I favolosi anni di Billy Marvin
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I favolosi anni di Billy Marvin

  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I favolosi anni di Billy Marvin

Informazioni su questo libro

Se hai quattordici anni e un ex amante ferito e furioso vende alla stampa le foto osé della tua valletta televisiva preferita, l'imperativo categorico è: vederle subito. Se però l'anno è il 1987, e Internet come lo conosciamo oggi è ancora solo nella mente di Dio, per ammirare le foto bisogna mettere le mani su una copia di Playboy, il Santo Graal che il severissimo Mr Zelinsky, proprietario dell'unico negozio nel quartiere ad averla, mai e poi mai ti venderà. A Billy e i suoi amici non rimane che una soluzione: il furto, ovviamente facendo attenzione a infilare prima di andarsene i soldi in cassa, perché vogliono vedere delle foto, mica finire all'inferno. Zelinsky però ha un antifurto futuristico, merito della figlia Mary, programmatrice abilissima. Solo da lei si può scucire il codice per disattivarlo, e quindi sedurla è la fase successiva del piano...

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817099264
eBook ISBN
9788858693223

1

10 REM *** WELCOME SCREEN ***
20 POKE 53281,0:POKE 53280,3
30 PRINT “{CLR}{WHT}{12 CSR DWN}”
40 PRINT “{7 SPACES}THE IMPOSSIBLE FORTRESS”
50 PRINT “{7 SPACES}A GAME BY WILL MARVIN”
60 PRINT “{9 SPACES}AND MARY ZELINSKY”
70 PRINT “{2 CSR DWN}”
80 PRINT “{7 SPACES}(C)1987 RADICAL PLANET”
90 GOSUB 4000
95 GOSUB 4500
]■
MIA MADRE ERA CONVINTA che sarei morto giovane.
Nella primavera del 1987, qualche settimana dopo che avevo compiuto quattordici anni, iniziò a fare il turno di notte al supermercato Food World, perché la pagavano un dollaro di più l’ora. Dormivo da solo nella casa deserta, mentre lei batteva prezzi alla cassa e si tormentava pensando a tutte le disgrazie che potevano succedermi: e se mi strozzavo con una crocchetta di pollo? E se scivolavo nella doccia? E se mi dimenticavo di spegnere il gas e la casa esplodeva in un inferno di fuoco? Ogni sera alle dieci in punto mi telefonava per assicurarsi che avessi finito i compiti e chiuso a chiave la porta davanti. Certe volte mi faceva controllare gli allarmi antincendio, hai visto mai.
Ero il liceale più fortunato del mondo. Tutte le sere Alf e Clark, i miei amici, venivano a casa, impazienti di celebrare la mia nuova libertà. Stavamo ore davanti alla tivù, ci frullavamo ettolitri di milkshake e ci ingozzavamo fino alla nausea di merendine e sofficini gusto pizza. Facevamo maratone di Monopoli e Risiko che si trascinavano per giorni e finivano sempre con lo sconfitto incavolato nero che rovesciava il tabellone. Discutevamo di film e di musica, ci accaloravamo su chi avrebbe avuto la meglio in una rissa: Rocky Balboa o Freddy Krueger? Bruce Springsteen o Billy Joel? Magnum P.I., T.J. Hooker o MacGyver? Ogni sera era come un pigiama party, e pensavo che quella vita paradisiaca sarebbe continuata in eterno.
Ma poi successe che “Playboy” pubblicò le foto di Vanna White, la conduttrice della Ruota della fortuna. Me ne innamorai perdutamente, e da quel giorno tutto iniziò a cambiare.
Il primo ad avvistare “Playboy” fu Alf. Per dircelo fece di corsa tutta la strada dall’edicola di Zelinsky a casa mia. Io e Clark eravamo sul divano a guardare la Top 20 di MTV, quando Alf piombò in salotto.
«C’è il suo culo in copertina!» ansimò.
«Il culo di chi?» chiese Clark. «Che copertina?»
Alf si accasciò sul pavimento, premendosi la milza. «Vanna White» boccheggiò. «“Playboy”. Ne ho appena visto una copia, e c’è il suo culo in copertina!»
Quella sì che era una notizia fenomenale. La Ruota della fortuna era uno dei programmi tivù più popolari, e la conduttrice Vanna White – una provincialotta di Myrtle Beach che girando le lettere sul tabellone della frase misteriosa era volata a razzo sull’Olimpo della celebrità – era l’orgoglio della nazione. Il caso delle foto di “Playboy” era già finito sulle prime pagine dei tabloid da supermercato: una VANNA UMILIATA E SOTTO CHOC! sosteneva che quelle IMMAGINI ESPLICITE! risalivano ad anni prima e certamente non sarebbero dovute finire sulle pagine di “Playboy”. Aveva intentato causa per più di cinque milioni di dollari per bloccarne la pubblicazione e ora – dopo mesi di voci e speculazioni – la rivista era sbarcata in edicola.
«È la cosa più incredibile che abbia mai visto» continuò Alf. Si arrampicò su una sedia e imitò la posa di Vanna sulla copertina. «Sta seduta su un davanzale, così. E si sporge fuori tipo per controllare che tempo fa. Solo che non ha le mutandine!»
«Ma va’» disse Clark.
Vivevamo tutti e tre nello stesso isolato e nel corso degli anni avevamo imparato che Alf aveva una certa tendenza all’esagerazione. Come quella volta che aveva affermato che John Lennon era stato ucciso da una mitragliatrice. In cima all’Empire State Building.
«Lo giuro sulla testa di mia madre» disse Alf alzando la mano al cielo. «Che possa finire sotto un trattore, se dico una bugia.»
Clark gli tirò giù la mano. «Smettila di dire certe cose. Tua madre è fortunata a essere ancora viva.»
«Be’, tua madre invece è come il McDonald’s» ribatté Alf. «Ha soddisfatto milioni e milioni di clienti.»
«Mia madre?» replicò Clark. «Cosa c’entra mia madre?»
Alf per tutta risposta gli parlò sopra: «Tua madre è così lercia che quando si cambia l’assorbente dice: “To’, è già passato un anno”». Alf era una specie di enciclopedia ambulante in fatto di battutacce sulle madri, e gli bastava tanto così per scatenarsi. «Tua madre è come un ristorante giapponese…»
Clark lanciò un cuscino che attraversò tutto il salotto e beccò Alf dritto in faccia. Furioso, Alf glielo scagliò indietro due volte più forte, ma lo mancò e rovesciò il mio bicchiere di Pepsi. Il tappeto si allagò di liquido frizzante e schiumoso.
«Merda!» esclamò Alf precipitandosi a pulire il disastro. «Scusa, Billy.»
