1978
2 gennaio
Ahi, passa il segnale, cambia il colore dell’acqua.
La laguna è finita, è un altro navigare.
Dove diavolo era andata a cacciarsi la Ceci? Svanita, emigrata, ritirata in convento? In giro per i monti in stato confusionale? Era il momento che tutti tornavano, dalla prigionia, dai nascondigli, dalle campagne, dalla Svizzera, da reparti della guerriglia, reali e anche immaginari: con una prevalenza di personaggi che si potevano chiamare clandestini solo nel senso che nessuno li aveva mai visti né in montagna né in collina né in pianura, e ora sfilavano coi bracciali patriottici e vescovili, schioppi e schioppetti a tracolla a spall’arm a bilanciarm. Tutti tornavano, alcuni con lunghe code di paglia…
E la Ceci? Nessuno ne sapeva niente. La sua splendida coda occhiuta si era allontanata strisciando ed era scomparsa oltre la linea dei colli. I suoi a Bassano ti guardavano come inebetiti. Sul piano della credenza in tinello c’era una foto di lei a Padova, davanti al Bo’, col berretto goliardico nero di ingegneria, e la sua caratteristica aria di sfida. Dice la madre: «Ha mandato a dire che stava bene, al principio dell’anno, poi più nulla. Francesco che era con lei sul Pasubio l’anno scorso, poi con lei a Verona, purtroppo è morto…».
A casa di Francesco, altra gente inebetita, altre foto sulla credenza. «Era tornato una sera, con le armi e tutto, in marzo… Ceci? Non so se era lei… Ha detto che c’era con lui, sui monti, una ragazza bella e brava, ha fatto solo un accenno, niente nome, con un’aria trasognata. Quando è finita la guerra aspettavamo che si facesse viva…»
«Aspettavamo anche noi. È sparita. Internata in Russia, forse. Eravamo tutti innamorati di lei.»
Ma sì, spostandosi da una lingua all’altra bisogna essere pratici. “Shuffling” non si può dire altrettanto bene in italiano. Significa press’a poco strascicare i piedi, stropicciarli sul pavimento, camminare scalpicciando, ma c’è anche un senso di alternare i passi, specie se sono passettini.
Quando lo sentii dire da Perkin la prima volta, per descrivermi il modo di camminare di un tale alla biblioteca del Museo Britannico, gli chiesi: «Scusa, che modo sarebbe di preciso?» ma lui mi rispose: «Come “che modo”? Shuffling, no?». Gli pareva la miglior spiegazione.
5 gennaio
La nozione di “perizia” (nel senso di abilità nel fare qualcosa, specie quando è usata da chi non è strettamente del mestiere) indispone. Come un tempo la nozione di “giovane preparato”. Si sente che si fondano su valutazioni inattendibili. Affascina invece, baluginando, l’idea di un’imperizia profonda, metafisica.
Intorno ai giudizi del tipo: “La mia baréta [molto lacera] è la più bella baréta della provincia”. (Iperbole scherzosa.)
Distinguere da: “Sui duecento tua cugina [cioè la Este] se le mangia tutte, in Italia”. (Iperbole fondata.)
6 gennaio
Necrologio di Donald sul “Times”. Senso della dimensione oggettiva delle nostre vite. Margaret, già sua segretaria e dama di compagnia, commenta: «Sempre fortunato. Muore al momento giusto, in cui c’è spazio per lui tra gli obituaries del “Times”».
8 gennaio
Lapilli. Quanto “fa” la Giulietta; i rubinetti giò-ponti; i loden originali e d’imitazione; i metri-cuadri degli appartamenti; le cubature, compresi e non compresi i muri; cuanto al metro cuadro a Vicenza, cuanto a Cortina, cuanto al metro-cubo nella valle di Josaphat.
“Di che cosa vorrebbe parlare”? Del dopoguerra. “Perché del dopoguerra”? Perché si è abituato all’idea che ci sia qualcosa che sa e che vale la pena di dire.
Si è abituato all’idea. Ma è così? Storia degli ex del PdA: dreary. Quadro della “ripresa” italiana: soltanto colore. Vicende individuali delle dieci persone che conosce meglio: banali. E allora?
I giorni e i mesi della tarda primavera, i mesi dell’estate. Venuto l’autunno, Stefano, il più vivace dei miei amici, si sentì improvvisamente preso in trappola. Questo dunque era stato il frutto di tutto quello studiare e quel girare? Persi gli anni senza imparare niente di stabile, persa l’occasione di scrivere un breve saggio etico-politico sui riti di passaggio della sua generazione, o almeno di tradurre da qualche lingua un buon libro di poesia, emblematico…
Herr, es ist Zeit. Der Sommer war sehr gross…
Dice invece Renzo: «Il meglio di quella stagione è che non ti facevi problemi. Non pensavi, nel senso di stare a riflettere, pensarci su; ti passavano pensieri scorporati dietro le palpebre…».
