Ore 15:17 attacco al treno
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Ore 15:17 attacco al treno

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Nelle prime ore della sera del 21 agosto 2015, il mondo assiste stupefatto alla notizia di un attacco terroristico sul treno Thalys n. 9364 diretto a Parigi, sventato da tre giovani americani in viaggio attraverso l'Europa. Spencer Stone, sergente dell'Air Force, Alek Skarlatos, soldato della Guardia nazionale dell'Oregon reduce da una missione in Afghanistan, e Anthony Sadler: tre amici con la fissazione per la storia militare cresciuti insieme, che proprio in una vita di lealtà e di sostegno reciproco hanno trovato il coraggio di agire in quei momenti fatali. Le intenzioni di Ayoub El-Khazzani, marocchino di ventisei anni, erano chiare: aveva con sé un Kalashnikov AK-47, una pistola, un taglierino e una quantità sufficiente di munizioni per uccidere tutti i passeggeri a bordo. L'ISIS era pronto a colpire ancora una volta. "Non appena realizza ciò che succede sul treno, Anthony sente il suo corpo cambiare. Rilascio di sostanze chimiche, vasocostrizione, sospensione dei sistemi non essenziali. Gli zuccheri affluiscono dove necessario: la sua sensazione è quella di poter disporre di un'energia sovrumana. Il suo corpo si sta alleggerendo dei sensi che non sono coinvolti nel compito che deve affrontare. È una cosa difficile da spiegare: i loro corpi si trasformano." A quel punto i tre ragazzi "fanno solo il loro dovere", come ripetono quasi ossessivamente nelle interviste dei giorni successivi. La storia che raccontano in questo libro dimostra come gli eroi non siano che uomini normali, che fanno la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817102001
eBook ISBN
9788858692257

Parte prima

Aviere Spencer Stone

Giovedì 13 agosto, 11:49
Joyce Eskel:
Spence, come va la caviglia? Cos’è successo?
Martedì 18 agosto, 18:50
Joyce Eskel:
Ehi, posta qualche foto!!!

