Dieci cose che avevo dimenticato
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Dieci cose che avevo dimenticato

  1. 308 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dieci cose che avevo dimenticato

Informazioni su questo libro

Marta e Giò sono sorelle, e non potrebbero essere più diverse. Giò vive a Parigi, è libera, senza legami - tranne quello con la sua gatta che l'aspetta a casa la sera - e ha intrapreso una brillante carriera nella pubblicità. Marta invece ha scelto l'amore per il compagno e il figlio di tre anni: da Milano si è trasferita in provincia e lavora come speaker in una piccola radio. A volte ripensa al sogno di diventare fotografa che ha abbandonato per fare la mamma, ma sa che il coraggio e la determinazione della sorella, lei non riuscirebbe a trovarli. Un giorno, però, tutto viene messo in discussione: Giò e Marta ereditano la pasticceria di famiglia e fanno ritorno in Umbria, nel paese dei loro giochi di bambine. Lì, tra ulivi e buon vino, le giornate rallentano e, inaspettato, arriva il momento di capire se quello che hanno costruito le appaga davvero o se bisogna ripartire da zero. E poi c'è lui, uno che sa sempre trovare le parole giuste, e che sconvolgerà le vite di entrambe... Lucrezia Sarnari ci racconta di luoghi in cui il tempo ha ancora il valore di una volta e di donne che smettono di vivere in apnea per lasciarsi alle spalle tutto ciò che le fagocita. Ci ricorda che, anche oggi, in questo mondo che sembra non fermarsi mai, imparare a conoscersi ed essere felici è possibile.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817103138
eBook ISBN
9788858693858

1

Un nuovo taglio di capelli

Giò

Adoro il mio nuovo taglio di capelli. Letteralmente. Lo adoro.
Il primo taglio corto della mia vita ispirato a quello che aveva Jean Seberg. A circa un mese dai trentacinque anni mi sento leggera, ringiovanita, quasi bella, una cosa che non mi succede mai, nonostante mi piaccia molto prendermi cura del mio aspetto. Da bambina ero più che sicura che un giorno avrei lavorato nella moda e invece oggi, al massimo, riempio carrelli online di vestiti che mi conquistano ma che non ho il tempo di provare. La cosa che adoro di più è andare a caccia di eccentricità nei mercatini, che peraltro a Parigi sono deliziosi, ma a essere sincera non ho il tempo nemmeno per quello.
Lavoro molto, secondo mia madre Lucia molto più di quello che dovrebbe fare una ragazza della mia età. Ma io, il mio lavoro, lo amo. Vivo in simbiosi con il mio lavoro e soprattutto con le mie ambizioni di una carriera importante. Vivo anche con una gatta, Frida, non in simbiosi però, perché io sono fuori tutto il giorno mentre lei si gode la casa. O meglio, il tetto della casa. Non avevo mai pensato a un gatto, a dirla tutta non avevo mai pensato di poter tenere in casa nessun animale, almeno prima di incontrare Frida. Sono tre anni che viviamo insieme, l’ho trovata un mese dopo il mio arrivo a Parigi, una sera malinconica che ricordo bene perché ero al telefono con mia sorella Marta che è diventata mamma due giorni dopo. Lei un bambino, io un gatto, e sono contenta così, almeno per il momento.
Ho la vita che sognavo da piccola? In effetti non lo so. Quando avevo quindici anni pensavo che a trenta sarei stata una donna realizzata. Pensavo che non sarei mai uscita di casa struccata, che mi sarei vestita ogni giorno in maniera impeccabile, avrei indossato i tacchi con disinvoltura, sarei stata piuttosto “in carriera” e discretamente benestante. Nei miei pensieri ero elegante e piacente. Senza un uomo, o forse sì, non era un dato rilevante quello, di certo senza figli. Nei miei sogni avevo un trench, un Borsalino e una borsa costosa. Pensavo che tutto questo mi avrebbe resa felice e oggi, a trentacinque anni, sono Giò, la proiezione reale di quella donna. Non cammino con disinvoltura sui tacchi, non sono magra come avrei desiderato ma sono piuttosto “in carriera” e non ho grossi problemi economici. I miei sogni li ho sempre trattati come obiettivi da raggiungere ma per farlo so di aver sacrificato qualcosa. Che cosa sia questo qualcosa non ho il tempo di chiedermelo, o forse semplicemente non voglio: di certo so che la mia vita non è perfetta, ma quale vita lo è? Non voglio soffermarmi troppo a chiedermi se l’idea di restare sola a livello affettivo per tutta la vita sia qualcosa che mi spaventa davvero. Ci sono serate in cui cenare da sola con un trancio di pizza scaldato nel microonde un po’ mi pesa, altre in cui nell’enorme letto a due piazze faccio fatica a scaldarmi ma credo di avere molto di quello che sognavo, tra cui un paio di trench e svariate borse costose. Credo però anche di sapere bene cos’è che non ho ancora e che desidero profondamente.
Io voglio la mia promozione. È quello il mio obiettivo: vorrei che i sacrifici fatti in tutto questo tempo mi fossero riconosciuti. Vorrei lasciare il segno, fare qualcosa che verrà ricordato. Per molti sono solo una superficiale anaffettiva e anche un po’ egoista: la verità è che sono convinta che non esista un unico modo di essere realizzati e questo è il mio. Una volta, durante una delle uniche quattro sedute della mia vita, l’analista mi sbatté in faccia quella che, a detta sua, è la mia totale incapacità di autoanalizzarmi, di andare al fondo delle questioni emotive che mi riguardano. Io le risposi che ero convinta del fatto che i problemi, se ci sono, prima o poi vengono a galla senza bisogno di soffermarcisi troppo e in seguito conclusi che non avevo bisogno di un analista. Non giudico chi ha fatto scelte diverse, come mia sorella Marta ad esempio, ma io non ho intenzione, almeno per ora, di fermarmi e tirare il fiato, la noia mi spaventa parecchio e sono sicura che una vita vissuta a un ritmo più lento mi annoierebbe da morire. Forse il motivo per cui non ho mai comprato un Borsalino è proprio questo: l’aria un po’ noiosa di chiunque lo indossi.

