L'isola che brucia
eBook - ePub

L'isola che brucia

  1. 320 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

L'isola che brucia

Informazioni su questo libro

Sotto di lei, la scogliera è un precipizio perfetto. L'alba è una cartolina di mare, luce e vento che sferza la natura selvaggia del Cap Corse. Thérèse non vuole guardare giù, ma non ha scelta. Ancora un passo, solo uno, e la vede. Prima un lembo bianco che volteggia in aria, poi quel corpo riverso sulla roccia in modo innaturale, gli occhi vuoti che la fissano. Mamie, sua nonna, è morta. E ora Thérèse maledice se stessa e quell'isola abitata da fantasmi, dove nessuno dice mai la verità. È stata ingenua a credere chemamievolesse davvero lasciarle in eredità quella villa sulla scogliera. Ma era disperata, perché il suo amore se n'era appena andato e lei si era scoperta incinta di un figlio nel momento più sbagliato della sua vita. La Corsica, che Thérèse dovrebbe chiamare casa, è il luogo dove ancora vive suo padre: ma lui non è più la sua famiglia, è solo un'assenza inquietante che non ha mai smesso di farle paura. Per questo non sarebbe mai dovuta tornare. Invece non ha resistito al richiamo di quella terra aspra e senza tempo, dove esistono solo le leggi del sangue. E ora è troppo tardi per i rimpianti, ora deve solo pensare a fuggire e sopravvivere. Perché qualcuno la sta cercando, e vuole farla prigioniera. E solo Thérèse potrà fermare la vendetta dell'isola.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a L'isola che brucia di Emma Piazza in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817094443
eBook ISBN
9788858692028