1

Joyce Eskel spense il computer avvertendo uno strano disagio.
Non le piaceva che suo figlio si trovasse a Parigi. Qualche mese prima aveva seguito le notizie dell’attacco alla redazione di «Charlie Hebdo». Aveva iniziato a informarsi sull’estremismo islamico dopo l’11 settembre e sapeva che la Francia aveva le frontiere aperte. Aveva visitato Parigi molti anni prima e, in una città così grande, la possibilità che i ragazzi corressero qualche rischio era molto bassa. Questo lo sapeva.
Tuttavia sentiva qualcosa.
In più con lui c’era Anthony: ogni volta che quei due erano insieme succedeva sempre qualcosa. Erano partiti da due settimane, e le sembrava un miracolo che fossero riusciti a tenersi lontani dai guai.
In realtà le cose non erano filate proprio lisce. Già la prima sera avevano alzato un po’ troppo il gomito, Spencer era inciampato e si era quasi rotto una caviglia. Gliel’aveva confessato lui stesso, dicendole che forse avrebbe dovuto interrompere la vacanza e fare ritorno alla base. Annullare il viaggio appena iniziato... Sarebbe riuscito a farsi fare una radiografia, laggiù? L’assicurazione avrebbe coperto i costi?
Era incredibile ciò che quei due riuscivano a combinare. Joyce non riusciva proprio a farsene una ragione: erano due ragazzi piuttosto tranquilli che non sembravano avere molto in comune, eppure, quando erano insieme... Ricordava che una volta, in terza media, avevano «decorato» l’esterno della casa di un vicino con una decina di rotoli di carta igienica, poi avevano suonato il campanello ed erano corsi a nascondersi. Anthony e Spencer tiravano fuori il peggio l’uno dall’altro. Era come se avessero una calamita per i guai.
Joyce si sedette, rimuginando sui pensieri che non riusciva a scacciare dalla mente. Forse una ventina di anni prima ce l’avrebbe fatta, ma ora sapeva di cosa si trattava. Una vocina. Con chi non sarebbe stato in grado di capirla, la chiamava «premonizione», ma in realtà era Dio a parlarle. Il Signore cercava di prepararla a ciò che stava per succedere, come aveva già fatto tantissime volte prima che lei imparasse ad ascoltarlo, avvisandola che i suoi bambini erano in pericolo. La cosa più importante, in quel momento, era decidere come reagire a quell’avvertimento. Fece quello che faceva sempre: si mise a pregare. Joyce Eskel chiuse gli occhi, chinò il capo e pregò che tutto andasse bene ai ragazzi in Francia.
A quel punto, Joyce aveva imparato ad affidarsi alla provvidenza. Aveva dovuto farlo presto, quando Spencer era ancora piccolo e lei era reduce da un divorzio doloroso e da una devastante battaglia per la custodia dei figli. Considerava la fine del suo matrimonio un fallimento e non riusciva a spiegarsi come la sua vita fosse andata in frantumi.
Era tornata a casa dei suoi e per un po’ si era rivelato un buon rifugio, ma non avrebbe potuto contare per sempre sulla sua famiglia. Così aveva raccolto le forze, si era cercata un lavoro e, con l’aiuto dei suoi genitori, aveva trovato una casa abbastanza grande per lei e i bambini. Nel quartiere c’erano una piscina e un tennis club, entrambi raggiungibili a piedi, e Joyce, entusiasta, li aveva indicati ai figli, il giorno in cui erano arrivati in auto nella nuova casa. Ma i piccoli sembrarono delusi. Ai loro occhi, l’edificio era vecchio e brutto. I pavimenti erano malridotti, la vernice alle pareti scolorita e le stanze puzzavano, ma era il massimo che Joyce potesse permettersi. Quella casa diceva chiaramente ai bambini che le loro vite felici, con due genitori amorevoli e un’abitazione grande e allegra, erano finite, e questo era ciò che ne restava. Una casa orrenda che li attirava in un mondo nuovo e sconosciuto.
Ma Joyce aveva un piano. Avrebbe trasformato quel posto in un luogo colorato e accogliente per i suoi figli. Il suo era un fardello pesante: tre bambini, un divorzio difficile, un nuovo lavoro che spesso la lasciava sfinita. Faceva l’impiegata statale, adesso, come perito assicurativo, e aveva a che fare ogni giorno con il peggio che il genere umano sia in grado di offrire: le cose brutte che le persone si fanno vicendevolmente, le disgrazie che subiscono. Come i più furbi cerchino di sfruttare il sistema per qualche dollaro in più; il modo in cui il sistema non si cura delle persone in difficoltà. Ogni giorno Joyce sprofondava nella disperazione e si sentiva sopraffare dalla cattiveria dell’animo umano. Si indurì. Iniziò a pensare che fino a quel momento, prima del divorzio e di quel nuovo lavoro, era stata un’ingenua perché aveva sempre creduto nella bontà delle persone e nella loro volontà di fare del bene.