Un certo disagio circa la realtà della realtà tuttavia c’era. Nulla ti pareva interamente reale. Pareva che quella categoria mentale avesse perso corpo. Il meccanismo non ingranava. Lo sentivi pattinare.
9 gennaio
Titolo (e argomento): La cosa.
Intesa come “il compito”, “la cosa da fare”, il tema dominante di una vita: ma non specificata.
«Vincenzo, ora, è un pezzo grosso nel CNR» mi dice Anna con un misto di sorpresa e di piacere. Un pezzo grosso. Vincenzo… Sarà vero? Il mio amico non era nato per fare il pezzo grosso… Mi sento let down.
10 gennaio
Dopo la guerra mi accorsi di avere anch’io una storia, ma non era quella lineare, univoca, che mi sarei aspettato. Guardando nel piccolo gorgo degli anni recenti vedevo storia dappertutto, un casino di storia, nei pensieri, nei vestiti, nel taglio dei capelli, nella lingua… Non solo c’era questa materia storica, ma pareva che non ci fosse altro.
Ognuno, e naturalmente io con gli altri, credeva di avere la giusta dose di “natura”, e insieme una qualità diversa, la sua propria seità. “Ma cosa vuoi seitare?” avrebbe detto il piantone Giazza, mio maestro di scetticismo e di realtà.
15 gennaio
Era tutto aperto, il mio Lorenzo, amico praticamente fraterno, era indifeso, diceva tutto a tutti nello stile di un bambino… E invece aveva i suoi segreti! Lo sentivo camminare nella sua stanza, sopra la mia testa, per ore e ore, inspiegabilmente. La casa ancora nuda e semivuota moltiplicava certi rumori, e questo in particolare. In principio non capivo, mi allarmai. Provavo a immaginare che facesse il passo picchiando apposta il calcagno, forse era uno dei suoi piccoli disturbi psicosomatici. Cercavo di fargli qualche domanda obliqua: «Ieri notte non hai dormito, vero?» ma lui non raccoglieva.
«Già, studiavo… Ho studiato fino a tardi.»
«Ah, ecco. Ma, dimmi: tu quando studi, stai lì seduto, o studi in piedi, come D’Annunzio?» Macché, niente. «Seduto… Forse tutto sommato si studia principalmente col sedere. È come la genesi delle poesie di Delio: delicate, finemente elaborate sulla sedia…» Delio scriveva davvero così le sue poesie. Quando voleva farne una si metteva a sedere e la componeva. «Qualche volta mi alzo, sai, mi si informicola una gamba… E tu?»
No, non era la gamba! Lorenzo aveva un segreto, anzi quasi certamente vari segreti: si sentiva che facevano una catena. Quei passi, quei tonfi un po’ inquietanti, venivano da un’altra sfera, un suo mondo in cui entrava di nascosto a me.
A quel tempo non dubitavo che ci siano regole di saggezza empirica, furberie, prudenza… ma pensavo che fare il calcolo non fosse da “gentiluomo”: no, aspetta, che non fosse cosa adatta a un umanista italiano. La creatura che vista di sbieco, mi dava a volte sui nervi, l’umanista italiano, era anche quella che in fondo mi attirava di più.
17 gennaio
«Capisco ora» dice Ortensio, «che abbiamo detestato i democristiani troppo pigramente. Dobbiamo darci da fare. O organizziamo le nostre forze, o ci rimettiamo le penne.»
Garboli on Fortini (“Corriere”), very good.
18 gennaio
«Come sottilmente si atteggiano le cose del mondo quando le conosci davvero e sai come esprimerle. Guarda il pugilato. Boxare di rimessa! Il pugno d’incontro!…»
Sì, e il meraviglioso to box above one’s weight, che usato metaforicamente, in contesti di politica internazionale soprattutto, dice qualcosa di preciso con inimitabile eleganza e concisione.
21 gennaio
Vendere una montagna, le sue viscere, a grandi fabbriche milanesi. Vendere la bella terra rossastra, le rosse porche. I contadini proprietari non volevano più zapparla, erpicarla. Oro era, la terra rossa! [Cfr. Bau-sète!, 1988]
«Guarda, Adelaide, il sugo del tuo lavoro è questo: intervisti la gente e registri ciò che ti dicono: banalità perlopiù. Di tuo non ci metti niente, quanto a sostanza. Ciò che fai è agghindare il materiale che raccogli. Fai la domanda di comodo e agghindi le risposte. Altro non puoi fare, si vede che non hai il temperamento. E non puoi cambiare temperamento, ti pare? Se quello che hai non ti soddisfa, forse potresti pensare all’antico rimedio, il convento… Metaforicamente, si capisce.»
