occhi, ho l’impressione che le pareti dello stanzino scorrano, avvicinandosi sempre di più l’una all’altra e richiudendosi su di me. Mi accerchiano. Mi soffocano. Il cuore batte in modo irregolare mentre tento di controllare la paura che mi sta artigliando. Il respiro breve e veloce mi risuona nelle orecchie. Non sono in grado di cancellare quegli atroci ricordi.
Prendo a pugni la porta e, quando perdo il contatto con la realtà , sono sopraffatta dall’angoscia. Un rivolo di sudore mi scorre lungo la schiena. Le pareti continuano ad avanzare verso di me. Devo assolutamente fuggire. Busso ancora, gridando come una pazza e sperando che qualcuno mi possa sentire.
Poi abbasso lo sguardo e noto che ho del sangue sulle mani. Sbatto le palpebre per riscuotermi dalle allucinazioni, solo che non riesco a liberarmene. Sono in un posto diverso. In un tempo diverso.
Intorno a me c’è l’odore acre della distruzione. Della disperazione. Della morte. Nelle mie orecchie, sento il suo respiro agonizzante. Lui sta ansimando. Lui sta morendo.
Provo un dolore intenso, lacerante, di quelli che si annidano talmente in profondità nell’anima da farti temere che non ti abbandoneranno mai. Nemmeno alla morte. Le mie urla mi riscuotono dai ricordi, e sono così disorientata che non capisco più se vengono dal passato o dal presente.
Controllati, Rylee! Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e ripenso alle sedute di terapia in cui per anni ho tentato di dominare la claustrofobia. Mi concentro su un segno sul muro di fronte a me e conto lentamente. Immagino di allontanare le pareti, proprio come quei ricordi insopportabili.
Mi tranquillizzo un pochino. So che Dane verrà a cercarmi a breve. Lui sa dove sono, tuttavia questa certezza non allevia il panico che torna a galla.
Inizio a battere di nuovo sulla porta con le nocche, gridando più forte che posso. Prego che qualcuno mi ascolti e mi liberi. Che qualcuno mi salvi ancora.
In questo incubo, i secondi sembrano minuti e i minuti ore. Ho l’impressione di essere bloccata per l’eternità in questo sgabuzzino che diventa sempre più piccolo.
Mi sento sconfitta, perciò urlo per l’ennesima volta e poi appoggio gli avambracci contro il battente per riposarmi. Cedo alle lacrime. I singhiozzi mi scuotono con violenza.
E all’improvviso ho la sensazione di cadere.
Di cadere in avanti e allo stesso tempo di inciampare nel corpo solido di un uomo di fronte a me. Con le braccia circondo un torace muscoloso, mentre le gambe si afflosciano. L’uomo d’istinto mi afferra e sostiene il mio peso per attutire l’impatto.
Alzo lo sguardo e registro al volo la massa di capelli neri dalle ciocche scompigliate, la pelle abbronzata, la leggera ombra di barba… Poi i suoi occhi. Una scarica di elettricità – un’energia quasi palpabile – mi percorre appena incrocio le sue limpide iridi verdi e guardinghe. Un lampo di sorpresa le attraversa, ma l’intensità e la malizia con cui mi sta fissando sono snervanti. La reazione del mio corpo è immediata, e bisogni e desideri a lungo dimenticati riaffiorano con prepotenza.
Come può una persona che non avevo mai visto farmi scordare il panico e la disperazione che provavo soltanto pochi istanti fa?
Commetto l’errore di rompere il contatto visivo e guardare la sua bocca. Le labbra piene e ben disegnate si increspano intanto che mi studia e poi, piano piano, si allargano in un sorriso sornione.
Oh, come vorrei questa bocca su di me, sempre e ovunque. Ma che diavolo sto pensando? Quest’uomo è totalmente fuori dalla mia portata. Anni luce distante dalla mia portata!
