Il 42° parallelo
eBook - ePub

Il 42° parallelo

  1. 540 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il 42° parallelo

Informazioni su questo libro

"Chicago. La città del vento, del jazz, dei grattacieli e dei mattatoi. L'utopia urbana del Novecento e la ricerca di una lingua nuova, una musica disarmonica e indiavolata con cui raccontare la metropoli. Quante illusioni cadute. Sa di sigari spenti questo libro, e del whisky bevuto il cui profumo rimane nel bicchiere: sa di cemento fradicio, di ferro arrugginito e mattoni ridotti in polvere, come le fabbriche abbandonate delle nostre città occidentali."

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
Print ISBN
9788817023320
eBook ISBN
9788858692431

OCCHIO FOTOGRAFICO (1)

Quando si cammina per la via bisogna sempre posare i piedi con attenzione sui ciottoli in modo da non pestare i fili d’erba lucenti tutti ansiosi è più facile se si stringe la mano della mamma e ci si fa reggere, così si possono alzare i piedi ma camminando in fretta bisogna pestare troppi fili d’erba le povere lingue verdi ferite si raggrinzano sotto i piedi forse è per ciò che quella gente è tanto infuriata e ci segue agitando i pugni gettano sassi, gente adulta che getta sassi La mamma cammina in fretta e noi corriamo la punta acuta delle sue scarpe sporge netta tra i poveri fili calpestati sotto le pieghe agitate della sottana marrone Inglese un sasso tintinna sui ciottoli.
Presto tesoro presto nel negozio di cartoline è tranquillo la gente infuriata sta fuori e non può entrare Non nein nicht inglese, amerikanisch americain Hoch Amerika Vive l’Amérique Mamma ride Caro mi avevano proprio spaventata
La guerra nel veldt Kruger Bloemfontein Lady-smith e regina Vittoria una vecchia signora con la cuffia a punta mandò cioccolato ai soldati per Natale sotto il banco è scuro e la signora la brava signora olandese che ama gli americani e ha parenti a Trenton mostra cartoline che risplendono nell’oscurità begli alberghi e palazzi O que c’est beau schön carino carino e la luna luccica luccica sotto un ponte e i piccoli reverbères sono accesi nell’oscurità sotto il banco e le finestrine degli alberghi intorno al porto O que: c’est beau la lune
e la luna piena.

