Dove sei stata
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Dove sei stata

  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dove sei stata

Informazioni su questo libro

Dopo più di dieci anni di assenza, Mario torna nel luogo in cui è cresciuto: la Reggia di Caserta. Figlio del Capitano, storico custode del parco, la Reggia che conosce non è quella dei turisti, maestosa e spettacolare, ma un triangolo di terra con un'aia al centro, chiuso tra gli alberi del Bosco Vecchio e le acque della gigantesca Peschiera. Al di là di questo microcosmo di vasche, statue e arbusti, si intuisce la vita della città, della gente che resta fuori quando, alla sera, il Capitano richiude il cancello. È proprio lì che Mario conserva il suo ricordo più vivo: quello della madre Anna, che un giorno se n'è andata senza dire nulla, lasciando tutti indietro a fare i conti con la sua mancanza. Convinto che il motivo della fuga si trovi ancora all'interno del parco, Mario lo cerca senza sosta, sulle tracce di un passato che gli sfugge eppure non smette di richiamarlo a sé. Ma la verità non si può riconoscere finché non si è pronti ad accoglierla: per fare posto alle cose che non ha mai voluto vedere, Mario dovrà rimettere in discussione tutte le definizioni che reggono il suo mondo - quella di madre, quella di figlio, quella di colpa. La scrittura di Giusi Marchetta è limpida e pungente, capace di creare un universo senza mai invaderlo. Con mano sicura ci indica i dettagli e ci invita a trattenerli, dando vita a un romanzo suggestivo e profondo che trasforma, come d'incanto, le nostre certezze in possibilità.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817099448
eBook ISBN
9788858692530

Nel nome del figlio

Be’ tutti i bambini sono tristi
Ma a qualcuno poi gli passa.
Fa’ un elenco delle tue fortune. O meglio ancora
Comprati un cappello. Un cappotto o un cagnolino.
Per dimenticare, prendi lezioni di ballo.
Dimenticare cosa?
La tristezza, la tua ombra.
Qualsiasi cosa t’abbiano fatto
Quel giorno della festa in giardino
Quando tutta rossa per il sole sei tornata
La bocca imbronciata di zucchero
Nel tuo abitino col fiocco
E la macchia di gelato
E ti sei detta, da sola, nel bagno
Non sono io la figlia prediletta.
MARGARET ATWOOD
Bambina triste

1

Figlio, non figlio

Prima, ottobre 1977

Stavano davanti al camino e lei parlava ravvivando il fuoco.
«Non guardarti mai alle spalle quando vai nel bosco.»
Ai suoi piedi, Mario faceva di sì con la testa.
«Anche se senti un rumore, non ti girare. Il bosco è pieno di cose che ti vengono dietro ma non ti fanno niente: vogliono solo vedere chi sei e poi ti lasciano andare.»
Nel camino la fiamma si faceva sempre più alta prima di morire. Quando stavano soli, Mario poteva giocarci con un rametto, ma se il Capitano era a casa non la poteva sfottere.
«Devi stare sempre attento a dove cammini: non sai mai cosa c’è sepolto sotto.»
Cardellini morti, monete, biglie: Mario aveva nascosto molte cose sotto terra, però col cuore in gola domandava lo stesso: «Che ci può essere?».
Pensava ai gattini appena nati che si muovevano nel sacco di tela. Il Capitano aveva detto: «Scegli» e lui ne aveva preso uno tutto bianco con una macchia nera sul naso. Suo padre aveva richiuso gli altri dentro il sacco e li aveva portati nel bosco mentre la gatta lo fissava da sotto l’automobile.
«Ci può essere tutto» diceva Anna e lui, contento, rabbrividiva.
Capobianco le aveva regalato una culla di legno. Era come una barca e dondolava appesa a un gancio con un angioletto che la teneva sollevata dalla parte dove il neonato avrebbe messo la testa. Mario lo immaginava bellissimo, con il viso tondo, i capelli più chiari dei suoi e gli occhi azzurri come quelli del padre. Al Capitano il fratellino sarebbe piaciuto ed era questo il motivo per cui gli arrivavano i regali quando non era ancora uscito dalla pancia.
La culla l’avevano sistemata nella stanza del nonno, che tanto era morto e non poteva protestare. Certi pomeriggi Mario ci andava di nascosto e la spingeva, poi rimaneva a guardarla andare avanti e indietro.
Teresa diceva che la janara esce dal bosco ogni volta che nasce un bambino. Viene a trovare la mamma assieme alle altre vicine, lo prende in braccio, fa mille smorfie, lo coccola, poi però torna di notte per succhiargli il sangue. Per fortuna da neonato Mario era scampato alla morte e ormai non era più in pericolo.
Poco alla volta la culla si fermava. Con tutte e due le mani Mario spingeva più forte e il cigolio delle molle saliva fino al soffitto, raggiungeva la finestra aperta.
“Arriverà un bambino in questa casa” diceva la culla. Avvertiva la janara di tenersi pronta.
Quando il fuoco era ormai spento la stanza cominciava a raffreddarsi. Anna si aggiustava il plaid addosso. Con la pancia coperta, tutto sembrava uguale a prima.
«E poi?» incalzava Mario. La risposta la conosceva. Lei gliel’aveva già detta tante volte. «Se sto da solo nel bosco cosa devo fare?»
Anna non rispondeva. Guardava il fuoco, come se fosse normale interrompersi, dimenticarsi di stare parlando.
Mario le saliva in grembo stringendole i fianchi.
«Ma’? Cosa devo fare?»
Le colpiva le labbra con la fronte una, due volte. La immaginava baciare il bambino come se fosse una cosa da farsi.
«Devi ricordarti sempre la strada di casa. Solo così non ti perdi mai.»
Poi lo spingeva a terra, lo spediva a letto e lei restava lì. Il bambino nella sua pancia non aveva ancora un nome o una bocca per lagnarsene.

