
- 288 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La ragazza dei lupi
Informazioni su questo libro
I soffialupi sono quasi impossibili da scoprire. Visti da fuori sembrano più o meno persone normali. Certo, ci sono degli indizi: è assai facile che manchi loro un pezzo di dito, il lobo di un orecchio, una o due dita dei piedi. Perché un soffialupi è il contrario di un domatore: accoglie un lupo cresciuto in cattività e gli insegna a vivere di nuovo tra i boschi, a ululare, ad ascoltare il Richiamo della foresta. Feo è una di loro, proprio come la sua mamma, e da sempre vive tra boschi perennemente bianchi di neve, avvolta nel profumo di legna e di pelliccia. Non tutti però amano i lupi, e ancor meno chi li aiuta a tornare selvaggi. E così, quando la mamma viene incarcerata ingiustamente, Feo non ci sta, e corre a salvarla.
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Informazioni
Print ISBN
9788817101240eBook ISBN
9788858693285
OTTO
Erano in aperta campagna, e il cielo si tingeva dei colori della sera quando il vento cominciò a ululare. Bianca e Nero ulularono insieme a lui.
«Oh, chyort!» sussurrò Feo.
Ilya cercò di cantare, ma inghiottì una boccata di vento e si zittì.
I lupi di solito non davano molto peso al vento, ma Feo riusciva a sentire che Nero, sotto la pelliccia, fremeva d’ansia. La neve rotolava giù dai pendii, formando grosse palle; i lupi avevano la coda che aderiva alle zampe e la pelliccia appiattita sulla testa. Bianca avanzava a fatica contro il forte vento.
«C’è odore di tormenta, Ilya» disse lei. «Un freddo cieco.»
«Ed è… un male?»
«Di sicuro non è un bene. Non è nemmeno lontanamente vicino al regno delle cose buone.» Si sporse in avanti e sussurrò una domanda nella pelliccia di Nero: «Che cosa facciamo adesso?».
Il vento ululò di nuovo; la fece barcollare e le penetrò nelle ossa. Era un vento furibondo. Il corpo di Feo fu scosso da un brivido forte e inatteso, che fece trasalire Nero sotto di lei.
«Smettila!» gridò.
«Non sto facendo nulla!» disse Ilya.
«Non tu! Il freddo!»
«Oh!»
Insieme gridarono: «Silenzio!».
Nel corso della sua vita, Feo aveva incontrato cinque tipi di freddo. C’era il freddo del vento, che passava inosservato; era molesto, rumoroso e arrossava le guance come uno schiaffo, ma non riusciva a uccidere nessuno, nemmeno quando ci provava. C’era il freddo della neve, che pizzicava le braccia e screpolava le labbra, ma portava con sé una vera ricompensa; era il tempo preferito da Feo: la neve era morbida, perfetta per costruire lupi di neve. C’era il freddo del ghiaccio, che poteva strappare la pelle dai palmi delle mani, ma solo a chi glielo permetteva: era improbabile che lo facesse, se stavi attento. Il freddo del ghiaccio aveva un odore vivido e penetrante; spesso lo accompagnava un cielo blu, ed era perfetto per pattinare. Feo aveva grande rispetto per il freddo del ghiaccio. Ma c’era anche il freddo duro, quello che arrivava quando il freddo del ghiaccio diventava tanto rigido che, dopo un mese, cominciavi a dubitare che l’estate fosse mai esistita. Il freddo duro poteva essere crudele. Gli uccelli morivano in volo. Era un freddo nel quale bisognava farsi strada a calci e pedate.
Infine c’era il freddo cieco. Il freddo cieco sapeva di metallo e granito. Si portava via tutti i sensi e soffiava la neve negli occhi finché le palpebre non restavano incollate; per aprirle di nuovo, dovevi strofinarle con la saliva. Il freddo cieco era quaranta gradi sotto zero. Era un freddo nel quale, per evitare di farsi ritrovare morti stecchiti a maggio o giugno dell’anno successivo, non si poteva stare fermi a pensare.
Feo aveva sperimentato il freddo cieco solo una volta, una notte di febbraio dell’anno prima, quando le pareti di casa avevano cominciato a scricchiolare. La sua mamma l’aveva avvolta in sei coperte, cinque attorno al corpo e una per la testa e il collo, ed erano rimaste fuori al freddo fino a quando Feo non aveva cominciato a contorcersi, annaspando in cerca d’aria. A quel punto Marina l’aveva sollevata tra le braccia e l’aveva riportata in casa.
«L’hai sentito il freddo?» aveva detto Marina.
«Certo, mamma.» Ignorare il freddo cieco era come ignorare un orso a cavallo di un leone. «Perché lo hai fatto? Fa male.»