Capitolo 1

Lisbona, fine febbraio 2016

Mi manchi, ecco la prima cosa che vorrei dirti.
Mi manchi e, da quando non ci sei, la mia vita è un procedere a tentoni nel buio.
Ho scelto la prima casa che ho visto. Ma, per puro caso, era semplicemente la più bella. È più cara di quanto avrei voluto, però è orientata a sud-ovest e ha una finestra alta e larga dalla quale entra molta luce. Mi sono presa una casa da sola, un appartamento che tu, forse, non vedrai mai. Mi si spezza il cuore a pensare che c’è qualcosa di me che non conoscerai, un luogo della mia vita nel quale non metterai piede. Non devo pensarci. Adesso spalanco la grande porta-finestra e lascio entrare il sole e l’energia. Lisbona la chiamano “la città della luce”. E io in questo momento ho bisogno di un posto che mi ricordi che la mattina il mondo si illumina e porta con sé un giorno nuovo.
Metto sul fuoco il caffè di ieri, lo riscaldo. Prendo fiato e mi dico che va tutto bene, che mancano tante ore prima che arrivi la sera.
Fuori è una giornata stupenda, ariosa. Le strade in salita sembrano condurre direttamente al cielo, impazzito di rose e di more. Ogni tanto ne imbocco una e spero che in cima non ci sia niente. Cammino a lungo senza una meta, ho bisogno di schiarirmi le idee. Case pastello, piastrelle a mosaico, bianco che sovrasta. Tutta la città è bianca, e io sono una sottile sagoma scura che scivola su un foglio vuoto.
Pensavo che venire qui mi avrebbe aiutata a dimenticarti, e invece qualcosa che hai lasciato dentro di me mi costringe a pensarti più di quanto vorrei. Tu intanto non mi chiami. Sembro scomparsa dai tuoi pensieri come a volte mi sembra di sparire dal mondo. Mi dico che sono solo sensazioni. Il cervello si riempie di tossine quando si è stressati. Andrà tutto bene. Mangio tante verdure e bevo acqua con un po’ di limone. Per le vitamine. E anche broccoli. E nonostante mi ripeta che sono forte e ho solo trent’anni, che ho la vita davanti e la Grande Occasione mi si è appena presentata, non posso dimenticare di averti amato. Ecco perché ogni tanto mi siedo su una panchina a caso, mentre girovago senza nessuno da incontrare, scoppio in lacrime e mi domando se riesci a sentirmi.
Ho trent’anni e sono bella. Ho gli occhi verdi e piccoli. «Da spia» dicevi tu. I capelli alle spalle, mossi, biondo cenere, tra i quali, pochi giorni fa, ne è apparso uno bianco. Il fisico tonico, anche se ho messo un po’ di carne sui fianchi e il seno non è più quello di un’adolescente. Sono stufa di pensare al mio aspetto fisico ossessivamente e, proprio ora che inizia a non essere più al suo massimo, sento che me ne importa poco. Almeno per qualche tempo non ci voglio pensare. Mi sono trasferita in questa città per lasciarmi andare. Lasciarmi stare. Per non ambire a nulla.
A Lisbona passeggio molto, fino a quando non mi sento esausta. È così che riempio i vuoti. Di solito, qualunque strada percorra, mi ritrovo sempre a Praça do Comércio a guardare il mare e il fiume insieme. Anche oggi sono arrivata fino a lì.
Quando rientro a casa, ho le gambe molli, non rispondono più ai comandi. Il silenzio che mi dà il benvenuto è una sensazione piacevole e dolorosa allo stesso tempo. Poi però mi volto e in mezzo alla stanza la tela vuota mi osserva e mi ripete che è difficile lasciar perdere tutto, forse addirittura più difficile di battersi per quello che si desidera. Tu l’hai fatto tante volte, invece. Forse anche io dovrei imparare a vivere nel presente, a godermelo.
Stasera, di fronte alla tela che mi giudica immobile, mi sento mancare le forze. È sabato e il tramonto brilla ancora tra le nuvole. Lascio la finestra della sala aperta di qualche centimetro. Mi infilo nel letto, nonostante l’orario, avvolta nel piumone con l’aria di Lisbona che mi accarezza la pelle del viso. Mentre cerco conforto nel sonno, mi concentro sul mio futuro, dove tu non sei più invitato.
Mi sveglio confusa, di colpo, ho freddo, il vento fa sbattere qualcosa. Sembra un brutto sogno. Ho la schiena gelata. È la finestra. Mi alzo e vado a chiuderla. Poi mi metto una felpa che trovo sulla sedia e mi accuccio sul divano.
Non riesco nemmeno a immaginare una bella sensazione.
Sono sempre di cattivo umore, se dormo di pomeriggio e mi sveglio all’improvviso.
Cerco di fare il punto della situazione. Non so che cosa ho voglia di fare. Sono quasi le nove. Di uscire non se ne parla. Fuori la luce è sparita, mi ha abbandonata.
Da qualche mese ho paura del buio.
Rimango a fissare un punto qualsiasi nel vuoto mentre mi tocco i capelli, assorta, rievocando momenti della mia vita precedente ormai trasformati in ricordi dolorosi.