MAC

Quando il vento spirava dalle fabbriche di argenterie attraverso il fiume, l’aria della grigia baracca per quattro famiglie, dove Fainy McCreary era nato, soffocava per tutto il giorno con l’odore di sapone di balena. Altre volte sapeva di cavoli, di bambini e delle caldaie da bucato della signora McCreary. Fainy non poteva mai giocare in casa perché papà, un individuo zoppo dal petto incavato e i baffetti biondo-grigi, era guardiano notturno alle Manifatture Chadwick e dormiva tutto il giorno. Soltanto intorno alle cinque un ondulato sbuffo di fumo di tabacco filtrava, per la porta della stanza d’ingresso, in cucina. Era questo un segno che papà s’era alzato, tutto arzillo, e presto avrebbe cercato il pranzo.
Allora mandavano Fainy di corsa a uno dei due angoli della breve via fangosa di baracche in legno, tutte identiche, dove stavano.
Sulla destra c’era un mezzo isolato per arrivare da Finley, dove al banco, tra una foresta di calzoni inzaccherati di fango, Fainy avrebbe dovuto aspettare che tutte le bocche violente e sbraitanti dei grandi venissero turate con birre e whiskies. Poi se ne tornava a casa, posando ogni passo con molta cura, e il manico della secchia di birra schiumante gli tagliava la mano.
A sinistra c’era un mezzo isolato per arrivare ai Commestibili Vari di “Maginnis, Prodotti Esteri e Nazionali”. A Fainy piaceva il negro del cartello “Crema di grano” nella vetrina, la bacheca con dentro varie qualità di salumi, i barili di patate e di cavoli, l’odore dello zucchero bruno, segatura, zenzero, aringa salata, prosciutto, aceto, pane, pepe, lardo.
«Una pagnotta di pane, per piacere, mezza libbra di burro e una scatola di tortelli allo zenzero.»
Qualche sera, quando mamma non si sentiva bene, Fainy doveva andar più lontano; girato l’angolo oltre Maginnis, giù per Riverside Avenue, dove correva il tram, traverso il ponte rosso sul fiumiciattolo che d’inverno scorreva nero scalzando banchi di neve agghiacciati, giallo schiumoso nei disgeli primaverili, scuro e oleoso nell’estate. Di là dal fiume per tutta la strada fino all’angolo del lungofiume e della via principale, dov’era la farmacia, vivevano boemi e polacchi. I loro monelli erano sempre in guerra coi monelli dei Murphy, degli O’Hara e degli O’Flanagan, che vivevano in Orchard Street.
Fainy camminava con le ginocchia tremanti, la bottiglietta della medicina, nella sua carta bianca, serrata nella mano coperta dal mezzoguanto. All’angolo di Quince c’era un gruppo di ragazzi a cui bisognava passar davanti. Passare non era tanto brutto: era dopo venti passi che la prima palla di neve gli fischiava alle orecchie. Non era possibile dare indietro. Se si metteva a correre, gli davano la caccia. Se lasciava cadere la bottiglia della medicina, le prendeva poi, giunto a casa. Gliene piombava una molle sulla testa da dietro e la neve si metteva a sgocciolargli giù per la schiena. Quando era a un mezzo isolato dal ponte, affrontava il rischio e correva.
«Gatto che scappa… Straccione irlandese… Gambe-storte Murphy… Corre a casa per dirlo alla guardia…» schiamazzavano i monelli polacchi e boemi tra una palla e l’altra. Le indurivano versandoci sopra dell’acqua e lasciandole gelare nottetempo; se una di queste lo coglieva, faceva uscire il sangue.
Il cortile era il solo luogo dove si poteva veramente sentirsi al sicuro giocando. C’erano palizzate in rovina, immondezzai ammaccati, vecchie pentole e padelle troppo simili a setacci per potersi ancora riparare, una stia vuota che sotto aveva ancora piume e fatte, erba porcina d’estate, melma d’inverno; ma la meraviglia del cortile McCreary era la conigliera dove Tony Harriman allevava lepri del Belgio. Tony Harriman era tisico e viveva con la madre al pianterreno di sinistra. Aveva pure intenzione di allevare ogni specie di altre bestiole, tassi, lontre e persino volpi argentate, e in quel modo sarebbe diventato ricco. Il giorno ch’egli morì, nessuno riuscì a trovare la chiave del catenaccio che chiudeva la porta della conigliera. Fainy nutrì per diversi giorni le lepri cacciando foglie di cavolo e di lattuga attraverso il duplice spessore della griglia. Poi venne una settimana di nevischio e pioggia che lui non uscì più nel cortile. La prima giornata bella, quando andò a vedere, una delle