La radice quadrata di un'estate
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La radice quadrata di un'estate

  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La radice quadrata di un'estate

Informazioni su questo libro

Il cuore di Gottie si è spezzato tre volte, e sempre d'estate. La prima quando Thomas, il suo migliore amico, se n'è andato senza dirle addio, la seconda quando l'amato nonno è morto, e la terza quando ha creduto di aver trovato il grande amore della sua vita per poi scoprire che era così solo per lei. Gottie è diventata un'isola, da tutti circondata ma irraggiungibile, chiusa nel suo mondo di ricordi e di studi scientifici, per i quali ha un talento davvero fuori dal comune. Poi all'inizio di una nuova estate Thomas inaspettatamente ritorna e si trasferisce proprio nella stanza del nonno. La compresenza fisica di quei due cuori infranti incanta misteriosamente il mondo, e spalanca un tunnel temporale: Gottie inizia a oscillare fra le tre estati dei suoi cuori infranti, quella presente, quella appena passata, in cui è morto il nonno, e quella di tanti anni prima, in cui Thomas se n'è andato. All'inizio Gottie cerca di capire perché tutto ciò stia succedendo, cerca di trovare la radice quadrata dell'estate, ma presto capisce che non è importante: quello che conta è che riavvolgendo il tempo, le fratture nel suo cuore possano essere ricomposte, e guarite.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817099370
eBook ISBN
9788858693551

{1}

PARTICELLE

____________________
Il Principio di indeterminazione afferma che è possibile sapere dove si trova una particella o dove andrà, ma non entrambe le cose allo stesso tempo.
A quanto pare, è così anche per le persone.
Quando si prova a guardare troppo da vicino, si verifica l’Effetto Osservatore. Se si cerca di scoprire che cosa succede, s’interferisce con il destino.
Una particella può trovarsi in due posti contemporaneamente.
Può interferire con il suo passato.
E avere molteplici futuri e molteplici passati.
L’universo è complicato.

