
- 304 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Non so
Informazioni su questo libro
Grandi viaggi in Vespa, buona musica e un amore che dura dai tempi dell'università. È questo che unisce Giulia e Mario. Lei, di famiglia altoborghese, intelligente, affettuosa e sempre pronta a soprassedere alle continue indecisioni di lui. Lui, eterno fanciullo che sogna di lavorare per tutta la vita alla radio, rimandando le decisioni importanti e rispondendo a ogni domanda "non so". A scompaginare un equilibrio tutto sommato tranquillo arriva inatteso un figlio, Leonardo, che rivoluzionerà in modo irreversibile il loro modo di stare insieme e affrontare la vita. Un romanzo ironico che racconta nevrosi e risorse di un'intera generazione, negli anni che separano la giovinezza dall'età adulta.
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Informazioni
Print ISBN
9788817102636eBook ISBN
97888586930636
Me lo ha detto così, senza un minimo di preparazione, nel suo stile lapidario e pratico. Eravamo a tavola, avevamo appena finito di cenare e stavamo parlando di Sidney Poitier che aveva mandato a Giulia un mazzo di rose, e questa cosa non mi era affatto andata giù. Non si trattava del Sidney Poitier vero, naturalmente, ma di uno che gli somiglia, per questo lo chiamiamo così, un bell’imbusto che abita nel palazzo di fronte, uno del Kenia, atletico attraente affabile e incravattato, che lavora all’ambasciata del suo paese, uno che ogni volta che vedeva Giulia le faceva dei sorrisi larghi come fette d’anguria e le lanciava occhiate oblique, e che qualche giorno prima, solo perché Giulia, come spesso accade con tutto il vicinato, gli aveva dato blandi consigli psicologici e indirizzi a cui rivolgersi a proposito della figlia adolescente in odore di bulimia, le aveva subito mandato ’sto mazzo di rose con un biglietto con su scritto solo GRAZIE e il suo nome impronunciabile.
«... Ma come si permette di mandarti un mazzo di rose, che cazzo vuole, ’sto qui?»
«Perché poverino, è stato carino!»
«Ma sentitela adesso, solo perché “Indovina chi viene a cena” le manda dei fiori va in brodo di giuggiole... carino! è un viscido, altro che carino, lo vedo, sai, come ti guarda...»
«E chissà come mi guarda!»
«Ti guarda, ti guarda, ti lancia certe occhiate... e non far la finta tonta che te ne sei accorta anche tu, va’ là.»
«Ummh, gelosone...»
«Macché gelosone, chissenefrega, dico solo che ’sto qua non si deve permettere di mandarti delle rose solo perché gli hai detto quattro cazzate su quel bombolone di sua figlia.»
«Non gli ho detto quattro cazzate, ho parlato con lui, con la figlia e poi ho telefonato a una collega molto brava che si occupa di bulimia e ho fatto in modo che sua figlia andasse da lei... e poi non chiamarla bombolone, per favore.»
«Ah no, semmai, e che cos’è? Quella non è bulimica, te lo dico io, è una culona bombolona che si mangia certi panini da far paura a un muratore, l’ho vista io dall’alimentari qua sotto, s’è fatta fare mezzo pane toscano con dentro un salame calabrese intero...»
«Come sei stupido, non ti rispondo nemmeno perché altrimenti mi fai venire il nervoso.»
«Ok, scusa, ho esagerato, magari ha davvero dei problemi, però se permetti mi dà fastidio che questo qui...»
«Senti, cambiamo discorso, vuoi?»
«No, non voglio, perché adesso gli telefono e...»
«Sono incinta.»
«...gliene dico quattro perché non si deve permettere di... incinta? Cos’hai detto? Incinta?»
«Sì, sono incinta, aspettiamo un bambino.»
«Un bambino? Chi?»
«Calmati, noi, come chi?»
«Ok, calmiamoci, ma ripeti, cos’hai detto che sei?»
«Incinta.»
«Lo dici così, tanto per dire, vero?»
«Mai visto una che dice di essere incinta tanto per dire.»
«E allora perché?... Cioè, com’è successo?»
«Be’, te lo puoi immaginare.»
«Certo, quello lo immagino, volevo dire quando è successo? Siamo sempre stati attenti.»
«Si vede di no.»
«Ma hai fatto delle analisi?»