lepri era morta. Fainy si sbiancò in faccia; cercò di dirsi che la lepre dormiva, ma quella stava distesa con goffa rigidità, non addormentata. Le altre erano raggruppate in un angolo dando in giro occhiate, coi musi agitati e tremanti, e le grosse orecchie penzoloni abbandonate sulle schiene. Povere lepri, Fainy aveva voglia di piangere. Corse per le scale della cucina, dove stava la mamma, si chinò sotto l’asse da stiro e prese il martello dal cassetto del tavolo da cucina. Al primo tentativo che fece si schiacciò un dito, ma la seconda volta riuscì a far saltare il catenaccio. Dentro la gabbia c’era un bizzarro odor acido. Fainy raccolse per le orecchie la lepre morta. Il morbido ventre bianco cominciava a gonfiarsi, uno degli occhi morti era aperto paurosamente. Qualcosa, di botto, afferrò Fainy e gli fece gettare la lepre nel più vicino immondezzaio e correre su per la scala. Ancora freddo e tremante, uscì in punta di piedi nel portico dietro la casa e guardò giù. Tenendo il fiato osservò le altre lepri. A cauti balzelloni si avvicinavano alla porta della conigliera nel cortile. Una era uscita. Sedeva sulle gambe posteriori, le orecchie flosce improvvisamente drizzate. Mamma chiamò Fainy che le portasse un ferro da stiro che era sulla stufa. Quando ritornò al portico, le lepri erano sparite tutte.
Quell’inverno ci fu uno sciopero alle Manifatture Chadwick e papà perse il posto. Stava tutto il giorno a sedere nell’entrata, fumando e sacramentando:
«Uomo in gamba, Cristo, le do a chiunque di questi dannati polacchi, con la gruccia legata dietro la schiena… dico così al signor Barry; non voglio entrare in nessuno sciopero, signor Barry, sono un uomo tranquillo che capisce le cose, un pezzo d’invalido, con donna e marmocchi a cui pensare… otto anni sono stato guardiano e adesso mi date una pedata per assumere una squadra di malviventi, poliziotti d’agenzia. Quel lurido naso-piatto figlio d’una vacca».
«Se quei maledetti pidocchiosi di forestieri non avessero lasciato il lavoro» s’intrometteva qualcuno per calmarlo.
Lo sciopero non era popolare in Orchard Street. Significava che mamma doveva lavorare sempre di più, facendo caldaie di bucato sempre più grosse, e che Fainy e la sorella più alta, Milly, dovevano aiutarla, quando tornavano da scuola. Poi un giorno mamma ammalò e dovette rimettersi a letto invece di cominciar a stirare e stava stesa con il viso bianco, tondo e logoro, più bianco del guanciale, e le mani, logore dall’acqua, strette a nodo sotto il mento. Vennero il dottore e l’infermiera del quartiere, e tutte le tre stanze dell’alloggio sapevano di dottori, infermiere e medicine e il solo posto dove Fainy e Milly trovavano da sedersi era sulle scale. Sedevano là e piangevano cheti insieme. Poi il viso di mamma sul guanciale si raggrinzò in una piccola cosa bianca logora come un fazzoletto spiegazzato in una mano e dissero che era morta e la portarono via.
Il funerale partiva dai locali dell’Agenzia, in Riverside Avenue, l’isolato seguente. Fainy si sentiva molto fiero e importante perché tutti lo baciavano e gli battevano sulla testa e dicevano che si comportava da ometto. Aveva anche un abito nero nuovo, come un abito da grande, con tasche e tutto, tranne che i calzoni erano corti. C’era ogni specie di gente nei locali dell’Agenzia, gente che non aveva ancor mai visto da vicino: il signor Russell, il macellaio, e padre O’Donnell e lo zio Tim O’Hara, che era venuto da Chicago, e si sentiva odor di whisky e di birra come da Finley. Zio Tim era un uomo magro con una faccia rossa protuberante e occhi celesti annebbiati. Portava una cravatta di seta nera aperta, che era l’afflizione di Fainy, continuamente si curvava d’improvviso, piegandosi sulla cintola quasi stesse per chiudersi come un coltello a serramanico e bisbigliava con una voce spessa nell’orecchio di Fainy.
«Non fargli attenzione, amico, sono una squadra di lazzaroni e ipocriti, pieni quasi tutti fino al gozzo… Guarda padre O’Donnell, grasso come un maiale, che fa già il conto della tariffa di sepoltura… ma non fargli attenzione, ricordati che sei un O’Hara, da parte di madre. Io non li guardo neanche, amico, ed era mia sorella per nascita e per sangue.»