«Fa niente» dissi io, «prendo dello Scottex.»
Non era il caso di farne una tragedia. Tanto non avrei mai mollato Alf e Clark per qualche nuovo amico più perbenino. Avevamo iniziato le superiori insieme, nove mesi prima, e avevamo guardato i nostri compagni di classe lanciarsi in questo o quello sport, iscriversi a un’associazione, appassionarsi a una materia. Noi tre, invece, continuavamo a orbitare in giro, senza trovarci a nostro agio in niente.
Io ero il più alto del primo anno, ma non del genere spilungone piacione. Ciondolavo per la scuola come un cucciolo di giraffa, tutto gambe ossute e braccia ingestibili, aspettando che il resto del corpo recuperasse lo svantaggio. Alf era più basso, più tarchiato e più sudato, e in aggiunta aveva la sfiga di chiamarsi come l’extraterrestre più famoso della tivù – un pupazzo animato alto un metro protagonista di una sitcom sulla NBC. La loro somiglianza era sconcertante. Entrambi gli Alf avevano un fisico da troll – nasone, occhi sbarrati e criniera castana scarruffata. Anche i nostri insegnanti ci scherzavano sopra e dicevano che erano gemelli.
Eppure, malgrado tutti i nostri evidenti difetti, io e Alf eravamo messi meglio di Clark. Alla mattina, appena sceso dal letto, sembrava il classico bonazzo da rivista per ragazzine. Alto, bei muscoli, capelli biondi ondulati, occhi azzurro intenso e pelle di pesca. Quando le ragazze lo incrociavano al centro commerciale restavano a bocca aperta, come davanti a River Phoenix o a Kiefer Sutherland. Ma i loro sguardi fuggivano precipitosamente quando notavano l’Artiglio. Un difetto di nascita aveva fuso insieme le dita della mano sinistra di Clark in una specie di tenaglia rosa. Era praticamente inservibile: si apriva e si chiudeva, ma non aveva abbastanza forza per sollevare niente di più grosso e pesante di un giornale. Clark giurava che appena compiuti i diciotto anni sarebbe andato da un dottore per farsela amputare, costasse pure un milione di dollari. In attesa di quel momento tirava avanti a testa bassa e con l’Artiglio ben nascosto in tasca, evitando di attirare l’attenzione. Eravamo convinti che Clark fosse condannato al celibato – che non avrebbe mai avuto una ragazza in carne e ossa – perciò aveva bisogno del “Playboy” con Vanna White più di chiunque altro.
«È nel paginone centrale?» domandò.
«Non so» disse Alf. «Zelinsky lo tiene sulla rastrelliera dietro la cassa. Vicino alle sigarette. Non ho potuto nemmeno avvicinarmi.»
«Non l’hai comprato?» chiesi io.
Alf sbuffò: «Certo, come no! Sono andato da Zelinsky e gli ho detto: “Mi dia ‘Playboy’, sei lattine di birra e anche una pipa da crack, già che si siamo”. Ma scherzi?».
Eh sì, comprare “Playboy” era fuori discussione, lo sapevamo bene. Era già difficile riuscire a comprare i dischi rock, con il pastore Jerry Falwell che nelle sue prediche in tivù li accusava di essere strumenti del demonio e intanto la moglie del senatore Gore metteva in guardia i genitori dai testi troppo espliciti. Nessun edicolante degli Stati Uniti avrebbe venduto “Playboy” a un quattordicenne.
«Howard Stern mi ha detto che le foto sono incredibili» spiegò Alf. «Dice che le tette sono inquadrate da vicinissimo, tutt’e due. Capezzoli, dotti galattici, tutto quanto.»
«Galattici?»
«Galattofori, non galattici» corresse Clark.
«Insomma, il tondino rosso intorno ai capezzoli» spiegò Alf.
Clark scosse la testa. «Quelle sono le areole, scemo. Il dotto galattoforo è la punta bucata del capezzolo. È da lì che esce il latte.»
«I capezzoli non sono bucati» disse Alf.
«Sì invece. Per questo sono sensibili.»
Alf si alzò la maglietta esibendo pancia e torace mollicci. «E i miei allora? Sono bucati, i miei?»
Clark si coprì gli occhi con la mano. «Copri quella roba. Per favore.»
«Io non ho i capezzoli bucati» insisté Alf.
Facevano sempre a gara a chi ne sapeva di più sulle donne. Alf si credeva un’autorità perché aveva tre sorelle più grandi. Clark invece si era fatto una cultura su L’amore dalla A alla Z, lo stravagante manuale danese di educazione sessuale che aveva trovato sepolto nel cassetto dei calzini di suo padre. Nemmeno ci provavo a competere con quei due. Tutto quel che sapevo sul sesso era… di non sapere nulla.
Ma ormai si erano fatte le sette e mezza, l’ora della Ruota della fortuna. Alf e Clark stavano ancora litigando sui dotti galattofori, così alzai al massimo il volume della tivù. Avevamo la casa tutta per noi, perciò potevamo urlare e far baccano a volontà.
«Guardate un po’ che bellezza il nostro studio, stasera! Un mare di premi favolosi, tutti da vincere!» Ogni puntata iniziava così, con il presentatore Charlie O’Donnell che preannunciava i regali più allettanti della serata: «Una crociera intorno al mondo, un magnifico orologio svizzero e una vasca idromassaggio Jacuzzi nuova di zecca! Un montepremi di più di ottantacinquemila dollari che aspetta un vincitore, qui, alla… Ruota della fortuna!».
La telecamera esplorava la zona esposizione, stivata di valigie, case galleggianti e robot da cucina. A presentare i premi in palio era il trofeo più desiderato di tutti, Vanna White in persona, un metro e sessantacinque per cinquantadue chili, drappeggiata in una pelliccia di cincillà da dodicimila dollari.
Alf e Clark smisero di battibeccare e ci incollammo tutti allo schermo. Vanna era la donna più bella d’America, non c’era ombra di dubbio. Certo, si poteva obiettare che Michelle Pfeiffer era meglio come occhi, che Kathleen Turner era meglio come gambe, che Heather Locklear era meglio come carrozzeria. Ma noi ci prostravamo adoranti solo all’altare della Ragazza della Porta Accanto. Vanna White aveva una purezza e un’innocenza che la innalzavano al di sopra di tutto il resto.
Clark mi venne vicino e mi toccò il ginocchio con l’Artiglio. «Domani vado da Zelinsky. Voglio vedere la copertina con i miei occhi.»
«Vengo con te» dissi, senza staccare lo sguardo dallo schermo.

