La stanza delle meraviglie
eBook - ePub

La stanza delle meraviglie

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La stanza delle meraviglie

Informazioni su questo libro

Thelma ha quarant'anni, una vita piena e un lavoro che la soddisfa, ma che la sottrae alle incombenze materne; la sua è una famiglia tandem, sono in due, e Louis, dodici anni, è un figlio desiderato ma non condiviso, un figlio cresciuto d'un tratto, un ragazzino che ha preso la prima cotta e vuole raccontarlo alla madre. Che ora, però, è al telefono e non ascolta, non vede. Accade in una frazione di secondo, su una strada di Parigi: il ragazzo è vittima di un incidente e Thelma si ritrova di colpo senza più difese. Poi, nelle settimane incerte in cui il bambino è sedato, trova un quaderno sul quale Louis ha elencato le cose che sognava di fare, le sue meraviglie, e spinta in modo uguale dalla disperazione e dalla speranza decide di realizzarle al posto suo e poi raccontargliele, seduta accanto al letto della stanza di ospedale. Ha solo un mese di tempo e certo non è facile vivere i desideri di un adolescente alla sua età. Ma alla fine, questa stramba impresa alla quale Thelma si è aggrappata come un naufrago diventerà per lei una possibilità impensata per sperimentare nuove connessioni e ridefinire i limiti dell'amore. Suo figlio non aspettava altro. La stanza delle meraviglie è il racconto incantato e lieve di una madre che sentiamo vicina, vitale anche nelle prove più dure. Un romanzo che ha conquistato gli editori di venti paesi nel mondo e che diventerà un film.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La stanza delle meraviglie di Julien Sandrel in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817101752
eBook ISBN
9788858693780