«Aha... prima ho fatto la prova a casa, ma non ti ho detto niente perché volevo aspettare d’essere sicura, e poi sono stata dal ginecologo che mi ha fatto fare le analisi del sangue e sono incinta, incintissima a giudicare dai valori del BHCG.»
Ho deglutito due o tre volte, mi sono versato dell’acqua e l’ho bevuta, poi mi sono versato del vino e ho bevuto anche quello, poi mi sono alzato e ho acceso una sigaretta, poi l’ho spenta perché Giulia mi ha detto di spegnerla perché era incinta, poi mi sono di nuovo seduto.
«Non mi sembri particolarmente felice.»
«Ehm, dammi il tempo di realizzare.»
«Allora facciamo così, intanto che tu realizzi io sparecchio e poi, dato che devo fare una telefonata, vedi un po’ se ti riesce di realizzare mentre fai la lavastoviglie, e mi raccomando, sciacquali bene i piatti prima di metterli dentro.»
Lei sparecchiava beata, silenziosa, risplendeva di un’aura di soddisfatta femminilità, io invece me ne stavo lì, attonito, senza riuscire a pensare a nulla, o forse mi frullavano in testa tanti di quei pensieri che si confondevano uno con l’altro fino ad annullarsi vicendevolmente. Poi è sparita, non c’era più, c’ero io seduto su una seggiola, in cucina, con una montagna di piatti da infilare nella lavastoviglie – perché non so come mai, ma quando mangiamo noi facciamo sempre una montagna di piatti – e questa volta sì che mi sono acceso una sigaretta.
Fumavo e pensavo, pensavo e fumavo.
Aspettiamo un bambino, porca miseria, e io invece d’essere contento sono rimasto così, senza parole, forse avrebbe voluto che la baciassi, che l’abbracciassi, magari che aprissi il frigo e tirassi fuori una bottiglia di champagne e... sì, champagne, come se nel frigo ci fosse una bottiglia di champagne... non ce n’è, c’è il limoncello che ha fatto Giulia, magari le sarebbe bastato il limoncello, oppure anche l’acqua o il vino che era in tavola, oppure anche niente... bastava... odio le lavastoviglie, preferisco sparecchiare. Ma io, poi, sono contento? Boh, non lo so mica se sono contento.
«Allora, hai realizzato?»
«Be’, insomma sì, credo di sì.»
«E non sei contento?»
«Ehm, non so.»
«Come non sai? O sei contento o non sei contento! Questa non è una questione che può lasciare indifferenti, non ti pare?»
«Non ho detto che mi ha lasciato indifferente, ho detto solo che non so, in ogni modo se devo proprio scegliere: sì, sono contento.»
«Guarda che non si sceglie di essere contenti, o lo si è o non lo si è.»
«Ma sì... no, dicevo così per dire... certo che sono contento. Sono contento.»
«E me lo dici con quella faccia lì?»
«Perché, che faccia ho?»
«La faccia di uno che non è contento.»
«Non è vero, te lo giuro, sono contento.»
L’ho abbracciata, l’ho baciata e poi ho riempito due bicchieri di limoncello, che tra l’altro io il limoncello lo odio, odio perfino il nome “limoncello” e odio soprattutto quelli che lo bevono, e abbiamo brindato, ma si capiva che non ero contento, anzi no, se in quel momento mi avessero telefonato per un sondaggio e mi avessero chiesto se ero contento di aspettare un bambino avrei risposto non so.
7
La gravidanza è trascorsa senza particolari problemi, anzi sono stati nove mesi bellissimi. Giulia è sempre stata bene e, nonostante lo stupore di tutti, ginecologo compreso, non si è messa neppure in malattia per gravidanza a rischio, e non succede mai che una dipendente pubblica non abbia una gravidanza a rischio. Giulia era l’eccezione che confermava la regola.
Alla prima ecografia, la professionale e asettica segretaria del ginecologo ci ha chiesto se volevamo, dietro esborso di una piccola maggiorazione, la videocassetta con la registrazione ecografica dove si vedevano le prime immagini di nostro figlio. Io non la volevo, perché mi pareva una cosa da fanatici e anche perché non si capiva nulla, un magma diffuso con un punto che batteva, però, visto che anche quella volta ho risposto non so e mi sono rivolto verso Giulia che ha detto subito di sì, l’abbiamo comprata. Così la sera, invece di guardare la televisione, ci siamo visti innumerevoli volte ’sto delirio di cassetta, che io, per distinguerla dalle altre, nonostante le decise rimostranze di Giulia, ho intitolato Il feto magmatico. Non contenta, Giulia, la prima sera che Saverio e Margherita sono venuti a cena da noi, ha voluto a tutti i costi fargliela vedere. Loro hanno apparentemente gradito, ma secondo me per degli amici, per quanto amici siano, l’unica cosa da vedere in casa d’altri più noiosa della cassetta ecografica di un feto sono le diapositive dei viaggi. Mia madre, addirittura, ha voluto che gliela prestassimo per farla vedere alle sue amiche, e mia suocera ha avuto il coraggio di dire che il “magma” somigliava a Giulia.