Quando tornarono a casa, Fainy aveva un sonno terribile e i piedi freddi e umidi. Nessuno si prese di lui la minima cura. Sedette piagnucolando sulla sponda del letto, nel buio. Nell’entrata si sentivano voci e un rumore di coltelli e forchette, ma lui non osava andarci. Si raggomitolò contro la parete e si addormentò. Lo risvegliò una luce negli occhi. Zio Tim e papà gli stavano ritti innanzi e parlavano a voce alta. Avevano un’aria stramba e non sembravano molto in gambe. Zio Tim reggeva la lampada.
«Be’, Fainy, amico mio» diceva zio Tim, dando alla lampada un pericoloso rollìo sopra la testa di Fainy. «Fenian O’Hara McCreary, sedetevi e state a sentire e diteci che cosa pensate della nostra intenzione di traslocare nella grande e ognora crescente città di Chicago. Middle-town è un orribile buco, se volete saperlo… Senza offesa, John… Ma Chicago… Dio del Cielo, amico, quando tu arrivi là ti sembra di essere stato morto e inchiodato nella cassa, tutti questi anni.»
Fainy aveva paura. Si trasse le ginocchia al mento e fissò con un tremito le due grosse figure vacillanti di uomini nella luce vacillante della lampada. Tentò di parlare, ma le parole gli si seccarono sulle labbra.
«Dorme il ragazzo, Tim, con tutta la tua ’loquenzia… Spògliati, Fainy, e va’ a letto e fa’ una bella dormita. Domani mattina partiamo.»
E tardi, in un mattino piovoso, senza aver fatto colazione, con un gran baule vecchio tondo in cima, legato a funi, traballante pericolosamente sul tetto della carrozza che Fainy era stato mandato a ordinare alla rimessa Hodgeson, partirono. Milly piangeva. Papà non diceva nulla, ma masticava una pipa spenta. Zio Tim faceva tutto lui, dicendo continuamente freddure che non facevano rider nessuno, tirando fuori di tasca in tutte le circostanze un rotolo di biglietti o dando gran sorsate gorgoglianti alla fiaschetta che teneva in tasca. Milly continuava a piangere. Fen guardava con grossi occhi asciutti le vie familiari, tutte a un tratto stranite e squilibrate, che scomparivano dietro la carrozza; il ponte rosso; le case con i tetti di legno ammuffiti dove vivevano i polacchi; la farmacia d’angolo “Smith e Smith”… ecco Billy Hogan che usciva allora con un pacchetto di chewing-gum tra le mani. Di nuovo marinava la scuola. Fainy ebbe voglia di dargli una voce, ma qualcosa gliela gelò… La via principale con gli olmi e i tram; gli isolati dei negozi, girato l’angolo della chiesa, e poi il reparto dei pompieri. Fainy guardò per l’ultima volta la buia caverna dove luccicavano fascinosamente le curve in ottone e rame della macchina, poi passò davanti alle facciate coperte di affissi della Prima Chiesa Congregazionalista, della Chiesa Battista del Carmelo, della Chiesa Episcopale di Sant’Andrea, costruita in mattoni e sita di sbieco sul suo appezzamento, invece che per dritto, con una facciata austera alla via come le altre chiese; poi i tre cervi in ferro battuto sul praticello davanti alla Casa Commerciale, e le ville, ciascuna col suo praticello, ciascuna con la sua veranda a graticciata, ciascuna col suo cespuglio d’idrangea. Poi le case impicciolirono e scomparvero i praticelli; la carrozza continuò a rotolare oltre i “Magazzini Grano e Foraggio Simpson”, lungo una filza di botteghe di barbieri, liquorerie e trattorie, e scesero finalmente alla stazione.
Al banco della trattoria nella stazione, zio Tim li fece mangiare tutti. Asciugò le lacrime di Milly, soffiò a Fainy il naso in un grosso fazzoletto nuovo che aveva ancora il cartellino su una cocca e li impegnò intorno al lardo, alle uova e al caffè. Fainy non aveva mai preso il caffè prima d’allora e così l’idea di esser seduto come un uomo a prendere il caffè gli dava una certa soddisfazione. A Milly il proprio non piaceva, diceva ch’era amaro. Li lasciarono soli nella trattoria per qualche tempo insieme ai piatti vuoti e alle tazze vuote, sotto gli occhi piccini di una donna dal collo lungo e dalla faccia a punta come una gallina, che da dietro il banco fissava tutt’e due con aria di disapprovazione. Poi, con un enorme strepitoso rimbombo, ciacpuff, ciac… puff, il treno entrò nella stazione. Furono spazzati su e trascinati per la banchina e attraverso un carrozzone fumoso di pipa e, prima che se ne accorgessero, il treno s’era mosso e il rossastro paesaggio invernale del Connecticut sbatacchiava al finestrino.