SECONDA PARTE

La stanza delle meraviglie

9

-24 giorni

Defenestrazioni

«Arigatou gozaimasu
«Alligator cos’hai mas…?»
È una lingua infernale. Anche con la mia piccola guida di giapponese per sfigati a portata di mano, non riuscivo ad arrabattarmi. In aereo mi ci ero messa d’impegno per imparare qualche frasetta indispensabile, come quel famosissimo «molte grazie» che i giapponesi usano a spron battuto, solo che mi ero addormentata. C’è da dire che un volo notturno, lo dice la parola, avviene di notte. Avrei dovuto immaginare che sotto l’effetto dello champagne e della stanchezza avrei dormito per metà del tempo. Almeno, però, sarei stata in forma per la sera. Con le otto ore di fuso orario, mi sarei svegliata quando il sole su Tokyo stava tramontando.
In aeroporto, tutto era tradotto in inglese. Ho recuperato il bagaglio, ritirato qualche centinaio di yen dal bancomat e trovato un taxi senza difficoltà. Ho mostrato al tassista l’indirizzo del mio hotel sullo schermo dello smartphone, lui ha annuito e abbiamo viaggiato per una quarantina di minuti. Già solo il taxi mi ha dato una sensazione di spaesamento totale. Il tassista indossava guanti bianchi, era vestito come se dovesse andare a un matrimonio, e tra noi due c’era un divisorio trasparente munito di buco, come quelli degli sportelli bancari. Mi ha allungato un asciugamano umido arrotolato, dentro un sacchetto di plastica. I sedili erano coperti da una specie di copridivano ricamato, che mia madre avrebbe apprezzato. Tutto quanto era un po’ surreale, kitsch, asettico, ma perfetto per cambiare aria.
Ho pensato subito a Louis, alla sua passione per i cartoni animati giapponesi. Era logico che il suo elenco delle meraviglie cominciasse proprio da Tokyo. Mi aveva chiesto più di una volta di venirci, ma io non avevo mai tempo. Troppo lavoro, le vacanze ridotte all’osso. Adesso, in quel taxi che odorava di profumo sintetico, giuravo di fargli vedere il Giappone. Sul serio.
Avevo scelto un hotel di lusso, che una rapida ricerca in rete indicava come il meglio del meglio. Se Lost in translation fosse stato girato nel 2017, di sicuro Sofia Coppola l’avrebbe scelto per le sue riprese, scriveva un’influente blogger. Argomento irresistibile, che mi aveva convinta. Il pernottamento costava un bel po’, ma non ho mai rimpianto la mia scelta. L’hotel si trovava in un quartiere tranquillo – Toranomon Hills – tra il quarantesimo e il sessantesimo piano di una torre che sovrastava la città e beneficiava di una vista straordinaria sulla Tokyo Tower, che è la copia verniciata di rosso della nostra Tour Eiffel. L’atrio era curato, elegante, di design e con un tocco molto originale. Una magnifica accoglienza. Cominciavo a essere davvero eccitata e sentivo che avrei adorato Tokyo.
La stanza era stupefacente. Un’intera parte di muro non era un muro, ma un vetro che andava da terra al soffitto. Ero al quarantasettesimo piano e avevo la sensazione di essere immersa nella città. Davanti non avevo nulla, solo quella vista stupefacente. Ho spento le luci per non essere disturbata da nessun riflesso. Era scesa la notte, le luci della città scintillavano a parecchie decine di metri sotto di me. Non avevo mai vissuto prima un’esperienza del genere. Sì, ero salita in cima alla Tour Montparnasse, a Parigi, ma in mezzo a un mucchio di turisti, tra i flash e le urla isteriche. Qui invece ero sola, nel silenzio assoluto, completamente al buio. Mi sono incollata al vetro e sono restata a guardare, incantata.
Ho pensato ad Amélie Nothomb, che in Stupore e tremori descrive così bene l’incredibile emozione di immergersi dentro Tokyo, quell’attrazione vertiginosa per il suo vuoto luminoso. Parla di defenestrazione. Quella sensazione inebriante di defenestrarmi la vivevo, sentivo le vibrazioni di quella città sconosciuta.
Ho acceso la videocamera di Louis e filmato a lungo il paesaggio, cercando di descriverlo a parole come meglio potevo. Devi venire a vederlo, amore mio. Grazie di avermi portata qui.
Quanto tempo sono rimasta lì? Abbastanza per poter mettere un segno di spunta accanto a una delle meraviglie che Louis aveva annotato sul suo quaderno:
Ammirare le luci di Tokyo dalla cima di un grattacielo.
Ero talmente sbalordita dalla bellezza del posto che alla fine ho deciso di trascorrere la serata in hotel. L’ultimo piano era occupato da una piscina pazzesca tutta vetri, e ho avuto modo di defenestrarmi a volontà, con i piedi nell’acqua, sorseggiando un tè caldo. Per un attimo ho creduto di toccare il paradiso in Terra. Per un attimo soltanto.
L’attimo successivo ero a cena, al ristorante situato tre piani più in basso, che mi regalava la stessa vista impressionante. Da quando ero arrivata a Tokyo, qualche ora prima, continuavo a ripetermi che tutto sommato era piacevole stare da sola, che potevo organizzare il mio tempo come volevo. Non so se lo pensassi davvero o se tentassi di convincermene. Fatto sta che seduta in cima alla città, con le mie guide di Tokyo a farmi compagnia, all’improvviso mi sono sentita a disagio. Ho percorso la sala con lo sguardo per capire se il mio tavolo fosse l’unico da single. Ce n’era un altro, all’estremità opposta del ristorante. Bene, l'onore era salvo. Un uomo, se non sbagliavo, a giudicare dal profilo e dall’abbigliamento. Ma da quella distanza, e con le luci schermate, non vedevo molto bene.
Mi sono alzata per andare in bagno. I bagni giapponesi, altra esperienza inclusa nell’elenco di Louis, che avevo già spuntato in camera. Mio figlio aveva scritto:
Premere tutti i pulsanti delle toilette giapponesi.
Francamente, a me non ha entusiasmato né il sedile riscaldato né il piccolo getto d’acqua sul sedere. Ho sempre avuto paura dei bagni con una componente elettrica, qualunque essa sia. Immagino che i guasti siano molto rari, eppure ho sempre paura che qualcosa possa rompersi, che il getto sia orientato male e mi colpisca – orribile visione – in piena faccia, o che mi schizzi comunque addosso. Insomma, preferisco di gran lunga la cara vecchia tavoletta parigina.
Di ritorno al tavolo ho dato un’occhiata all’uomo solo che avevo notato da lontano, e sono rimasta di sasso. Non era un uomo. Mi sono avvicinata e ho cacciato un grido soffocato che ha spezzato l’atmosfera ovattata del luogo.
«Mamma? Che ci fai qui?»
«Buonasera, cara. Che posto allucinante, non trovi?»
«Non hai risposto alla mia domanda! Cazzo, mamma, che ci fai a Tokyo? Come hai saputo che ero qui?»
«Mi sottovaluti, cara. Ho i miei sistemi, lo sai. Dovresti essere più discreta quando parli con le infermiere, e anche più fantasiosa nella scelta della password per la posta elettronica. Ottima la scelta dell’hotel, in ogni caso.»
Mia madre è un fenomeno con le nuove tecnologie. Ha sessant’anni, ed è molto più dotata di me. Una delle ragioni per le quali Louis l’ha sempre adorata. «Una nonna tecnologica, questa è classe!» mi ripeteva spesso. Per me invece è una iattura.
«Mamma, non hai i mezzi per pagarti né quest’albergo né un viaggio del genere, a che gioco stai giocando?»
«Devo riconoscere che le dodici ore di volo in economy mi hanno fatto venire un torcicollo… Ti invidiavo, tu che stavi in business!»
«Vuoi dire che eri sul mio stesso aereo?»
«Certo, tesoro. Mi sono presentata al banco dell’aeroporto e ho approfittato di una rinuncia dell’ultimo minuto. Ti avevo detto che ti sarei stata alle costole, e ora l’ho promesso anche a Louis. Ma hai ragione, non posso permettermi di pagare questo albergo… Per fortuna, sono tua ospite.»
«Prego?»
«Il gentilissimo ragazzo della reception ha portato i miei bagagli nella tua stanza e mi ha dato una chiave. Non dimenticare che abbiamo lo stesso cognome. Gli ho giusto detto di essere un po’ in ritardo, e che mia figlia era già arrivata nella stanza che dividevamo, gli ho dato il passaporto, e questo è tutto. Tutto in inglese, fra l’altro, col mio accento da capra, saresti stata fiera di me. Non preoccuparti, cara, mi farò piccola piccola.»
Ed è così che mi sono ritrovata mia madre nella mia stanza da sogno, nel mio letto king size, con tutte le sue fissazioni, senza contare il fatto che russa da far paura.