2

Madri

Dopo appena un mese di convivenza, quando ancora Mario, le sue stampe, i suoi libri, i suoi vestiti nell’armadio sembravano stonare con tutto il resto, Camilla gli aveva allungato la tazzina e gli aveva detto che era incinta.
Mario aveva buttato giù il caffè bollente e senza zucchero.
Camilla aveva specificato che non era sicuro. Solo un sospetto.
Lui aveva fatto di sì con la testa, contento che la bocca bruciasse troppo per parlare. E lo stomaco, e un poco anche gli occhi. L’aveva abbracciata, naturalmente, poi si era infilato sotto la doccia, si era vestito, era tornato a baciarla prima di correre in ufficio.
«Non ti preoccupare» aveva detto, poi si era subito morso la lingua. Lei però non aveva alzato gli occhi dalla sua traduzione.
«Non mi preoccupo.»
L’assistente sociale batte la penna due volte sulla sua agenda, poi la richiude e si toglie un capello inesistente dalla manica della giacca.
«Questo è quanto. Non ho altro da aggiungere.»
Alle sue spalle i disegni dei bambini attaccati al muro sembrano uno sfondo messo apposta per prenderne in giro l’espressione seria, l’acconciatura che sembra fresca di parrucchiere.
Suor Marta la fissa preoccupata. Una singola ciocca di capelli nerissimi spunta dalla fascia che tiene ferma il velo. È solo una piccola macchia scura sopra la fronte, ma Mario non riesce a staccare lo sguardo.
«Avvocato.»
«Ho sentito: sono sveglio.»
«Non si direbbe.»
Mario sospira; butta l’occhio sulla pagina dei suoi appunti, due righe stentate. Va a braccio.
«Gianluca è stato dichiarato testimone attendibile, quindi è ufficialmente parte del processo. L’incontro col giudice è ancora da stabilire, mentre il nostro colloquio incrociato coi nonni Andora e Veronica Capuano è previsto per oggi alle tre.»
«Tre e mezza.»
«Tre e mezza.»
Viola si alza, raccoglie il fascicolo con la perizia e lo infila nella sua valigetta.
«Il GIP ha tutta l’intenzione di chiudere il prima possibile. Al massimo la settimana prossima Persicato vorrà sentire il bambino. Se non vuole restare tagliato fuori le suggerisco…»
«… Di inviare al giudice una richiesta immediata. Già fatto, stamattina. Le suore hanno un bellissimo fax.»
Viola lo ignora, si rivolge a suor Marta.
«È molto importante che la procedura venga rispettata. La stanza deve essere a norma, il calendario preciso e bisogna tranquillizzare il bambino per quanto possibile. La famiglia si attaccherà a qualunque sciocchezza e l’avvocato Iannelli» si blocca, cerca la parola che le permetta di andare avanti senza compromettersi.
«È uno squalo» suggerisce Mario.
Suor Marta gli lancia un’occhiataccia.
«Sa fare molto bene il suo lavoro» conclude Viola, aspettando che l’insulto raggiunga il bersaglio.
Mario alza le spalle. Aspetta che lei esca, poi si prepara ad affrontare suor Marta.
«Se non stai prendendo sul serio questo incarico dimmelo adesso. Forse sono ancora in tempo per rimediare.»
È una fascia stretta, serve a fermare il velo, a nascondere i capelli e a separare il cielo dalla terra. La ciocca è lì da stamattina ma non se n’è accorta: tutti possono vedere il suo peccato tranne lei.