2

Ottanta metri quadrati nel cuore del Marais

Il vino l’ho scelto per far colpo su un cliente: uno Chenin preso in Loira di cui avevo tenuto un paio di bottiglie per me. Non ho molta fame: meglio ripiegare sul vino nella speranza che allenti un po’ la tensione della giornata.
Non riesco a smettere di pensare a quel messaggio ricevuto poche ore fa. A dire la verità non riesco a staccare mai del tutto dal lavoro, neanche quando finalmente mi chiudo alle spalle il portone del mio attico mansardato: ottanta metri quadrati nel cuore del Marais. Chi direbbe mai che uno dei quartieri più deliziosi della città prende il nome dalla natura paludosa dei terreni dove sorge: marais in francese significa palude ma anche adorabili localini, negozi alla moda e una serie di stradine lastricate di sanpietrini in cui si respira ancora l’atmosfera di un tempo. Mi sono innamorata fin da subito della sua capacità di essere borghese e allo stesso tempo “bobo”, di unire lo charme del vecchio mondo alle funzionalità della vita moderna.
La prima volta che ho oltrepassato la soglia, il riverbero della luce che filtrava dai lucernari ha avuto il potere di catapultarmi nel passato, quando mi rinchiudevo con mia sorella Marta nel solaio della nonna a curiosare nei grandi e polverosi bauli pieni di vestiti. La vista mozzafiato sui tetti di Parigi che si stagliava dalla finestra della cucina aveva fatto il resto.
«La prendo» ho quasi urlato, senza pensarci troppo e lasciando l’agente immobiliare che stava elencando i pregi dell’immobile pressoché attonita. È stata una delle decisioni più veloci di tutta la mia vita ma non avevo bisogno di sapere altro, neanche il prezzo, perché la promozione che mi aveva portata a trasferirmi da Milano, per mia fortuna, prevedeva un consistente bonus. Vivere qui è forse la soddisfazione più grande che mi sono tolta grazie al mio lavoro. Mancano il profumo della cena in forno e la dispensa sempre piena, ma per il resto è una casa vera, simile a quella in cui sono cresciuta, anche se meno rumorosa. E decisamente più vuota. Se penso alla casa dov’è nata mia madre, piena di quei mobili che fino a cinque anni fa avremmo chiamato “della nonna” e che adesso sono tornati di moda sotto le spoglie dello shabby chic, mi viene l’orticaria. È che oggi funziona così: cambiamo nome alle cose, troviamo un termine straniero per definirle e il gioco è fatto. Basti pensare al caro, buon vecchio autoscatto, al fatto che nessuno se lo filasse più quando invece è bastato un nomignolo accattivante come “selfie” per farlo diventare pane quotidiano per tutti. E comunque io per lavoro mi occupo di comunicazione e pubblicità e quindi a me va benissimo così: prendere ispirazione dal passato è sempre una buona idea, quando non si parla di casa mia però. Forse è vero, se non fosse per il mio disordine, sembrerebbe quasi che qui non ci viva nessuno ma, quando sei da sola e non hai particolari predisposizioni verso il focolare domestico, diventa davvero difficile trovare il tempo per arredare una casa come si vorrebbe. Comunque, dopo tre anni dal mio trasferimento, un mese fa ho finito di sistemare le tende e mi sembra già un ottimo risultato.
Ho bisogno di staccare la spina da questa giornata e dai miei pensieri e l’unica medicina che funziona è alzare il volume dello stereo.
Vivo da sola da più di dieci anni, da quando, appena finita l’università, ho scelto di spendere i seicento euro che guadagnavo facendo la stagista per pagarmi l’affitto del mio minuscolo appartamento milanese. Avevo bisogno di sentirmi autonoma ma se la New Adv non mi avesse assunta dopo soli sei mesi non ce l’avrei mai fatta a mantenermi: o l’affitto o la cena. Lo ricordo con tenerezza, quel periodo: ero ancora più determinata e decisa di ora e non sono mai stata una sprovveduta anche se, devo ammetterlo, la mia fortuna l’hanno determinata le mie amiche. È grazie a loro che ho avuto l’idea di proporre a un grosso cliente che produce cosmetici una web serie che avesse come protagoniste cinque trentenni single e precarie. Fu un successo e per me significò l’assunzione come copywriter. Poi, tre anni fa, quando ho scoperto che stavano cercando una risorsa da inserire come brand manager nella nuova agenzia di Parigi, ho fatto di tutto per ottenere il mio attuale posto di lavoro. Avevo esperienza nel settore, conoscevo bene il francese, ma quello che contava davvero era che il pensiero di farmi una famiglia tutta mia non mi sfiorava nemmeno, cosa che avrebbe di certo ostacolato qualsiasi carriera. O almeno quella di una donna. Questo è quello che ho ribadito più e più volte ai miei superiori e ai ragazzi con i quali negli anni sono uscita. Non ho tempo per i sentimenti: affermarmi, essere indipendente, far sentire la mia voce in un mondo che per la maggior parte è composto da uomini è l’unica cosa che per me conta. Nessuna storia importante. Nessuno che negli ultimi dieci anni mi abbia fatto perdere davvero la testa e alla fine mi sono convinta che la testa ce l’ho talmente ben salda che non la perderò mai.
