La Foresta Crepuscolare
Nel breve tempo che la melma impiegò a trascinarci nella pozza, capimmo che eravamo appena caduti in un portale d’accesso a una nuova dimensione.
Precipitammo vorticando su noi stessi, poi la caduta si trasformò in un’ascesa e alla fine balzammo fuori da una pozza di vapore violaceo, con la fune ancora stretta fra le mani.
Ci trovammo a fissare inebetiti un mare d’erba verde smeraldo punteggiato da migliaia di fiori, in cui svettavano altissimi alberi dalle fronde iridescenti. Sopra le nostre teste si apriva un immenso cielo tinto delle luci del tramonto.
«Che meraviglia...» sussurrai incantata, lasciando vagare lo sguardo tutt’intorno.
In piedi di fianco alla pozza, Lyon osservava la sostanza violacea, annuendo. «Quindi questo è un portale...» disse, poi di colpo esclamò: «Mario! Dov’è finito Mario?!».
«Ce l’avete fatta, finalmente!» gridò lui venendo verso di noi. Reggeva ancora l’altro capo della corda ed era seguito da una grossa pecora dalla folta lana azzurra.
Felici di ritrovarlo sano e salvo, stavamo per corrergli incontro, ma l’animale ci squadrò con ostilità e preferimmo tenerci alla larga.
«E quella pecora?» chiesi.
«Chi, Zazzicchia?» disse lui accarezzando teneramente l’animale, che chiuse gli occhi soddisfatto. «L’ho trovata qui che brucava l’erbetta. Simpatica, no?»
Una volta convinto il morbido amico di Mario a non seguirci, anche se il sole stava già calando decidemmo di esplorare la foresta cangiante in cerca di indizi su dove fossimo finiti. Vagavamo fra gli alberi, osservando affascinati le stranezze di quella dimensione, quando sbucammo in una radura al centro della quale si ergeva una gigantesca recinzione di pietra.
«Oh!» fecero i ragazzi all’unisono, alzandosi sulle punte per sbirciare oltre il muro. «Chissà cosa c’è dall’altra parte!»
«Non ci resta che scoprirlo» ribatté Lyon.
«Non sarà pericoloso?» osservai io, avvertendo uno strano presentimento.
«Noi andiamo. Forse tu preferisci restare qui da sola ad aspettare Herobrine?» mi punzecchiò Lyon avvicinandosi al recinto, dove i ragazzi stavano già montando una scaletta a pioli. «Spero solo che riusciremo a sentirti chiedere aiuto, in caso dovesse trovarti...»
Un brivido mi corse lungo la schiena, facendomi sobbalzare.
«E perché mai dovrebbe attaccarmi?» sbottai.
«Finché siamo stati insieme non l’ha mai fatto,» rifletté Lyon «ma cosa potrebbe accadere se sorprendesse uno di noi da solo?»
Lasciò che la domanda tormentasse tra i miei pensieri. Dieci minuti, mille raccomandazioni, infinite rassicurazioni e qualche minaccia dopo, stavamo scavalcando tutti e quattro l’alto muro di pietra.
«Ma tu guarda cosa mi tocca fare» borbottai mentre atterravo dall’altra parte.
Ci trovavamo in una vasta distesa di marmo sulla quale sorgevano delle colonne sparse qua e là; alcune giacevano al suolo spezzate, semisepolte dall’erba alta che cresceva tra le rovine.
«Un momento, fermi tutti!» Lyon si arrestò davanti a noi, osservando il cielo. «Da quanto tempo siamo in questo posto?»
Confusi, alzammo anche noi lo sguardo e ci rendemmo conto che non era cambiato di una sfumatura da quando eravamo arrivati.
«Impossibile!» esclamai sgomenta. «Abbiamo camminato per almeno un paio d’ore ed è ancora il tramonto?»
Gli occhi di Lyon si accesero di un lampo di comprensione: «La Foresta Crepuscolare!».
Ma certo! Come avevamo fatto a non notare subito l’eterno tramonto che tingeva i cieli della foresta?
«Oh, no... No, no, no...» balbettai. «Ecco perché avevo quel brutto presentimento!»
Mario e Stefano mi guardarono sbigottiti e chiesero a Lyon: «Che le prende?».