Mamma spacca

Adoro adoro adoro adoro adoro adoro.
Non riesco ancora a crederci, ma sono innamoratissimo dell’idea di mia madre.
Quando è venuta a raccontarmela, devo ammettere di aver provato dei sentimenti contraddittori. Prima mi sono sentito un po’ confuso. Mi ha detto che non avrebbe fatto commenti su quello che c’era sul mio quaderno, se era scritto lì lo avrebbe fatto, e che mi avrebbe dato la voglia di combattere forte per raggiungerla e realizzare tutti i miei sogni. Se non fossi stato in queste condizioni, le avrei risposto sicuramente che non ero d’accordo. Quel quaderno è una cosa mia. Ma siccome non potevo protestare, l’ho ascoltata. E alla fine mi sono detto che deve amarmi moltissimo per fare una cosa del genere. Mi ha fatto un gran bene che si aprisse così con me, sentirla parlare tanto. Non mi aveva mai parlato così, prima. Ma mi ha fatto anche male, per lei. Ho capito che soffre terribilmente. Ho capito che se n’è andata via da Hégémonie minacciando di far scoppiare uno scandalo e che forse le daranno un bel po’ di soldi, ma io lo so quanto sia importante per lei il lavoro, e allora l’ho immaginata da sola, nel nostro salotto, depressa, e mi ha fatto male. Subito dopo ho visto la scena in cui nonna magari le diceva: «Forza, reagisci, non puoi lasciarti andare ora, ancora non hai finito con questo piagnisteo, diamine?» (Sì, nonna Odette dice «diamine», «Gesù», «santa paletta», e varie altre espressioni di due secoli fa)… e allora mi è venuto da sorridere e non ho più smesso perché ho cominciato a immaginare mamma che viveva i miei sogni.
Mi sono ricordato a poco a poco cosa avevo scritto nel quaderno, e solo a immaginarla in certe situazioni mi piegavo dalle risate. Interiormente, certo, fuori sempre poker face. Insomma, poker face fino a un certo punto. Non la finivo più di ridere in silenzio, e a un tratto mia madre ha cacciato un urlo. A quanto pareva, mi era uscita una lacrima. Anche a me sembrava assurdo. Avevano ragione le infermiere: mamma aveva sognato. O forse, dentro, avevo riso talmente forte da scatenare una reazione visibile? Mi sono sentito invadere da un’ondata di speranza e di gioia, che è rimasta lì per tutta la giornata, e che non mi lascia più.
Ho sentito mamma raccontare per filo e per segno la sua idea a Charlotte, la sua infermiera preferita, che lei chiama sempre Sophie Davant credendo che in questo modo io possa immaginarla, ma io non so assolutamente chi sia, Sophie Davant. Anche Charlotte rideva, e mamma le ha dato un iPad per potermi inviare i video dal Giappone, visto che ha deciso di procedere in ordine e la prima prova del mio elenco è quella che riguarda Tokyo. Le chiamo prove perché so che i miei sogni potranno facilmente diventare, per mia madre, una specie di Isola dei famosi. Ed è questo che è bellissimo.
La delusione del 19 gennaio, primo giorno in cui sono stato cosciente e nessuno è venuto a trovarmi, posso dirvi che è completamente passata. Ora so che mamma è qui, e combatte. So che nonna è qui, anche lei. Comunque devo raccontarvi il clou dello spettacolo che mi ha fatto veramente piegare in due dalle risate. Dopo che mamma se n’era andata, è passata a trovarmi nonna Odette, e si è messa a discutere con Charlotte-Sophie-Davant come se niente fosse, ma io l’ho capito subito che era in uno di quei memorabili giorni in cui ha in mente qualcosa. Ha fatto finta di essere al corrente del progetto di mamma, quando invece non ne sapeva niente, lo so per certo. Nonna è una vecchia volpe. Allora Charlotte ha spifferato tutto, con innocenza, ed ecco che nonna si è ritrovata con le informazioni che voleva.
Quando Charlotte è uscita dalla stanza, nonna si è avvicinata e mi ha sussurrato all’orecchio che non se la sentiva di lasciar partire mamma tutta sola, in un Paese così ostile e lontano, che era dispiaciuta di dovermi lasciare per qualche giorno, ma era sicura che avrei capito. Che non bisognava assolutamente dire niente a mamma, che l’avrebbe seguita a distanza. Fidati di me, nonna, sarò muto come una tomba. Mi pare ovvio. Però, nonna, tu così mi hai dato il colpo di grazia… Se fossi stato in condizioni normali, mi sarebbe venuto un gigantesco mal di pancia dalle risate. Mi piacerebbe tanto essere un topolino per vedere la faccia di mamma quando nonna le comparirà davanti…
Adoro mia madre, adoro mia nonna, sono le migliori. Aspetto con ansia il racconto della loro gita tokyesca. Sarà fantastico.