Poi un rumore alla finestra mi spaventa. Vedo un’ombra, qualcosa si muove sul balcone. Mi avvicino. Il rumore continua. I miei battiti accelerano. Sul balcone un gabbiano sta divorando un uccello più piccolo. All’inizio non mi nota nemmeno. Le ali della sua preda, staccate dal resto del corpo, sono dall’altro lato del terrazzino. Si accorge della mia presenza e mi fissa con i suoi occhietti vitrei, neri, spenti. Ha tutto il becco insanguinato. Si sta accanendo sul petto dell’uccello. È rimasta solo la testa, quasi irriconoscibile. Non oso aprire i battenti. Ho paura che il gabbiano mi possa attaccare. Penso di scacciarlo con un gesto ma ho paura. Continua a fissarmi. Ha in bocca un brandello di qualcosa. Mi sale un conato dallo stomaco. Non reggo più. Corro in bagno.
Vomito e respiro profondamente. Cerco di calmarmi. Devo affrontare la situazione. Quando mi decido a tornare in salotto per controllare, il gabbiano è volato via, lasciando poco o niente dell’altro uccello, tranne le ali. Mi chiedo dove troverò il coraggio di pulire. Penso che potrei semplicemente spingerle giù dal balcone. Vado in cucina a prendere scopa e paletta, quando all’improvviso squilla il telefono.
Vedo lo schermo illuminarsi nel buio della stanza.
Il mio primo pensiero è che possa essere tu.
Poi però realizzo che non hai il mio numero. Oltre alla chiamata in arrivo vedo che ho ricevuto molti WhatsApp.
Cosa succede?
La chiamata, lo intuisco al volo dal prefisso, arriva da un numero francese, e questo è il mio numero portoghese che ha solo mia madre.
«Pronto?»
Mi risponde una voce familiare, anche se non riesco subito a identificarla. Come previsto, parla francese.
«Ciao, Thérèse, sono zia Louise. È un bel po’ che non ci sentiamo, spero che tu stia bene.»
Sorvola sul fatto che mia nonna due anni fa ha cambiato numero e lei non si è preoccupata di farmi avere quello nuovo.
«Ho mandato una lettera con il mio numero» dico.
«Che peccato, non l’abbiamo ricevuta.»
«Pensa, che strano» faccio io.
«Già» risponde lei. «Comunque, buone nuove, la nonna sta dividendo l’eredità, vuole lasciarti una casa qui in Corsica. Dovresti solo venire a firmare il passaggio di proprietà.»
«Oh.» Sono senza parole. La cosa mi puzza. Vorrà darla a me per non lasciarla a mio padre, che sono già certa non verrà menzionato durante la conversazione.
«Quando dovrei venire per firmare i documenti?»
«Prima possibile.»
«Ok… Devo capire come arrivare.»
Le chiedo di mia nonna. Mi dice sì, sì, sta bene, ha voglia di vederti. Sicuramente non è vero, però una casa mi farebbe davvero comodo, la potrei vendere e comprarmene una a Lisbona. O magari potrei prenderla a Barcellona, tornare lì, assicurarmi un’entrata economica, affittarla, oppure andarci a vivere. Da sola, certo, con chi se no?
«D’accordo» rispondo, «fammi controllare i voli. Questo è il tuo numero? Ok, va bene, grazie, grazie mille.»
Quando chiudo la chiamata, mi sento strana. Ho la schiena sudata e non capisco perché ma un lieve tremore mi ha invaso il corpo.
Controllo i WhatsApp, sono di mia mamma. “Ha chiamato Louise!!!” scrive. “La nonna vuole intestarti una casa! Sono matti.” Poi aggiunge: “Skype quando vuoi”.
Aspetto un momento prima di rispondere, questa novità mi agita. È una bella notizia, eppure qualcosa mi dice di non fidarmi. Non voglio litigare con mio padre. Non vorrei avere niente a che fare con nessuno di loro. Credo sia normale che mi senta così, per me la Corsica è sempre stata come un buco nero dal quale le mie emozioni vengono risucchiate per sparire non so dove.
Prima di tutto, voglio sbarazzarmi del cadavere fatto a pezzi sul mio balcone.
Spalanco la finestra, ma le ali sono sparite.
*
Lisbona sembra un fiume. Ci penso seduta in un bar con le pareti blu coperte di vecchi volumi in portoghese. Davanti a me un’insalata di melograno e avocado che non ho ancora toccato.
Le notifiche delle email suonano ininterrottamente, squilli brevi che sono scariche di adrenalina. Il proprietario del bar, un ragazzo brasiliano più giovane di me, mi spia con la coda dell’occhio mentre asciuga i bicchieri. Sono l’unica cliente, adesso. Non credo che di solito la cucina sia aperta a quest’ora, però devo avergli fatto pena, perché è da una settimana che quando entro, sempre alle quattro, la mia insalata di melograno è sempre magicamente già pronta. Non cambio mai, un po’ perché mi piace, un po’ per non sconvolgergli i piani.
La prima volta che ho messo piede qui dentro ero talmente nervosa e irritata che ho lasciato scegliere a lui cosa portarmi, ma quando mi ha servito un piatto di gamberi interi, con tutta la testa, sono impallidita di colpo e per poco non sono svenuta.