Adelaide si è arrabbiata: «Brutto presuntuoso, villano, ipocrita! Ma cosa vuoi? Ma credi tu che le tue balle… Ma vai fuori dai piedi… Va’ tu in convento, scalzati! Vai!».
Ecco cosa si prende a voler far del bene alla gente.
28 gennaio
Ci raccontiamo a gara le cose di Donald. Margaret ha una sua cartolina spedita dalla Grecia. Si vede l’interno di una chiesa ortodossa, il testo dice: “Can’t enter the church – They will worship!” (Cioè: Non posso entrare: al culto non rinunciano! “They” sta per “la gente, qui e in tutto il mondo”.)
Emily Dickinson, immersione totale. Resti preso in contropiede. La prima impressione è di non capire niente, ma non perché sia difficile… Invece quando si vede che è un po’ difficile si comincia a capire, come volando.
30 gennaio
Dopoguerra
A volte ci si alzava, tutti assonnati, a ore impossibili, altre volte si dormiva fino a mezzogiorno. Ci vestivamo la più parte tenendo su i calzoni con la cintura, ma alcuni di noi con le bretelle. Enrico diceva che non si è veramente vestiti se non si portano insieme cintura e bretelle, ne parlava come di una specie di divisa del giovin signore. Alcuni di noi portavano ancora abitualmente il cappello. Quello di Enrico era nero, a larga tesa.
Avevamo portato in testa tante cose: le scuffiette da fantolini in culla, i cappuccetti di lana al tempo dei passeggini, i fez col fiocco da balilla, le crociere sportive a maglia da atletini a tuttofare, i pseudocappelli alpini da avanguardisti (la fatale associazione dell’avanguardia con lo spurio: pseudomoschetti, pseudobaionette, pseudo “avan” e pseudo “guardia”) e ancora i cappelli goliardici a punta, del colore della tua facoltà, e i cappelli alpini veri e propri con penne e pacche, e in gita i passamontagne, e i caschi di cuoio per la moto… e parecchi altri ancora. Ma ora la maggior parte di noi andava a testa nuda.
Chi si vestiva con puntiglio (un puntiglio da gioventù di paese lievemente sottosviluppato), chi trascurava il vestire. Predominavano con le brache alla cavallerizza, stornate da uniformi civili o militari, le nuove brache tipo Ottava Armata, lunghe alla caviglia, più strette, meno pompose, più moderne delle antiche brache a sboffo. Frequenti le bluse aperte, mezze da montagna mezze da guerra; diffuso – col giusto tipo di pantaloni – lo stivale vagamente gerarchico, da calzare col calzastivali, o sportivo, da allacciare mediante un ricco impianto di occhielli e gancetti.
Si studiava e non si studiava. Si faceva e non si faceva “politica”. Si stava al caffè e si era sempre in giro. Non avevamo soldi, ma ne spendevamo. Si frequentava molta gente e si era piuttosto soli. Si viveva assai sobriamente (per esempio mangiando distrattamente senza badarci) e ci si trovava abbastanza ubriachi ogni altra sera. Fu una stagione strana. Si era fermi in Alta Italia e si andava alla deriva.
Altri aspetti e ingredienti
Uno. L’inquietante prospettiva di dover prendere il posto degli altri, quelli di prima. Curiosa situazione: gli altri parevano inamovibili. Non volevano perdere il posto.
Due. L’aspirazione a rifare gli impianti di base. Un new deal.
Tre. L’idea che tutto dovesse ovviamente fondarsi sulle capacità reali delle persone, sul pregio effettivo delle opere. Invece la gente pareva badare ad altro: non dava alcun peso alle capacità reali, e considerava questa la vera capacità!
Quattro. Era come far parte di una tribù, dove lo stregone racconta le sue fole e il capo tribù non ci capisce molto, ma se ne serve.
Cinque. Nell’ambito familiare esclamavano gli anziani: Si spacchi la baracca! Si facciano i lotti! Si seghino i muri! Ma noi canticchiando opponevamo argomenti moderni: Si crei un’azienda moderna! Si calcolino i costi! Se ne desuma il prezzo al chilometro! Non si ignori il deprezzamento del materiale rotabile!
1 febbraio
La Cosca da cui dipendevo fu sconvolta in quel periodo da violenti contrasti interni di cui non era facile seguire l’andamento. A un certo punto si capì però che il Tenente era prevalso sugli altri, e mi venne il sospetto che si disponesse a farli fuori. Avevo rapporti non più che corretti col Tenente, mentre invece Jean Paul aveva collaborato strettamente con lui per la campagna di sostegno agli attentati anticlericali (fu Jean Paul tra l’altro a scegliere lo slogan “Cloro al clero”), ed erano diventati amici.
Un giorno mi decisi e gli domandai: «Che cosa vuole veramente il Tenente?» e lu...