«Perché voglio che tu sia coraggiosa, tesoro mio, ma non stupida. Quando lo senti arrivare, corri in cerca di un rifugio. Hai capito? Corri anche se le gambe sono così fredde che non riesci a capire se sono ancora attaccate al corpo. Sarebbe stupido non avere paura del freddo cieco.»
«Ma la paura è da codardi» aveva detto Feo.
«No, Feo! La codardia è da codardi. La paura appartiene a persone che hanno cervello, occhi e terminazioni nervose funzionanti.»
«Mi hai sempre detto che devo essere coraggiosa!»
«Sì. Non devi fare tutto quello che ti suggerisce la paura; devi prestarle solo un orecchio, lapushka. Non disprezzare la paura. Il mondo è più complicato di così.»
Ma il clima, fino a quel momento, era stato sempre dalla sua parte. Quello che stava arrivando era qualcosa di nuovo. Ilya lanciò un grido quando Grigia fu scaraventata contro Nero da una folata improvvisa.
«Non così!» disse.
Per fortuna, pensò Feo, i soldati erano alle prese con lo stesso tempaccio. «Forse li ucciderà» disse ad alta voce. «Sono vecchi. Più vecchi di noi, comunque.» Il pensiero era confortante. La mamma diceva sempre: “Non sarai mai più forte di così. I bambini sono le creature più forti del pianeta. Sopportano”.
Il vento soffiò di nuovo, più forte, e un ramo carico di neve crollò su di loro, facendo scartare i lupi. Feo strinse con più forza le ginocchia contro i fianchi di Nero.
Ilya gridò: «Dobbiamo fermarci!».
«Non c’è un posto dove possiamo fermarci!» Il vento le turbinò attorno alla lingua strappandole la saliva, che si gelò prima di toccare terra.
«Non possiamo costruire un rifugio?» gridò lui.
A Feo pizzicava tutto il volto. «Dove?» Stavano camminando su quello che in estate sarebbe stato un grande lago, ma che in quel momento era ricoperto da uno strato di ghiaccio spesso tre metri e da dieci centimetri di neve. Non c’era nulla dietro cui rifugiarsi, nemmeno un alce di passaggio.
«Sei tu quella brava in queste cose!»
Era difficile fare una smorfia nella tempesta: il vento cercava sempre di cambiare forma alle sopracciglia. Eppure, nonostante tutto, Feo ci riuscì. «Bene! Costruiremo un riparo! Ammassiamo della neve: ci scalderà!» Feo sapeva bene che “scaldarsi” era un concetto a metà strada tra l’ottimismo più estremo e l’allucinazione, ma Ilya sembrava in preda al panico. Scese da Nero, accecata dai suoi stessi capelli che si agitavano nel vento.
«Come?» Ilya disse anche qualcos’altro, ma era impossibile sentirsi con quel vento. Feo gli fece segno di imitarla, e cominciò a formare una grossa palla di neve. Insieme spinsero la palla attraverso il lago, con la schiena e le ginocchia, sfruttando l’aiuto del vento. A forza di lavorare, Feo si sentì quasi il sangue sgelarsi nelle vene, e presto si ritrovarono tutti e due sudati, a correre avanti e indietro con le braccia cariche di neve farinosa, finché la palla non somigliò a una collina.
I lupi li guardavano con aria indifferente. Grigia stava un po’ in disparte e di tanto in tanto, con aria da intenditrice, annusava il vento che soffiava imbizzarrito.
Quando la palla di neve fu larga quanto una legnaia e alta come un piccolo gigante, i due ragazzi si accucciarono dietro la parete. Feo spinse la schiena e il sedere contro il cumulo di neve e Ilya la imitò, scavandosi una specie di trono. Il ruggito del vento si attenuò. Furono travolti dal sollievo, e per un minuto rimasero seduti, ansimanti, a ridere dei propri volti ghiacciati. Scoprirono che scavandosi un incavo per le teste nel muro di neve, il vento si affievoliva abbastanza da riuscire a parlare. Feo tirò fuori il cucciolo dalla camicia e gli appoggiò i palmi delle mani sulle orecchie, con grande delicatezza.
«Non voglio che diventi sordo» disse, «ma deve prendere un po’ d’aria.»
«Direi che l’aria, qua fuori, non manca» disse Ilya.
Feo prese una mela dalla borsa e strofinò la buccia per liberarla dal ghiaccio. «Ecco qui» disse. «Dai tu il primo morso.»
Si scambiarono la mela finché non rimase che il torsolo. Ilya se lo mangiò in tre bocconi come un lupo. Feo era colpita.
«Nell’esercito impari a mangiare in fretta» disse lui.
I lupi appiattirono le orecchie contro la testa e infilarono il muso sotto le zampe. I fianchi di Bianca si alzavano e abbassavano con regolarità. Feo le accarezzò un orecchio, ma la lupa fece schioccare i denti e Feo si ritrasse.