Da quel giorno evita di prendere iniziative e mi porta sempre la stessa cosa.
Potrei rilassarmi, godermi l’atmosfera della città, il gusto dell’insalata, eppure qualcosa mi turba. Dopo la telefonata di mia zia, una sensazione strana mi tiene la fronte corrugata.
Mi accorgo che il ragazzo del bar mi sorride e mi fa un cenno, come a dire “Non la vuoi?”. Io rispondo al sorriso e inforco qualche foglia, poi do un morso a una fetta di pane integrale. I chicchi del melograno mi scoppiano aspri in bocca e per assaporarli meglio chiudo gli occhi. Quando li riapro, il ragazzo mi sta ancora guardando e sembra soddisfatto, poi rientra in cucina e io mi rimetto a lavorare.
Collaboro con la stessa agenzia grafica da quattro anni. Sono tra le pochissime persone che conosco a fare quello che amano, anche se costa fatica e un po’ d’incertezza. Inoltre ha i suoi vantaggi e uno su tutti: posso lavorare da casa, quindi andarmene dove mi pare. Barcellona, Londra, Lisbona, non c’è differenza. Basta che per nove ore al giorno rimanga incollata al computer. Ci sono periodi più calmi, dove ho tempo di dedicarmi anche ad altro. A dipingere, ad esempio. L’unico problema è che nell’agenzia siamo solo io e il mio capo, che vive a Londra, quindi poche prospettive e, a dirla tutta, pochi soldi. Abbastanza per sopravvivere decentemente ma non per fare dei progetti, pensare a un futuro nel quale smettere di fuggire e mettere radici. Con il tempo non ho più paura di partire ma non so tornare. Quando un posto vale l’altro, nessun posto vale veramente la pena.
Dovresti essertene accorto ormai. O la mia assenza è talmente minuscola da poter essere ignorata?
È un mese che non ci sentiamo, forse stai aspettando che ti chiami. Ma io sono partita e non ho intenzione di voltarmi indietro.
* * *
Sai cosa mi spaventa più di averti persa, Sofia?
Il vederti tornare, la sera.
Io non sono un uomo cattivo, almeno così pensavo.
Invece, Sofia, il tuo sguardo, la sera, mi ripete il contrario.
Riuscirai mai a perdonarmi?
Sei venuta anche stanotte.
La stanza era al buio, la casa in silenzio, io tra il sonno e la veglia.
Un intenso odore stantio di fiori ha invaso lo spazio. Ho capito che eri tu, è il profumo che ti annuncia. Ho spalancato gli occhi nel buio.
La porta si è aperta con un soffio, senza fare rumore. La guardavo schiudersi, la testa immobile sul cuscino, il corpo costretto in una paralisi.
È la paura.
L’odore di fiori si è fatto più intenso.
Sei apparsa sulla soglia. Indossavi, come sempre, il vestito celeste che Elin ha scelto per te l’ultima volta.
Non sei entrata nella stanza, non hai fatto alcun passo verso di me. Non hai parlato. Mi fissavi nel buio.
Ho cercato di dire qualcosa ma non ci sono riuscito. Ho sentito le lacrime bagnarmi le guance.
Una corrente d’aria improvvisa ha sbattuto la porta.
Ho iniziato a sentire l’urlo, quello mostruoso di Elin.
E poi finalmente tutto è tornato immobile e silenzioso, lasciandomi madido di sudore, morto nell’anima.
* * *
Sono incinta. Ecco la seconda cosa che ti direi.
L’ho scoperto qualche giorno fa. Ho finalmente capito da dove arrivano tutti questi presentimenti che mi terrorizzano. Da lui. Dalla pancia. Questo bambino porta sfortuna. È un intruso. È lui che mi aspetta dietro agli angoli. È lui che vuole uccidermi, rovinarmi la vita.
Ho sempre pensato di essere molto più simile a un uomo, perché le donne sono così criptiche e complicate. Ma ora che sono incinta, mi rendo conto di non essere semplice per niente. Niente di tutto questo è semplice. E ora che lo sai, non sarà semplice nemmeno per te.
Questo bambino non lo voglio. Forse l’avrei voluto quando stavamo insieme, o forse neanche allora mi sarei sentita pronta, sai, a rinunciare a tutto. A prendermi cura di lui e di te. Perché, certo, tu un figlio lo vuoi, i bambini ti piacciono, però poi chi dovrebbe pensare a tutto sarei io, sono sempre stata io.
Nonostante non lo desideri, cresce dentro di me, nella mia indifferenza. Continuo a correre, a fare addominali e squat, me ne frego che potrei perdere il bambino. Oggi mi sono messa a saltare. Battevo i piedi come per farlo uscire. Speravo saltasse fuori, di ritrovarlo sulle piastrelle luccicanti di Lisbona.
Prima forse lo avrei potuto sentire come una cosa nostra, fatta insieme. Invece adesso è solo l’ennesima cosa di te che mi devo addossare. Mi ruberebbe tutto, questo bambino, mi ruberebbe completamente la libertà. La libertà ha un prezzo. La vendi volentieri...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’isola che brucia
  4. Prologo
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Epilogo