«Sono solo ottimista.»
Suor Marta non appare sorpresa come dovrebbe.
«Credevo che la famiglia fosse sempre la famiglia.»
«È così. Però anche gli Andora sono famiglia. E saranno pure un disastro ma i Capuano al confronto sono gli Addams. Non c’è partita.»
Suor Marta si alza e raggiunge le piante sulla finestra. Un piccolo annaffiatoio rosso è appoggiato sul davanzale col beccuccio rivolto in fuori, come un occhio puntato sul cortile. Suor Marta si accerta che ci sia ancora dell’acqua dentro, poi comincia a bagnare un vaso dopo l’altro.
«Da ieri non faccio che pensare a mio fratello» dice Mario. «È strano. L’avevo totalmente dimenticato.»
Suor Marta prende tra le mani una foglia di filodendro ingiallita, valuta se strapparla.
«Tu non hai un fratello» dice.
È vero. Mario sente ancora la polvere dello stanzino sulle mani. La culla marcita, sempre vuota, lasciata in un angolo per anni. Inventa il ricordo del Capitano che la infila tra bici vecchie, pentole arrugginite e valigie rotte che non farà mai riparare.
«Infatti. Non so neanche perché dico che è maschio. Magari era una femmina.»
Suor Marta scuote la testa.
«Era un maschio.»
Mario rimane zitto. Si sente quasi obbligato a una grande confessione, solo che non conosce le parole per spiegare tutta quella paura di essere sostituito, il desiderio intenso che l’altro potesse in qualche modo essere meno figlio. Quelle parole le aveva un tempo ma crescendo le ha perse.
«Ho un po’ di confusione su quel periodo. Il mio psicologo ha detto che è normale.»
«Sei andato da uno psicologo? Hai fatto bene.»
Mario fa sì con la testa. C’è andato all’università per ben due volte. Conta.
«Ricordo solo che era incinta e poi, di colpo, non era più incinta.»
Suor Marta rimette a posto l’annaffiatoio.
«Succede. Non tutti i bambini che devono nascere nascono.»
Con delicatezza sfiora le piante appena annaffiate.
«Devo andare a organizzare la mensa per la settimana. Domani, se vuoi parlare, ho un po’ più di tempo.»
Mario raccoglie la sua agenda, la penna.
«Le è dispiaciuto?»
Suor Marta sbatte le palpebre.
«Ad Anna, dico. È dispiaciuto?»
Lei guarda davanti a sé per un attimo, sta per rispondere ma poi, invece, si porta le mani alla fronte, punta dritto alla ciocca di capelli. Svelta la rimette al suo posto, la ricopre col velo.
«Certo» dice. Con un cenno del capo si avvia alla porta. Alle sue spalle la foglia gialla spicca in mezzo alle altre verdi, fastidiosa.
Alle tre Mario è già in attesa in quello che una volta era il refettorio delle suore. È la stanza più grande del convento, con un imponente tavolo di legno al centro e quadri di santi alle pareti. Di questi tempi le sorelle consumano i pasti con gli orfani o le ospiti del centro antiviolenza.
Quando Viola fa il suo ingresso, i tacchi sul pavimento rimbombano come se suonasse uno strumento.
«È pronto?»
«Sissignora.»
Prende posto accanto a lui. Dall’altra parte del tavolo quattro sedie affiancate per gli Andora, Veronic...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dove sei stata
  4. Nel nome del padre
  5. Nel nome del figlio
  6. Nel nome della madre