Adoro un locale che si trova all’angolo di Rue Vieille-du-Temple. Si chiama La Perle, è letteralmente un covo di ricchi bohémien che si ritrovano a bere un bicchiere di vino dopo il lavoro e deve la sua fortuna al fatto che tra i clienti abituali c’è anche John Galliano, che io, però, non ho mai incontrato.
Vivere in una metropoli mi piace: sentirmi parte del movimento, sapere che intorno a me si sta realizzando qualcosa di importante mi elettrizza, a differenza di quello che accadeva nella provincia, dove ho trascorso la mia infanzia. I miei genitori si sono trasferiti dall’Umbria a Milano quando avevo sei anni e, per quanto amassi mia nonna e la campagna, in cui ho passato le estati anche dopo il trasferimento, ringrazio ogni giorno per quell’opportunità che ha fatto migrare la mia famiglia in una grande città. Adoro il fermento che c’è nell’aria, a Milano così come a Parigi, e mi basta questa sensazione per sentirmi bene.
Certo, devo ammettere che negli ultimi dieci anni nella mia vita non c’è stato nulla che non fosse, in qualche modo, legato alla mia carriera. L’ultimo viaggio “di piacere” che ho fatto è stato quello per i miei trent’anni con Marta e le mie amiche storiche, che ormai, da quando vivo a Parigi, non vedo più di due volte l’anno. È stato bello, abbiamo deciso di andare a Lanzarote perché volevamo goderci il mare, i cocktail ghiacciati e le chiacchiere. Mi sono divertita ma, come al solito, nemmeno in quell’occasione sono riuscita a rilassarmi completamente: sapevo di avere un numero consistente di ferie arretrate, ma sapevo anche che ogni giorno lontana dall’ufficio rappresentava una possibile minaccia per il mio obiettivo. Ho studiato e lavorato sodo e adesso, a meno di un mese dal mio trentacinquesimo compleanno, a un passo dal diventare socio dell’agenzia, non posso davvero permettermi di perdere il ritmo. Diventare socio dell’agenzia significherebbe non solo essere ripagata dei sacrifici e delle rinunce di una vita, ma soprattutto essere una delle pochissime donne sotto i quaranta a capo di un’agenzia pubblicitaria che fattura svariati milioni di euro all’anno.
Bernard Scott, uno dei cinque soci fondatori della New Adv, tre mesi fa ha finalmente deciso di andare in pensione, pronto a godersi i soldi e gli anni che la vita gli concederà, e ha annunciato che sarebbe stato rimpiazzato da una giovane leva che, nel tempo, aveva dimostrato “uno smodato attaccamento al lavoro contribuendo in maniera attiva alla crescita del fatturato”. Parole sue. Aveva aggiunto anche che, con molta probabilità, il suo successore sarebbe stato donna. Non nego che ho sperato fin da subito che Bernard, che non ha nascosto di apprezzare il mio lavoro fin dai tempi dello stage a Milano, in quell’annuncio si stesse riferendo proprio a me. Poi oggi quel messaggio, arrivato all’improvviso alla fine dell’ennesima lunga giornata lavorativa, mi è sembrato quasi una conferma della speranza che ho covato negli ultimi tempi.
“Ciao Giovanna,
domani dopo la presentazione ci vediamo in ufficio da me. Ci sono notizie importanti.
p.s. Non ho revisionato il tuo lavoro per il cliente, mi fido di te.
Bernard”
L’avrò riletto forse trenta volte cercando di intuire il tono usato da Bernard e no, la sensazione che finalmente quel momento, il mio momento, sia arrivato non se ne va. Stasera avrei voglia di festeggiare, di leggerezza, ma le persone che più amo non sono qui con me. Con me c’è solo Frida.
«Ciao piccolina, sei pronta per andare a letto? Domani sarà una giornata importante e non vorremmo mica presentarci ai grandi capi con le occhiaie!»
Le accarezzo il pelo morbido mentre penso che stanotte non riuscirò a dormire e che domani serviranno quintali di correttore per rendermi presentabile. Anche se domani, che si prospetta essere uno dei giorni più importanti per la mia carriera, più che presentabile vorrei essere impeccabile.