OCCHIO FOTOGRAFICO (2)

filiamo rollando come in una barca nella muffita vettura a quattro ruote che sa di stalla Continuava a dire Che cosa fareste Lucy se ne invitassi uno alla mia tavola? Sono gente molto amabile Lucy le persone di colore e aveva chiodi di garofano in una scatoletta d’argento e odore di whisky di segala nell’alito e correva a prendere il treno per New York
e lei diceva Oh poverino spero che non faremo tardi e Scott attendeva coi biglietti e dovemmo correre sulla banchina della Stazione della Settima Strada e tutti quei cannoncini continuavano a cadere dall’Olympia e tutti si chinavano a raccoglierli e il capotreno Tuttincarrozza signora presto signora
erano cannoncini d’ottone lucenti al sole sulla banchina della Stazione della Settima Strada e Scott ci spinse su tutti e il treno si moveva e la campana della locomotiva squillava e lui tese una manciata di cannoncini d’ottone minuti grossi quanto basta per contenere il più piccolo petardo rosso alla battaglia della Manilla Bay e Scott disse Ecco l’artiglieria Jack
e lui continuava nella vettura-salone ma sì Lucy se fosse necessario per la causa dell’umanità uscirei anch’io e mi farei uccidere quando capitasse e tu Jack anche tu? e voi facchino? che portava appolinaris e lui aveva una fiaschetta nella valigia dove i fazzoletti di seta con le iniziali sapevano sempre di lozione aromatica
e quando arrivammo a Havre de Grace lui disse Ricordati Lucy si doveva pigliare la chiatta attraverso il Susquehanna prima che costruissero il ponte
e anche attraverso il Gunpowder Creek

MAC

Colline rossastre, pezzi di boschi, cascine, mucche, un puledro rosso che stava a far niente in un prato, steccati, strisce di stagni.
«Ebbene, Tim, mi sento come un cane bastonato… Finora nella mia vita, Tim, ho cercato di agir sempre come si deve» continuava a ripetere papà con una voce raganellante. «E adesso che cosa diranno di me?»
«Dio del Cielo, omo, non c’era altro modo, no? Cosa diavolo puoi fare se denaro non ne hai e lavoro nemmeno e un mucchio di dottori e di becchini e di padroni di casa ti arrivano addosso con le note e tu hai due bambini da mantenere?»
«Ma io ero un uomo pacifico e onorato, fermo e disgraziato fin da quando mi sposai e misi su casa. E adesso che cosa penseranno di me, scappato via come un cane bastonato?»
«John, sta’ sicuro che sarei io l’ultimo a mancar di rispetto alla morta, che fu mia sorella di nascita e di sangue… Ma non è colpa tua e neanche mia… è colpa della miseria e la miseria è colpa del sistema… Fenian, ascolta Tim O’Hara un momento e anche tu, Milly, ascolta, perché una ragazza deve saperle queste cose come un uomo e per una volta tanto Tim O’Hara dice la verità… È colpa del sistema che non dà a ciascuno il frutto della sua fatica… Il solo che guadagna qualcosa dal capitalismo è chi truffa e arriva a farsi milionario in poco tempo. Ma un lavoratore onesto come John o come me, possiamo anche lavorare cent’anni e non lasciare abbastanza da pagarci una sepoltura decente.»
Il fumo turbinava bianco davanti al finestrino squassando di tra le sue spire alberi, pali telegrafici, casette quadrate dal tetto d’assicelle, cittadine, tram e lunghe file di carrozzelle con cavalli fumanti allineati.
«E chi si mangia il frutto della nostra fatica? i dannati uomini d’affari, gli agenti, gli intermediari che non hanno mai fatto tanto così di lavoro produttivo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Antonio Gnoli
  4. Cronologia della vita e delle opere
  5. Bibliografia
  6. Prefazione alla trilogia U.S.A.
  7. IL 42° PARALLELO
  8. Cine-giornale I: «Eran quelli di patrioti»
  9. Occhio Fotografico (1): Quando si cammina per la via
  10. MAC
  11. MAC
  12. MAC
  13. MAC
  14. MAC
  15. MAC
  16. MAC
  17. JANEY
  18. JANEY
  19. J. WARD MOOREHOUSE
  20. ELEANOR STODDARD
  21. ELEANOR STODDARD
  22. J. WARD MOOREHOUSE
  23. J. WARD MOOREHOUSE
  24. ELEANOR STODDARD
  25. JANEY
  26. MAC
  27. JANEY
  28. ELEANOR STODDARD
  29. CHARLEY ANDERSON
  30. SOMMARIO