Lui disse semplicemente: «Naga».
«Chi è magra?»
«Macché magra! Ho detto Naga. NA-GA» ripeté lui, scandendo lentamente il nome. «È un... come dire...»
«Un enorme, raccapricciante, spietato, SCHIFOSISSIMO SERPENTE GIGANTE!» piagnucolai io terrorizzata, coprendomi il volto con le mani.
«Chiunque abbia sentito parlare della Foresta Crepuscolare conosce le creature che ci vivono» iniziò a spiegare Lyon. «Ci sono una marea di libri al riguardo!»
Eppure, della Naga non c’era traccia.
Quando arrivammo al centro dello spiazzo, scorgemmo una piccola statua posata su uno dei piedistalli di marmo. Raffigurava la testa di un serpente i cui occhi vacui sembravano osservarci costantemente, qualunque fosse la nostra posizione.
«Questo affare mette i brividi» mugugnai, cercando di sfuggire allo sguardo della statua.
«Sembra vivo...» disse Lyon scrutando il muso squamoso del serpente e fissando i suoi occhi malefici.
E aveva maledettamente ragione!
Di colpo la scultura spalancò le fauci, rivelando due lunghissime zanne appuntite, e soffiò con ferocia verso Lyon, che cadde all’indietro per lo spavento.
Il serpente di pietra prese vita e iniziò lentamente ad allungarsi, strisciando verso terra e diventando sempre più grande man mano che avanzava, mentre le scaglie grigie si coloravano di un intenso verde venefico.
Nel panico, scattammo in avanti e afferrammo Lyon per le braccia, aiutandolo a rialzarsi, poi facemmo l’unica cosa sensata: corremmo disperatamente, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra noi e quell’orribile mostro che continuava a originarsi dal piedistallo, crescendo e allungandosi a dismisura.
«Ma non eri tu quello che voleva fare il coraggioso e oltrepassare il muro?» gridai lanciando a Lyon un’occhiataccia, mentre correvamo a perdifiato.
Voltandosi appena a guardarmi con aria sgomenta, rispose: «Credo di aver cambiato idea: voglio continuare a vivere finché posso!».
La Naga però non era d’accordo, e ce lo fece intendere fin troppo chiaramente. Strisciò in avanti con velocità inaspettata, sbarrandoci la strada. Ormai era davvero gigantesca: il corpo verdastro si agitava sinuoso, mentre la lingua biforcuta guizzava verso di noi, quasi percepisse il nostro odore. E, quando chinò il muso per guardarci, le sue iridi si accesero di un intenso rosso sangue che ci pietrificò per lo spavento.
All’improvviso Lyon lanciò un grido: al segnale ci muovemmo contemporaneamente, le spade sguainate e le pistole cariche, e colpimmo la Naga con quanta forza avevamo.
I proiettili sparati da Lyon e Mario si conficcarono nell’addome della bestia, che si contorse e sibilò di dolore, ma le lame delle spade cozzarono contro le squame coriacee senza scalfirle.
«Dove sono le tue divinità, Lyon, ora che abbiamo bisogno del loro aiuto?!» piagnucolò Mario.
«Le spade sono inutili!» gli fece seguito Stefano, completamente nel panico.
«Ma i colpi di pistola sembrano averla almeno ferita» osservò Lyon, tenendo d’occhio il mostro.
Le nostre riflessioni furono presto interrotte da un nuovo attacco del serpente che, strisciando con rapidità, cercò di intrappolarci fra le sue enormi spire. Corremmo a perdifiato per raggiungere il muro e fuggire, ma a ogni tentativo la Naga ci sbarrava la strada, costringendoci a tornare verso l’interno del recinto.
Nella fuga, Lyon e Mario la centrarono di nuovo e notammo che, a ogni colpo di pistola andato a segno, lentamente le sue dimensioni si riducevano. Ma non abbastanza da riuscire a sopraffarla.
Alla fine ci trovammo in trappola: con spietata astuzia, la creatura ci aveva spinto verso il centro del cortile e ora ci sbarrava ogni via di fuga circondandoci con le sue spire, che si stringevano sempre più intorno a noi. Ci osservava con occhi infuocati, quasi pregustando il momento in cui ci avrebbe azzannato.