10

-23 giorni

Tutto su mia madre

Insonne per via del jet lag e degli strani suoni emessi dalla mia compagna di letto, ho passato la notte a riflettere. Sulla mia vita. Su mia madre. Su noi due.
Sono sempre stata Thelma, la pseudoribelle in lotta contro tutto e niente, attiva e reattiva. Non è per via di quel film degli anni Novanta, che mia madre mi ha chiamata così; sono decisamente più vecchia. Sono nata nel 1977, proprio quando Thelma Houston (zia di Whitney) scalava le classifiche di tutto il mondo con Don’t Leave Me This Way, canzone amatissima da mia madre Odette. Oggi, ovviamente, chiunque senta il mio nome pensa al film, a Susan Sarandon e Geena Davis. Quando Thelma & Louise di Ridley Scott uscì al cinema io ero una quasi adolescente radiosa, irraggiungibile, e mi ero subito identificata con quella storia di donne al tempo stesso forti e sexy, che è diventata il mio riferimento assoluto, una specie di ideale femminile. Io che non ho mai creduto in Dio, ci ho visto come un segno del destino: quel nome, ormai, per me era legato a un simbolo molto più importante di una vecchia hit da 45 giri. Lo so che la storia finisce male, ma per me ha una valenza positiva. Thelma e Louise incarnano la libertà di scelta delle donne, donne che non devono nulla agli uomini, che non si aspettano nulla da loro e se la cavano da sole.
Quando sono rimasta incinta, quando ho deciso di tenere il bambino e di crescerlo senza padre, ho sperato di avere una figlia e di chiamarla Louise. Ma è andata che Louise era un maschio, e mi va benissimo così. Louis è il solo uomo che conti nella mia vita.
Anche mia madre mi ha cresciuta da sola. Odette è una sessantottina che si è sempre battuta per il suo corpo, per la libertà di pensiero, e l’ho sempre ammirata per questo. Sono cresciuta nel ricordo idealizzato di un padre assente, morto durante una manifestazione contro la dismissione dell’industria siderurgica. Avevo meno di un anno, e la figura di questo padre intoccabile, insostituibile, ha spazzato via ogni speranza di vita familiare. Mia madre ha raccolto l’eredità dell’attività sindacale di suo marito, e da che ricordo l’ho sempre vista combattere. Non ha più lasciato entrare uomini nella sua vita. Ha affogato il dolore nelle lotte e nella sua quotidianità di insegnante impegnata nelle scuole delle aree più svantaggiate. Tutti hanno il diritto di realizzarsi, mia cara. Quanto la ammiravo! Quante strade ho percorso al suo fianco! Mi ricordo delle sfilate del primo maggio, prima sulle sue spalle e, qualche anno dopo, mentre reggevo un lembo di striscione, e infine con una bandiera tutta mia. Ero fiera di lei, fiera di me, fiera di onorare la memoria di mio padre.
Poi è arrivata l’adolescenza. Piena di angosce, di vergogna, del mio irrefrenabile desiderio di rientrare nei ranghi, di piegarmi come tutti alla dittatura dei brand, delle multinazionali, di somigliare alle americane, belle di una bellezza stereotipata. Ne avevo abbastanza dei maglioni informi con la faccia di Che Guevara, dei cap...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La stanza delle meraviglie
  4. PRIMA PARTE. Il mio re
  5. SECONDA PARTE. La stanza delle meraviglie
  6. TERZA PARTE. Principi e principesse
  7. Ringraziamenti