Arrossisco, sono davvero in imbarazzo sia per la situazione sia per i miei pensieri proibiti. Stringo la presa sul suo bicipite e tento di ritrovare la calma. Cercando di rimettermi in piedi, però, inciampo nei tacchi altissimi e gli finisco ancora più addosso. Balzo indietro per allontanarmi da lui, solo che sfioro con il seno il suo torace forte, incendiando le mie terminazioni nervose. Minuscole esplosioni di desiderio mi solleticano il ventre.
«Oh… ehm… Mi dispiace tanto» balbetto.
Ora che posso godermi la sua immagine intera devo ammettere che quest’uomo è ancora più disarmante: perfetto nella sua imperfezione e sexy come un angelo ribelle, con un sorrisetto arrogante e un’aria che suggerisce guai in vista.
Lui inarca un sopracciglio, notando la lenta ispezione a cui lo sto sottoponendo. «Non deve affatto scusarsi» risponde con voce roca, una voce che evoca immagini di perversione e sesso. «Sono abituato alle donne che cadono ai miei piedi.»
Sgrano gli occhi, mi auguro che stia scherzando, eppure la sua espressione enigmatica non tradisce nulla.
Gli sono talmente vicina che avverto il suo respiro sulla guancia e il profumo di sapone misto all’acqua di colonia delicata.
«Grazie» dico senza fiato. Vedo il muscolo della sua mascella serrata pulsare mentre mi guarda. Perché quest’uomo mi rende nervosa, come se mi dovessi giustificare? «La… la porta si è chiusa dietro di me. È inceppata. Ho avuto un attacco di panico…»
«Sta bene? Signorina…»
La mia risposta tarda ad arrivare intanto che lui mi tiene il palmo sulla nuca per avvicinarmi a sé e sorreggermi. Strofina la mano libera lungo il mio braccio nudo, in quello che immagino sia un modo per accertarsi che non mi sia fatta male. Il mio corpo registra la scia di scintille che la punta delle sue dita mi sta accendendo sulla pelle, e nel frattempo realizzo che la sua bocca sensuale è solo a un sussurro di distanza dalla mia. Schiudo le labbra e mi si blocca il respiro nell’istante in cui mi sfiora dolcemente la guancia con le nocche.
«Ma che cazzo» mormora qualche secondo prima che la sua bocca tocchi la mia.
Sono sotto shock, eppure le mie labbra si aprono permettendo alla sua lingua di insinuarsi tra loro. Gli appoggio le mani contro il petto, cercando di resistere a quel bacio non richiesto. Cercando di assecondare la logica. Cercando di negare ciò che il mio corpo sta reclamando: abbandonare le inibizioni e godere di questo momento speciale.
Il buonsenso ha la meglio e lo allontano di un millimetro. La sua bocca si stacca dalla mia, mentre i suoi occhi, colmi di ardente desiderio, sono inchiodati ai miei. Mi sforzo di ignorare il fuoco che si è acceso nel profondo del mio ventre. Mi accorgo che io voglio questo bacio. Voglio sentire quello che mi è mancato così tanto, quello che ho negato a me stessa di proposito. Voglio comportarmi in maniera avventata e avere quel bacio, quello di cui parlano i romanzi, in cui si trova l’amore e si perde l’innocenza.
«Decidi tu, dolcezza» mi ordina lui. «Un uomo può controllarsi solo fino a un certo punto.»
L’idea folle che una ragazza semplice come me possa far perdere il controllo a un uomo come lui mi disorienta. Lui approfitta del mio silenzio e, prima di stringere la presa sulla mia nuca, un sorriso lascivo gli piega gli angoli della bocca. Poi preme le labbra sulle mie. Indagando. Assaggiando. Pretendendo.
Resistere è inutile e mi abbandono a lui. Istintivamente sposto le mani dal suo viso e gli passo le dita tra i capelli che si arricciano sopra il colletto. Un gemito basso gli parte dalla gola, dandomi coraggio: la mia lingua si intreccia e danza con la sua. È un balletto lento e seducente, punteggiato da sospiri.