3

“Rome wasn’t built in a day”

L’inverno a Parigi sembra essere più freddo del solito e mi obbliga a stringermi ancora di più nel cappotto di lana. Stamattina mi sono preparata con molta calma. Mi sono vestita con cura scegliendo per la riunione la gonna rosso fuoco leggermente svasata che ho preso da Cos qualche settimana fa, una camicia bianca con le rouche sul davanti e un paio di décolleté nere di Prada che ho messo con dei calzini alla caviglia rinunciando ai collant: cosa di cui ogni volta mi pento amaramente un attimo dopo aver messo piede fuori casa! Oggi però ho bisogno più del solito di sentirmi attraente. Sono abituata ai complimenti degli uomini, mi fanno piacere, per carità, ma non mi lusingano più di tanto. So quando sarebbe il caso di slacciare distrattamente un bottone della camicetta per ottenere qualcosa, ma ho sempre cercato di utilizzare la mia competenza e di non affermarmi per la mia avvenenza. Lo faccio per me, mi piace prendermi cura del mio corpo e quando entro in una profumeria faccio spesso la fortuna della commessa di turno. Vado a correre di tanto in tanto, la mattina presto quando ne ho tempo e voglia, solo che non sono una fissata col fitness, il wellness e tutte quelle robe là, e il mio sport preferito resterà sempre entrare nei camerini di qualche bel negozio di Parigi.
Mi sono anche truccata più del solito: ho degli occhi castani molto grandi, un naso piccolino, delle labbra non troppo carnose e non amo uscire di casa con un chilo di trucco in faccia ma il nuovo taglio di capelli, che ho portato sempre lunghi, lisci e con una forma poco fantasiosa, mi impone un minimo di cura in più. Spero solo di non aver esagerato, non vorrei che in ufficio, vedendomi, intuissero che c’è qualcosa che bolle in pentola. E non vorrei nemmeno che Bernard pensasse che sia così sfrontata da essere sicura di avere la promozione in tasca. In ogni caso, ho una riunione importante e il cliente di stamattina giustifica da solo il mio abbigliamento.
«L’ultima volta che mi preparo per andare in ufficio da semplice dipendente. Che te ne pare, Frida? Sono abbastanza elegante per essere nominata socio di una delle agenzie pubblicitarie più importanti al mondo?»
Al pensiero mi si stringe lo stomaco per l’eccitazione: ho atteso questo momento per tutta la vita e non riesco a credere che finalmente il grande giorno sia arrivato. Ma non voglio pensarci, devo restare concentrata sulla riunione, sul mio cliente che devo convincere a firmare e a scegliere la nostra agenzia.
Sono in anticipo e vorrei fare due passi a piedi ma è troppo freddo: devo ripiegare sulla metro che non mi fa impazzire, figuriamoci a quest’ora con i vagoni stipati di pendolari e di universitari che scendono una fermata prima della mia, a Cluny. Chissà se Parigi mi sarebbe piaciuta ugualmente ai tempi dell’università, squattrinata com’ero. Me lo chiedo spesso e ogni volta arrivo alla conclusione che probabilmente l’avrei odiata; ma se invece ci fossi entrata in sintonia, Parigi non avrebbe di certo aiutato il mio percorso di studi. Milano era ugualmente piena di opportunità ma era pur sempre casa mia ed essere costrette a tornare a casa la sera, da mamma e papà, non ti lascia le stesse opzioni che ti offre la vita da studentessa fuori sede.