Durante il periodo della gravidanza ho fatto tutto quello che dovevo fare, sono stato premuroso e gentile con Giulia, abbiamo scelto insieme, nel senso che ero fisicamente presente ma sceglieva tutto lei, tutte le cose più care per le prime necessità del bambino: la carrozzina, la culla, il fasciatoio, le tutine, i primi giochini stimolanti ecc. ecc., mi sono documentato sul ruolo del padre moderno, ho sempre accompagnato Giulia alle visite ginecologiche e tutte le volte il ginecologo, consultando una specie di disco orario, ci diceva quando sarebbe nato nostro figlio. Ormai lo sapevo a memoria, se mi chiedevano quando nasce tuo figlio, ecco, quello lo sapevo. Abbiamo fatto l’amore con rinnovata passione anche se, confesso, forse con esagerata delicatezza dovuta alla mia idea, impossibile da sradicare del tutto e credo del tutto errata, che in qualche modo la cosa potesse nuocere alla gravidanza, tanto è vero che una sera, dopo aver fatto l’amore, Giulia mi ha detto: «Ma come ti muovevi? mi sembrava di avere addosso una piuma alla moviola».
Ho partecipato al corso pre-parto, almeno nei giorni in cui era obbligatoria la mia presenza (alle lezioni facoltative no, perché se una cosa è facoltativa io di solito non la faccio), con studiata attenzione, anche se dopo un po’, devo ammettere, mi distraevo, e una volta mi sono anche mezzo addormentato (ma non se n’è accorto nessuno perché, memore dei miei antichi calcoli prospettici, mi ero andato a sedere nel terzo banco della fila centrale).
Giulia ogni giorno si faceva più bella, più la sua pancia cresceva e più lei diventava radiosa e felice, e anch’io, che all’inizio mi ero un po’ spaventato, incominciavo ad abituarmi all’idea.
All’ecografia del quarto mese il ginecologo ci ha domandato se volevamo sapere il sesso del nascituro (ricordo ha detto proprio così: «Volete sapere il sesso del nascituro?»). E io, che lì per lì non avevo neppure capito bene chi fosse questo nascituro, ho risposto non so e ho guardato Giulia che invece lo voleva sapere, e così l’abbiamo saputo: maschio.
Giulia preferiva un maschio, per me era indifferente, mia madre preferiva anche lei il maschio, mia suocera invece la femmina, mio suocero il maschio e mio padre, a tavola, in una delle rarissime volte che eravamo a pranzo tutti assieme, nel bel mezzo di un’estenuante discussione che verteva principalmente sui privilegi dell’essere femmina o maschio a secondo dei diversi punti di vista, senza essere mai intervenuto prima se n’è uscito dicendo, anzi no, sussurrando, forse a se stesso: «Basta che non sia finocchio». Al che mia suocera, cogliendo il sussurro e fingendo di scandalizzarsi, ha ribattuto: «Innanzi tutto la prego, signor Dominici, li chiami omosessuali, per favore, e poi, mi scusi, che cos’ha contro gli omosessuali?».
«Niente» ha risposto mio padre che ormai era in ballo e doveva ballare, «solo che preferirei che mio nipote non lo fosse, tutto qui.»
«Be’ certo, forse anch’io, anche se devo dire che ho tantissimi amici omosessuali e le posso assicurare che sono persone stupende.»
E mio padre, invece di dire «Sì, sì, non lo metto in dubbio» e piantarla lì, sotto gli sguardi atterriti di mia madre ha fatto il discorso più lungo della sua vita e si è messo a disquisire su questa faccenda dei «tantissimi amici omosessuali», dicendo:
«Mi scusi eh, io non so che ambienti frequenta lei, ma mi può spiegare come...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Non so
- Parte prima
- Parte seconda
- Parte terza
- Post Scriptum