Sabato 3 luglio

____________________
[Meno trecentosette]
La mia biancheria intima è stesa sul melo.
Me ne sto sdraiata sull’erba, lo sguardo fisso tra i rami. È tardo pomeriggio e il giardino è color limonata, anche se qui sotto fa freddo, è buio e pieno di insetti. Quando rovescio indietro la testa vedo tutto sottosopra, anche il mio bucato, esposto come il più triste degli stendardi.
Sono sopraffatta dalla sensazione di déjà-vu, e mi ritrovo stupidamente a pensare: Ehi, Grey è a casa.
Qualche anno fa, quando ci si è rotto il filo per stendere la biancheria, mio nonno Grey si trovava proprio lì sotto all’albero. “Accidenti, ma va’ al diavolo!” aveva urlato, scagliando i vestiti bagnati tra i rami per farli asciugare. Il lancio dei panni gli era piaciuto a tal punto che da allora lo ripetevamo a ogni tramonto.
Grey però è morto lo scorso settembre, e queste cose ormai non le facciamo più.
Chiudo gli occhi e provo a recitare il pi greco fino a cento cifre decimali. Quando li riapro, dal melo sbocciano ancora i miei slip. Mi sembra di fare un salto nel passato… so bene chi è il responsabile.
Poi sento la sua voce che fa il mio nome, mentre fluttua verso di me oltrepassando i cespugli.
«Gottie? Già, è sempre il genietto di famiglia.»
Mi volto e sbircio tra gli alberi. Dall’altra parte del giardino, vedo mio fratello Ned che esce dalla porta sul retro. Un metro e ottanta di barba ispida, leggings pitonati e T-shirt con una molletta attaccata. È tornato dall’accademia di belle arti un paio di settimane fa, e da allora continua a proporre un pastiche delle estati di Grey: trascina le cose del nonno fuori dal capanno, ridispone i mobili, ascolta i suoi dischi. Si sdraia sull’erba, tiene una birra in una mano mentre con l’altra strimpella una chitarra immaginaria. Un chiaro esempio di moto perpetuo.
Quando mi accorgo di chi c’è dietro di lui, mi tuffo d’istinto nel prato. Jason. Suo migliore amico nonché bassista della band. Si stravacca pigramente a terra: a forza di fissarlo, gli scavo un buco nel giubbotto di pelle.
«Sono le sette passate» dice Ned. «Grots sarà qui a momenti, se vuoi farle un saluto.»
Quel nomignolo mi fa storcere il naso. Kla Grot, rospetto. Ma insomma, ho diciassette anni!
«Non è tardi?» La voce di Jason è un brusio. «Dovremmo chiamare gli altri e provare qui.»
No, non farlo, penso. Sciò. Già è dura avere Ned a casa che riporta tutto in vita con musica, rumore e caos. Ci mancano solo i Fingerband che vanno avanti a strimpellare per tutta la notte mentre parlano, parlano, parlano. Da settembre, io sono muta per scelta.
E poi c’è Jason: capelli biondi, ciuffo ribelle, occhi azzurri. Bello. E, per dirla tutta, anche mio ex ragazzo.
Mio ex ragazzo segreto.
Ehm.
Escluso il funerale, è la prima volta che lo vedo dalla scorsa estate. Da quando abbiamo fatto sesso sotto i raggi del sole.
Non sapevo che fosse tornato. Possibile che me lo sia perso? Viviamo a Holksea, un paese grande quanto un francobollo. Le case bastano appena per una partita a Monopoli.
Ho la nausea. Quando Jason è partito per il college non pensavo che ci saremmo rivisti in queste condizioni. Non mi immaginavo appostata in mezzo al boschetto come uno degli immensi Buddha di pietra di Grey. Sono immobile, costretta a restare qui a fissare la nuca di Jason. È troppo per il mio cuore, e al tempo stesso, non abbastanza.
Poi, dal nulla, appare Umlaut.
Una macchia indistinta color zenzero attraversa il giardino, atterrando con un miao vicino agli stivali da cowboy di Ned.
«Ehi, piccolino» lo saluta Jason, sorpreso. «Tu sei nuovo.»
«È di Gottie» ribatte Ned, senza dare una vera spiegazione. Non è stata mia l’idea di prendere un micio. Un giorno d’aprile è semplicemente apparso, per gentile concessione di papà.
Ned si alza, scruta il giardino. Cerco di mimetizzarmi come una foglia di un metro e settantacinque, ma sta già venendo verso di me.
«Ehi, Grots.» Alza un sopracciglio curato. «Che fai, giochi a nascondino?»
«Ciao» rispondo, girandomi sulla schiena e fissandolo dal basso. Se guardo Ned, vedo il mio riflesso: pelle olivastra, occhi scuri, naso aquilino. I capelli castani gli ricadono sulle spalle in una massa spettinata, mentre i miei non vedono un paio di forbici da cinque anni e sono raccolti in un perenne chignon. Solo uno di noi ha l’eye-liner (e non sono io).
«Eccoti» dice strizzando l’occhio. Poi tira fuori il cellulare e mi scatta una foto a tradimento.
«Ahhh» protesto, coprendomi la faccia. Se c’è una cosa che proprio non mi è mancata in quest’ultimo anno sono le sue manie da paparazzo.
«Perché non ti unisci a noi?» mi invita, dandomi le spalle. «Faccio le frikadeller
La prospettiva delle polpette basta a convincermi. Mi alzo e lo seguo mio malgrado tra i cespugli. Jason è ancora sdraiato sull’erba, a gingillarsi con le margherite. È evidente che al college ha scoperto un nuovo passatempo, perché ha in mano una sigaretta semifumata che solleva a mo’ di saluto, rivolgendomi un mezzo sorriso.
«Ehi, Grots» dice, senza incrociare il mio sguardo.
È il soprannome che mi ha dato Ned, penso. Tu un tempo mi chiamavi Margot.
Vorrei dirgli ciao, anzi, molto più di questo, ma le parole svaniscono prima di raggiungere la bocca. Per com’è finita, tra di noi ci sono un sacco di non detti. I miei piedi mettono radici mentre aspetto che si alzi. Per parlarmi. Per ripararmi.
Avverto il peso del cellulare nella tasca. Nessun messaggio: Jason non mi ha mai detto di essere tornato.
Distoglie lo sguardo e fa un tiro.
Una pausa, poi Ned se ne esce con un allegro: «Bene!» accompagnato da un battito di mani. «Voi due chiacchieroni potete entrare, ci sono delle polpette da friggere.»
Si avvia verso casa, io e Jason lo seguiamo in silenzio. Arrivata alla porta sul retro, sto per entrare con loro ma qualcosa mi blocca. Un po’ come quando sembra di sentire il proprio nome, e tutti i sensi sono in allerta. Resto sulla soglia, guardo indietro rivolta al giardino. Verso il melo, con la sua fioritura di biancheria intima.
Alle nostre spalle, la luce della sera è sempre più intensa, l’aria è fitta di zanzare e profuma di caprifoglio. Rabbrividisco. Siamo al culmine dell’estate, eppure sembra più una fine che un inizio.
Forse dipende dal fatto che Grey è morto. Sembra ancora che la luna sia caduta giù dal cielo.