Lui sa di whisky. La sua sicurezza trasuda ribellione e io mi sento travolgere dalla lussuria. Una combinazione inebriante, che mi fa pensare che lui sia un cattivo ragazzo da cui questa brava ragazza dovrebbe stare alla larga. Nella mia mente scorrono immagini di schiene che si inarcano, di mani aggrappate alle lenzuola: sesso che sarebbe senza dubbio prepotente come il suo bacio.
Sto cedendo, anche se so che tutto questo è sbagliato. La mia coscienza mi dice di smettere. Che io non faccio queste cose. Che non sono quel tipo di ragazza. Che sto tradendo Max a ogni carezza.
Eppure mi fa sentire così incredibilmente bene. Seppellisco la razionalità sotto il desiderio che infuria attraverso i miei sensi.
La sua mano si sposta verso il mio bacino e mi spinge contro di lui, reclamandomi. La sua erezione preme sul mio ventre, inviandomi una scarica elettrica all’inguine: sono umida. Sposta la gamba tra le mie, provocandomi un intenso spasmo di piacere. Gemo piano, invitandolo ad andare oltre, mentre l’eccitazione aumenta.
Sto annegando nelle sensazioni che mi dà , però non sono disposta a tornare a galla per respirare l’aria di cui ho un disperato bisogno.
Mi mordicchia il labbro inferiore, mentre mi palpa il sedere. Per tutta risposta le mie unghie gli graffiano la nuca, come a rivendicare un diritto di proprietà .
«Dio, ti voglio adesso» mi sussurra tra i baci, rendendo più intenso il desiderio e avvolgendo un seno con la mano. Emetto un gemito soffocato appena le sue dita mi accarezzano un capezzolo indurito. Voglio il suo peso sul mio corpo, la sua pelle nuda sulla mia, voglio sentirlo muoversi dentro di me.
Avvinghiati, urtiamo la piccola nicchia nel corridoio. Lui mi spinge contro il muro, mentre i nostri corpi si palpano freneticamente, si assaggiano. Il suo palmo sfiora l’orlo del mio vestito da cocktail e si blocca quando tocca i bordi di pizzo delle calze autoreggenti.
«Oh mio Dio» mormora mentre strofina la mano lungo la mia coscia, a un ritmo dolorosamente lento, fino al piccolo triangolo di pizzo.
Cosa? Quelle parole. Mi stacco di colpo come se mi avessero frustata: sono le stesse parole che ho udito poco fa passando accanto alla nicchia. Hanno l’effetto di una secchiata di acqua gelida sulla mia libido. Ma cosa cavolo sto combinando? Faccio sesso con un tizio che non conosco? E soprattutto, perché proprio adesso, nel bel mezzo di uno degli eventi più importanti dell’anno?
«No. No… Non posso farlo.» Barcollo all’indietro e mi porto una mano tremante alla bocca. Nei suoi occhi verde smeraldo noto un lampo di rabbia.
«È un po’ tardi, dolcezza. Sembra proprio che tu l’abbia già fatto.»
Un moto di furia mi attraversa, perché sono abbastanza sveglia da dedurre che per lui sono appena diventata l’ennesima conquista della serata. Lo guardo, e l’aria compiaciuta sul suo volto mi fa venire voglia di insultarlo.
«Chi diavolo ti credi di essere per toccarmi così? Per approfittare di me in questo modo?» gli grido in faccia, nascondendo la vergogna dietro la collera. Come ho potuto abbandonarmi al suo bacio sconvolgente e alle sue dita abili senza nemmeno sapere come si chiama?
«Davvero?» mi chiede ironico, piegando la testa di lato e grattandosi l’accenno di barba. «Mi pareva che ti stessi sciogliendo tra le mie braccia…» E ride maliziosamente. «Non prendere in giro la piccola puritana che c’è in te cercando di convincerti che non ti sia piaciuto. Che ...