2

200 REM *** ESTABLISHING DIFFICULTY ***
210 PRINT “{CLR}{15 CSR DWN}”
220 PRINT “SELECT SKILL LEVEL”
230 PRINT “EASY-1 NORMAL-2 EXTREME-3“
240 INPUT “YOUR CHOICE? ”;SL
250 IF SL<1 OR >3 THEN GOTO 200
260 IF SL=1 THEN PK=10
270 IF SL=2 THEN PK=15
280 IF SL=3 THEN PK=20
290 RETURN
]■
ABITAVAMO A WETBRIDGE, otto chilometri a ovest di Staten Island, nella regione geografica che i cabarettisti chiamano “l’Ascella del New Jersey”. C’erano fabbriche e raffinerie, fiumi inquinati e un gran traffico, villette unifamiliari sovraffollate e chiese cattoliche come se piovesse. Se volevi comprare qualcosa, dovevi andare “in centro”, due isolati di esercizi commerciali a gestione familiare a ridosso della stazione dei treni. “In centro” c’erano un negozio di biciclette, uno di articoli per animali, un’agenzia viaggi e cinque o sei negozi di abbigliamento.
Tutti questi negozi avevano avuto il loro momento d’oro negli anni Cinquanta-Sessanta, m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1
  4. 2
  5. 3
  6. 4
  7. 5
  8. 6
  9. 7
  10. 8
  11. 9
  12. 10
  13. 11
  14. 12
  15. 13
  16. 14
  17. 15
  18. 16
  19. 17
  20. 18
  21. 19
  22. 20
  23. 21
  24. 22
  25. 23
  26. 24
  27. 25
  28. 26
  29. 27
  30. 28
  31. 29
  32. 30
  33. 31
  34. 32
  35. 33
  36. 34
  37. Nota sul codice
  38. Ringraziamenti