Sono le otto e trenta e a quest’ora l’ufficio è semideserto: vorrei fermarmi a prendere un caffè ma resisto perché voglio avere il tempo di controllare che tutti i documenti siano a posto prima della riunione. Devo presentare al cliente una campagna pubblicitaria di lancio per una nuova linea di cibi biologici surgelati alla quale sto lavorando da circa tre mesi. So che la campagna funziona e che le idee sono buone ma M. Dubois, oltre a essere estremamente ricco, è uno vecchio stampo, di quelli che non vogliono rischiare nulla ma pretendono comunque di fare una pubblicità che “resti in testa”. La verità è che non riesco a concentrarmi: i miei pensieri continuano a correre all’incontro con Bernard, ho immaginato il suo discorso non so nemmeno più quante volte da quando mi sono svegliata e altrettante volte ho provato quella che dovrebbe essere la mia reazione: dovrei contenermi dicendo che in cuor mio lo sapevo perché quello era il ruolo per il quale avevo sudato in quegli anni, oppure dovrei mostrarmi sorpresa, meravigliata, sull’orlo di uno svenimento per l’emozione? E se Bernard mi dicesse che non sarò io il nuovo socio?
«Buongiorno Giò, il signor Dubois è arrivato, l’ho fatto accomodare nella sala riunioni e gli ho detto che lo avresti raggiunto là.»
Sono così immersa nei miei pensieri che non mi sono nemmeno accorta che hanno bussato alla porta. «Grazie Marion, dammi un minuto e arrivo. Tu intanto potresti preparare il caffè?»
Marion, quarantacinque anni, francese fino al midollo, lavora per la New Adv da quando hanno aperto la sede di Parigi. È una recept...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dieci cose che avevo dimenticato
  4. 1. Un nuovo taglio di capelli
  5. 2. Ottanta metri quadrati nel cuore del Marais
  6. 3. “Rome wasn’t built in a day”
  7. 4. Uno tsunami di nome Vittorio
  8. 5. Mamme on the Rocks
  9. 6. La più brava nel tuo lavoro
  10. 7. Il campo di girasoli
  11. 8. Partire da sola
  12. 9. L’aereo all’alba
  13. 10. Il vecchio poster di Dylan McKay
  14. 11. L’ultimo saluto
  15. 12. La lettera
  16. 13. Abbraccio mia madre
  17. 14. Ironic
  18. 15. Collestefano
  19. 16. Da Rosa
  20. 17. Il pavimento in cementine
  21. 18. Dancing Queen
  22. 19. Tiziano Ferro
  23. 20. Polpette al sugo
  24. 21. La pasticceria della nonna
  25. 22. Il vaso di Pandora
  26. 23. Il pranzo della domenica
  27. 24. Un elefante intero
  28. 25. Merlot, Chardonnay, Grechetto e Trebbiano
  29. 26. Ibuprofene a colazione
  30. 27. Primo appuntamento
  31. 28. Una passione a metà
  32. 29. Uova di prima mattina
  33. 30. Completezza umana
  34. 31. Una peggiore di me
  35. 32. Le mie Louboutin
  36. 33. Potresti anche restare
  37. 34. Madre degenere
  38. 35. Un milione di abitanti
  39. 36. Lo sporco sotto il tappeto
  40. 37. Responsabilità
  41. 38. Louis
  42. 39. Le mie priorità
  43. 40. Cucinare madeleine
  44. 41. Voglio restare qui
  45. 42. Non così
  46. 43. Due sorelle
  47. 44. Ripartire da noi, ma diversi da noi
  48. 45. La festa dei fiori
  49. 46. Mal d’Africa
  50. 47. Anna
  51. 48. Dieci cose che avevo dimenticato
  52. 49. Primavera a Parigi
  53. Ringraziamenti