Capitolo due
«Tom non è venuto al funerale» dissi d’un fiato.
Alex corrugò la fronte.
«Tom? Chi è Tom?» chiese confuso.
«Il tizio che mi chiese una matita, quella volta in classe... quello con i capelli scuri.» Sapeva perfettamente di chi stavo parlando.
«Ah, sì...» mormorò come se non gli interessasse, contraendo la mandibola.
Poi voltò la testa e lo vidi fare un’espressione schifata. La luce proveniente dall’esterno illuminava il suo viso pallido. Quando i raggi del sole lo colpirono in faccia, socchiuse gli occhi.
Sì, forse era gelosia, e a quell’idea mi spuntò un sorrisetto sulle labbra, che cercai di nascondere quando il suo sguardo tornò a posarsi su di me. Mi schiarii la voce.
«Dobbiamo andare a casa sua per scoprire che cosa ha fatto ieri» dissi alzandomi dalla poltrona e dirigendomi verso le scale. Alex mi seguì.
«Hannah, non credo sia stato lui. Non lo conosco nemmeno. Perché dovrebbe immischiarsi in questa storia?»
Avanzavamo all’unisono. Mi passai una mano tra i capelli e mi voltai.
«A volte il colpevole è la persona più insospettabile. Ho la sensazione che in qualche modo abbia a che fare con quello che è successo: non ti sembra strano che non sia venuto al funerale di Cara nonostante fosse presente a quella cavolo di riunione?»
Cercai i suoi occhi color caramello che risposero fissandomi impassibili. Si grattò il naso e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Era preoccupato.
«Hai ragione, ma non credo sia stato lui. È molto strano che non sia venuto al funerale, ma non significa che sia il responsabile di tutto questo» disse.
«Può darsi. Ti ricordo però che Cara mi ha detto che in realtà portava quella sciarpa perché l’avevano picchiato, non perché fosse malato» contrattaccai.
Alex corrugò di nuovo la fronte.
«L’hanno picchiato?»
«Sì. Non te l’avevo detto?»
«No» rispose brusco scuotendo la testa. I suoi capelli castani si agitarono nell’aria prima di riprendere il loro posto.
«Accidenti, pensavo di sì.» Mi nascosi il viso tra le mani, esasperata.
Da quando era morto Alex mi dimenticavo un sacco di dettagli, anche i più importanti, ma avevo stampato in mente il volto di Cara coperto di sangue: quando pronunciavo il suo nome, o parlavo di un argomento che la riguardasse, ricordavo tutto. Il suo corpo steso sull’asfalto con la pozza di sangue che lo circondava era un’immagine che non avrei mai dimenticato.
«Ok» rispose, «sai dove abita?»
«No, ma possiamo chiederlo a Kate. Adesso è dalla nostra parte» dissi mentre mi avvicinavo di nuovo al telefono.
Ero ancora in castigo, non potevo uscire e tantomeno usare il cellulare. Ma mia madre non c’era, quindi... ora o mai più. Al rientro avrebbe controllato le chiamate effettuate, ma non mi importava. Se volevo scoprire cos’era successo dovevo agire.
«Da quando vi parlate?» chiese Alex inquisitivo.
«Non ci parliamo. Immagino solo che se le chiediamo dove abita ce lo dirà.»
«E se ti domanda perché vuoi saperlo?»
Presi il taccuino appoggiato sul tavolino e mi sedetti sul divano.
«Nessun problema, le diciamo che deve darmi ripetizioni di letteratura» risposi mentre scorrevo le pagine. «Le bugie più semplici sono le più credibili.»
«Ti dà ripetizioni?!» mi chiese senza togliermi gli occhi di dosso.
«No! È solo una scusa per avere il suo numero!» mi affrettai a rispondere.
«Oh... certo» Alex sospirò sollevato.
«Non sarai geloso...» chiesi con un sorrisetto. «Vero?» aggiunsi alzando le sopracciglia.
«No, per niente» rispose distogliendo lo sguardo e strappandomi una risatina.
Trovai il numero di Kate e lo digitai.
«Sai che ti dico? Forse sarebbe meglio non andare a casa sua. Chiedile il numero e chiamalo. Puoi dirgli che ieri sei passata da lui con Sarah e vedi cosa ti risponde» disse mordendosi il labbro inferiore.
«Non è una cattiva idea» dissi. Dall’altro lato il telefono squillava.
«Così non perdiamo tempo» aggiunse.
«Certo» sussurrai con la cornetta attaccata all’orecchio.
Qualcuno rispose e la prima cosa che sentii fu il brusio di un televisore.
«Pronto» aveva preso la chiamata qualcuno con una voce dolce e delicata: non poteva essere Kate.
«Ciao. C’è Kate?»
A quanto pareva Kate aveva una sorella più piccola.
«Sì, un attimo...» disse, prima di prendere fiato. «Kate! Ti vogliono al telefono!» gridò.
Dovetti allontanare la cornetta un paio di centimetri per evitare che mi si spaccassero i timpani. Kate rispose qualcosa che non riuscii a distinguere.
«Chi la cerca?» chiese la bambina con voce monocorde.
«Hannah Reeve.»
«Ok. Aspetta un attimo» disse prima di allontanarsi dal telefono e urlare di nuovo: «È Anna Reeve».
«Mi chiamo Hannah, non Anna» dissi, anche se evidentemente la bambina se n’era andata. Sentii dei passi che si avvicinavano e infine qualcuno che prendeva l’apparecchio.
«Hannah?» chiese una voce stridula che riconobbi immediatamente.
«Ciao Kate, sì sono io. Mi dispiace romperti le scatole. Volevo solo sapere se avevi il numero di Tom» dissi senza esitazione.
Kate rimase in silenzio un paio di secondi.