Ilya sussultò, appiattendosi ancora di più contro la barricata di neve. «Ti ha morso?» Aveva gli occhi enormi.
«No! Ha solo avuto una reazione un po’ brusca.» Feo cercò di sorridere, ma era insolito che Bianca fosse così irascibile. «È una lupa, lo sai, non una gattina.»
«Certo. Lo so.»
«È stanca, tutto qui.» Feo si tirò su il cappuccio. «Dobbiamo raggiungere un bosco, per farla dormire.»
«Ma la città in che direzione è?» L’ago della bussola vorticava inutile nel vento.
«Penso… da quella parte.» Feo stava tirando più o meno a indovinare. «In quella direzione dovrebbero esserci degli alberi, credo. Così accendiamo un fuoco.» La neve le mordeva gli occhi.
«Ma non… voglio dire, non prenderla come una critica, ma se sbagliamo la direzione, non rischiamo di morire di freddo?»
«Non lo so! Non esco mai quando ci sono tempeste come questa, Ilya. Sono una soffialupi, non una matta: stai facendo confusione.»
Mentre parlava, il vento sembrò acquietarsi, e udirono un suono nuovo. Ilya si lasciò sfuggire un singulto per lo spavento, poi si tappò la bocca con la mano. Feo nascose il cucciolo tra i capelli. Si fissarono.
«Era… una risata?» disse Ilya.
«Forse era il vento.» Ma non lo era. Lo udirono di nuovo: un suono gutturale. Feo pensò a Rakov e alla sua risata. Quella era la sagoma di un soldato nella neve, oppure un albero?
«Laggiù! Guarda, i lupi hanno annusato qualcosa!» Infilò il cucciolo nella camicia e si sporse con cautela da dietro il blocco di neve. Il vento la colpì come un pugno in pieno volto.
Mentre scattava in piedi, i tre lupi arrivarono di corsa e si radunarono davanti a lei, fronteggiando il vento. Ilya si accucciò alle sue spalle. Grigia snudò i denti: la neve le soffiava sul muso ricoprendole i canini, ma lei rimase ferma, con i peli ritti sul collo.
C’era una sagoma che lottava nel vento, cercando di avvicinarsi a loro, urlando qualcosa che non potevano sentire.
Feo teneva il coltello davanti a sé. Eccoci, pensò. Sta arrivando.
La sagoma aveva qualcosa di nero e floscio che gli penzolava da una mano. Feo strizzò gli occhi nel vento; sembrava che nell’altra mano ci fosse un’accetta. I soldati, per quanto ne sapeva, non brandivano accette. E il cappotto logoro sembrava di pelliccia di scoiattolo. Un tessuto che non era molto in voga nell’esercito.
Il sollievo le fece venir voglia di saltellare, invece si limitò a gridare: «Chi sei?». Una folata d’aria portò via le sue parole; lei ci provò di nuovo, ruggendo: «Chi?».
Anche la risposta fu strappata dal vento. Ma il volto che si profilava all’orizzonte faceva ben sperare, pensò Feo: era giovane e non sembrava in preda al panico. Attraversò il campo per raggiungerli con un mezzo sorriso sulle labbra. Nonostante i baffi di ghiaccio, Feo cercò di ricambiarlo con un quarto di sorriso.
«Che cosa vuoi?» gridò.
«Hai bisogno di aiuto?» rispose lui. Da vicino si capiva che era un ragazzo: un ragazzo alto come un uomo ma che, per quel poco che s’intravvedeva nella tormenta di neve, non doveva essere molto più grande di Ilya. C’era qualcosa in lui che lasciava a bocca aperta: gli zigomi spigolosi, ma soprattutto i piedi; quando li sollevò dalla neve, Feo si accorse che indossava solo le calze, senza scarpe.
«Persi?» gridò lui. Doveva aver visto lo sguardo negli occhi di Grigia, perché non si avvicinò oltre, restando a un metro e mezzo di distanza.
«No» gridò Feo. «Freddo!»
«Non mi sorprende!» gridò di rimando, mentre un’altra folata di neve li investiva. Il ragazzo le fece un cenno con la mano che stringeva la cosa nera. Feo capì che si trattava di una taccola. «Aiuto?»
«Un aiuto sarebbe davvero gradito» disse Ilya con fervore.
Feo si limitò ad annuire, per quanto glielo permetteva la sua spina dorsale gelata. La tormenta, che sottrae bellezza alla maggior parte delle persone, non sembrava avere alcun effetto sul ragazzo. Aveva capelli scuri, scolpiti selvaggiamente dal vento.
«Prest...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- UNA NOTA SUI SOFFIALUPI
- UNO
- DUE
- TRE
- QUATTRO
- CINQUE
- SEI
- SETTE
- OTTO
- NOVE
- DICEI
- UNDICI
- DODICI
- TREDICI
- QUATTORDICI
- QUINDICI
- RINGRAZIAMENTI