Quando all’improvviso vidi l’enorme testa della Naga schizzare in avanti con le fauci spalancate, capii in un istante che per noi era giunta la fine: non ci diede nemmeno il tempo di dirci addio, di vedere la nostra vita scorrerci davanti agli occhi o di gridare qualcosa di incredibilmente stupido. Chiusi gli occhi…
E sentii accanto a me un boato assordante! Quando li riaprii ero ancora viva e la Naga, allentata la stretta, stava strisciando via, mentre al mio fianco Lyon e Mario reggevano le pistole ancora fumanti: avevano tentato il tutto per tutto e avevano mirato agli occhi, centrandoli in pieno e accecandola.
Avevamo finito i proiettili e la creatura era ancora pericolosa, ma ora avevamo un vantaggio! Così, quando tornò all’attacco, probabilmente guidata dall’olfatto, ci schierammo faccia a faccia con lei brandendo le spade, e ci preparammo a combattere. Quando fu a pochi passi da noi, io e Stefano ci lanciammo contro il suo muso e spingemmo le lame con quanta forza avevamo. La bestia si ritrasse, mentre le ferite la facevano rimpicciolire sensibilmente. Avevamo trovato il punto debole della Naga: la testa.
Quindi ci scagliammo su di lei menando fendenti senza concederle tregua, finché Lyon afferrò la spada di Stefano e, con un ultimo colpo decisivo, gliela tagliò di netto. In quello stesso istante un’aura verdastra avvolse la Naga e il suo corpo si pietrificò, andando in frantumi poco prima di toccare terra. La testa, invece, si sollevò in aria spalancando le fauci e, soffiando furiosamente, fluttuò verso il piedistallo al centro del cortile, dove si trasformò di nuovo in una statua.
Ancora ansimanti per la furia della battaglia, ci guardammo sorpresi e felici, poi i ragazzi si avvicinarono a Lyon assestandogli una pacca sulla spalla.
«Bel colpo, amico!»
«Gliel’hai fatta vedere a quella Naga!» esclamò Mario euforico. «Lei faceva “Hsssss” e tu “BAM!” e... addio testa!» Brandendo la spada sferzò l’aria, imitando l’ultimo colpo inferto da Lyon, che nel frattempo si era impettito così tanto da assomigliare a un tacchino.
Scoppiammo a ridere, ancora scossi dallo scontro, poi ci avvicinammo con cautela al piedistallo, dove la testa pietrificata ci fissava nuovamente con occhi vuoti.
«Pensate che si risveglierà?» chiesi ansiosa tenendomi a debita distanza, ma il problema che sembrava affliggere Lyon era decisamente un altro.
Infatti stava esaminando ogni angolo della scultura e del piedistallo su cui era posata, apparentemente senza successo.
«Ma si può sapere cosa stai cercando?» chiesi incuriosita.
«Il tesoro della Naga!» esclamò Lyon frustrato.
Alzando gli occhi al cielo e sforzandomi di non perdere la pazienza, tentai di convincerlo a lasciar perdere e ad abbandonare quel luogo il prima possibile, ma fu tutto inutile. Soprattutto quando Mario e Stefano, ingolositi dal misterioso bottino, si schierarono dalla sua parte: «Almeno abbiamo rischiato la pelle per qualcosa!» esclamarono in coro fissandomi indignati, quasi li avessi offesi.
Continuarono a esaminare il piedistallo e la statua per quasi un’ora, senza risultati, mentre io li osservavo innervosita, sperando che prima o poi gettassero la spugna.
«Va be’, ma a questo punto portiamoci via almeno la statua!» esclamò Stefano indicando la testa pietrificata della Naga. «Sarebbe proprio un bel trofeo!»
«Grande idea!» esclamò Lyon con rinnovato entusiasmo. «... Ma dove la mettiamo?»
Come se la mia pazienza non avesse già sfiorato il limite, Mario tirò fuori dalla tasca un vecchio portamonete e disse: «Qui dentro!».
Lo guardammo esterrefatti, pensando che lo scontro con la Naga lo avesse scosso più di quanto avessimo immaginato, ma lui corse a raccogliere un grosso pezzo di marmo e se...