«Tom?» sembrava confusa. «Quale Tom?»
Guardai Alex in cerca di aiuto, che però non conosceva né lui né il suo cognome. Non potevo dirle che stavo cercando il Tom della riunione a casa di Seth.
Come cavolo si chiamava? James, no era un altro... Jason? Nemmeno. Ero convinta che il suo cognome iniziasse con la J. Ce l’avevo sulla punta della lingua e una parte di me si sforzava di ricordarlo, mentre l’altra sembrava rifiutarsi.
«Stai parlando di Tom Jones?» mi venne incontro Kate.
«Sì! Esatto! Potresti darmi il suo numero, per favore?» chiesi gentilmente.
«Per cosa?» rispose brusca.
«Be’, vedi... è che...» cercai di mantenere i nervi saldi. «Tom mi aiuta con la letteratura» risposi d’un fiato prima che potesse accorgersi che stavo mentendo.
Alex annuì.
«Non sapevo che Tom ti desse ripetizioni» rispose decisa.
Mi limitai a deglutire e a rispondere la prima cosa che mi venne in mente.
«Mi aiuta per gli esami finali» affermai seria.
«Ah...» rispose Kate. «Aspetta un attimo.»
Annuii come se potesse vedermi, mentre Alex accennava un sorriso. «Ragazza in gamba...» sussurrò orgoglioso. Scossi la testa e rimasi in attesa.
«2793900» disse rapidamente, mentre io lo annotavo veloce come un razzo.
«2793900?» ripetei per avere conferma.
«Sì.»
«Grazie Kate» dissi mentre segnavo accanto al numero anche il nome completo di Tom.
«Non c’è di che, ma non dirgli che sono stata io a darti il suo numero, d’accordo?»
Volevo chiederle perché, ma riattaccò prima che potessi farlo.
Rimasi a fissare il telefono.
«Tutto bene?» chiese Alex vedendo la mia reazione.
«La tua ex mi ha appena riattaccato in faccia» borbottai senza darci peso mentre riponevo la cornetta. Alex rise. Dopodiché digitai il numero di Tom.
«Se gli dici che l’hai cercato non avrà via di scampo» disse Alex fiducioso prima di lasciarsi cadere su una poltrona. Annuii.
Non mi toglieva gli occhi di dosso e mi sentivo a disagio. Non mi ero nemmeno fatta una doccia, i miei occhi erano rossi e gonfi e i capelli sporchi e appiccicosi: dovevo essere orribile. Non avevo neanche avuto il tempo di tentare di sistemarmi davanti a uno specchio. Cercai di nascondermi tra i cuscini del divano, il suo sguardo mi innervosiva.
Il telefono prese a squillare una, due, tre, quattro volte...
«Non risponde» sussurrai con una mano sul ricevitore. Mi mossi inquieta sul divano.
«Prova di nuovo» mi disse mentre si protendeva in avanti. Poggiò i gomiti sulle gambe aperte e intrecciò le dita, una posizione comunissima, ma che lo rendeva particolarmente bello.
Provai di nuovo e questa volta qualcuno alzò subito la cornetta.
«Pronto...» dissi, accorgendomi che non rispondeva nessuno. «Pronto?»
«Sono la signora Jones, chi parla?» La madre di Tom sembrava frustrata. Dal tono di voce pensai che si fosse appena svegliata.
«Mi scusi, signora...» risposi pensando che probabilmente l’avevo costretta ad alzarsi dal letto, «sono una compagna di Tom, è in casa?»
La donna, invece di rispondermi, si lamentò a mezza voce e poi sentii un tonfo sordo, come se avesse dato un calcio a un mobile. Forse era inciampata contro qualcosa.
«No, Tom non c’è. È con suo padre» disse scocciata.
Mi schiarii la voce per l’ennesima volta.
«E sa dove posso trovarlo?»
«Sono partiti due giorni fa e tornerà lunedì» disse con indifferenza. Non aveva risposto alla mia domanda, ma questa informazione mi bastava. A quanto pareva la madre di Tom aveva un carattere, come dire... forte.
In ogni caso, se Tom si trovava con suo padre da due giorni non poteva aver lasciato il biglietto nella mia stanza né in quella di George. Inoltre, supponendo che fosse l’assassino, non avrebbe avuto il tempo di uccidere Cara, e che avesse pagato qualcuno perché lo facesse al posto suo e lasciasse l’auto in mezzo alla strada era improbabile.
«Grazie mille, signora Jones, mi scusi per il disturbo.»
La donna rispose sbuffando.
«Sì, sì... va bene», e per la seconda volta di seguito mi riattaccarono in faccia.
Riagganciai e guardai Alex delusa.
«Non può essere stato Tom. È fuori città con suo padre da due giorni.»
A quel punto capii perché non era venuto a scuola il giorno prima.
«Molto bene, adesso che sappiamo che non è stato lui, dobbiamo andare a casa mia.»
«E mia madre?»
Alex sembrava non ricordare che ero in punizione e non potevo uscire. Ero già scappata un paio di volte e non volevo che mia madre mi beccasse e smettesse una volta per tutte di fidarsi di me. Alex mi guardò senza capire.
«Ricordi? Sono in punizione.»
La sua espressione si rilassò all’istante.
«Non se ne accorgerà» rispose, «finora non se n’è resa conto e sarà così anche questa volta. Devi solo fare quello che fai sempre.»
Quello che “facevo sempre” era appallottolare delle lenzuola sotto le coperte in modo che sembrassero il mio corpo e bloccare la porta con la sedia. Dopodiché avremmo potuto concentrarci su Rosie. Forse aveva riconosciuto i suoi aggressori. Ancora una volta era lei ad avere la risposta.
Salii in camera e sistemai le lenzuola, per sicurezza chiusi anche le per...