Domenica 4 luglio

____________________
[Meno trecentootto]
La mattina dopo vado in cucina sul presto; verso palettate di Bircher Müsli nella ciotola, poi me ne accorgo: Ned ha riattaccato le foto sul frigorifero, un’abitudine di Grey che ho sempre detestato. Così è ancora più evidente il vuoto in cui dovrebbe esserci la mamma.
Aveva diciannove anni quando è nato Ned e si è trasferita nel Norfolk, portandosi dietro papà. A ventuno ha avuto me, ed è morta. La prima foto in cui ci sono anch’io è di quando avevo quattro anni ed eravamo a un matrimonio. Io, papà e Ned, insieme. Alle nostre spalle svetta Grey, tutto capelli, barba e pipa, un Gandalf gigante in jeans e T-shirt dei Rolling Stones. Io ho un sorriso sdentato, capelli a spazzola, camicia e cravattino, scarpe con le fibbie, pantaloni infilati nei calzini sporchi. (Ned, invece, indossa un costume rosa da coniglietto).
Un paio d’anni fa ho chiesto a Grey perché mi avevano vestita da maschietto, e lui, soffocando una risatina, aveva risposto: “Gots, nessuno ti ha costretto. Hai scelto tu, anche quel pasticcio con le calze. I tuoi vogliono che tu e Ned siate liberi di esprimervi”. Dopodiché si era allontanato per mescolare un discutibile stufato che stava preparando.
Nonostante la mia presunta volontà infantile di vestirmi come Mr Darcy, non sono un maschiaccio. Saranno anche appesi a un albero, ma i miei reggiseni sono rosa. L’altra notte sono rimasta sveglia per mettermi lo smalto rosso ciliegia sulle unghie dei piedi. Nascoste nel mio armadio, sotto a una montagna di scarpe di tela tutte uguali, si annidano un paio di décolleté nere. E credo nell’amore con la A maiuscola.
Quello che c’era tra me e Jason.
Prima di uscire dalla cucina, capovolgo la foto e la blocco con una calamita.
Fuori, il giardino è un idillio in stile cottage inglese. Alte speronelle trafiggono un cielo senza nubi. Guardo storto quel paesaggio splendente e mi dirigo verso la mia camera, una dépendance di mattoni che si trova dietro al melo. Inciampo su un ostacolo nell’erba alta e spicco il volo.
Quando mi alzo e mi volto, Ned è seduto per terra e ha la testa tra le mani.
«Sembri un dente di leone» lo provoco.
«Be’, tu sei caduta come una patata lessa» replica borbottando.
La porta sul retro è rimasta aperta e sento il telefono squillare. Ned si stiracchia come un gatto sotto il sole, con movimenti fluidi e imperturbabili. La sua maglietta di velluto, invece, è tutta una piega.
«Sei appena rientrato?»
«Più o meno.» Mi sorride compiaciuto. «Io e Jason siamo usciti dopo cena, per le prove con la band. C’era della tequila. Papà è a casa?»
Neanche fosse stato imbeccato da un invisibile direttore d’orchestra, nostro padre fa capolino dalla cucina con due tazze. In famiglia siamo tutti giganti dai piedi grossi, ma lui si distingue come uno Heinzelmännchen, un pallido folletto con i capelli corti appena uscito da una fiaba tedesca. Passerebbe inosservato, non fosse per le scarpe da ginnastica rosse.
Mio padre è uno che ha i piedi per terra quanto un palloncino, quindi non si scompone quando vede il disordine che c’è in giro. Si apposta a metà strada tra me e la ciotola di cereali rovesciata e allunga una tazza a Ned. «Spremuta? Venite, devo farvi una proposta.»
Mio fratello si lamenta, ma butta comunque giù un sorso e riemerge con un aspetto un filo meno verdognolo.
«Che proposta?» chiedo. È scioccante quando si sintonizza sulla realtà abbastanza a lungo da esporci le sue idee. A lui manca decisamente Vorsprung durch Technik, la precisione e l’efficienza tedesca. Per intenderci, non è uno che si dimentica la tovaglia a un picnic: si dimentica anche il picnic.
«Ah, dunque» dice. «Vi ricordate i vicini, gli Althorpe?»
Io e Ned ci voltiamo in automatico verso la casa oltre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. PARTICELLE
  4. 2. WORMHOLE
  5. 3. FRATTALI
  6. 4. WELTSCHMERZ
  7. 5. BUCHI NERI
  8. Ringraziamenti