Ora no. Ora di mestiere doveva scovare le bugie, proprio nel momento in cui i bambini iniziavano a raccontarne anche a lei.
Se Spencer piangeva perché non voleva rimettere in ordine la cameretta, lei non si faceva intenerire. E le sere in cui era a letto in camera sua e urlava a Spencer ed Everett: «Cos’è tutto questo baccano?», quando il primo rispondeva: «Ci stiamo solo divertendo un po’!» con una voce stranamente stridula, lei non s’intrometteva.
Di sicuro non sapeva che, il più delle volte, Everett era seduto sul petto del fratellino e, stringendogli i polsi, lo costringeva a prendersi a pugni da solo, minacciandolo che se avesse fatto la spia sarebbe stato anche peggio. «Di’ alla mamma che ci stiamo divertendo! Forza, diglielo!»
Già da allora, a soli quattro anni, Spencer iniziava a condividere lo scetticismo della madre. Non gli piaceva rispettare le regole, indipendentemente da chi cercasse di imporgliele. Joyce lo portava in chiesa con sé, di domenica, e si sedevano sulla prima panca. Ogni volta che il pastore, dal pulpito, chiedeva chi volesse ottenere la salvezza, Spencer alzava la mano e il pastore rispondeva sempre con un sorriso: «Ho capito, ragazzo...». «Non c’è bisogno che tu lo faccia ogni domenica!» provò a spiegargli Joyce. Ma per Spencer quella regola non aveva senso. Chi l’aveva stabilita? E perché? Forse era solo cocciutaggine infantile, ma la madre si convinse che il figlio fosse soltanto un bambino molto sensibile e che ci teneva a manifestare a Dio la sua buona condotta. Così decise di smettere di riprenderlo, conservando le energie per le discussioni più importanti.
Tirò la cinghia e trasformò quella brutta e vecchia casa in un accogliente nido per la sua famiglia, con il fuoco acceso quando faceva freddo e il cortile sempre in ordine. Il sabato era il giorno delle pulizie: voleva preparare i figli ad affrontare e a prendersi cura del mondo che li circondava, con l’intenzione di farne un posto migliore. Pur crescendoli da sola, faceva del suo meglio per tenerli al sicuro e ben nutriti e dava loro una mano con i compiti. Ma giorno dopo giorno si rendeva conto che un aiuto sarebbe stato necessario, così alzava lo sguardo al cielo e rivolgeva una preghiera a Dio. Lo faceva nei momenti più difficili o di maggior bisogno, ma non solo, come la volta in cui la coppia di vicini le comunicò l’intenzione di traslocare e Joyce cominciò a rivolgere al Signore le sue preferenze sui prossimi inquilini. Le sarebbe piaciuto che fosse una madre single come lei, con la quale condividere le difficoltà. Magari con figli della stessa età dei suoi, in modo che potessero frequentarsi senza aver bisogno di essere scarrozzati in auto.
E Dio rispose, mostrando la sua grazia nella forma di una giovane madre fresca di divorzio con due bambini al seguito e un terzo tra le braccia. Kelly, la sorella di Spencer, colse dei fiori dal giardino per offrirli ai nuovi venuti e poi tornò trotterellando a casa, contentissima. «Mamma, è proprio uguale a te!» disse. Joyce invitò la nuova vicina per un caffè e, nel preciso istante in cui la donna iniziò a parlare, sgranò gli occhi per la sorpresa. «Anche tu facevi l’assistente di volo?» Joyce, come Heidi, grazie a quel lavoro aveva viaggiato in tutto il mondo. La vicina prima aveva lavorato per una compagnia di pullman. Rise mentre lo diceva. «Credo di non aver mai abbandonato il settore dei trasporti.» E il suo ultimo viaggio l’aveva condotta proprio lì, accanto a Joyce. Mentre parlavano scoprirono una serie di incredibili coincidenze.
«Anche tu adoravi i tuoi genitori?»
«Temi di essere troppo protettiva nei confronti dei tuoi figli?»
«Anche tu, quando pensi al passato, ti vergogni di quanto eri ingenua?»
Sembrava che Joyce avesse incontrato una copia di se stessa. L’unica differenza era Tom: una roccia d’uomo che Heidi aveva iniziato a frequentare. Aveva un ottimo lavoro, un carattere forte e l’animo buono, e trattava i figli di lei come se fossero suoi, viziandoli con pizza e film di Chris Farley. Ma Heidi non si sentiva ancora pronta a impegnarsi: non voleva sposarsi subito perché non si fidava di se stessa dopo quello che aveva fatto passare ai suoi figli. Ma Tom c’era: una figura paterna per i bambini di Heidi, e presto anche per quelli di Joyce.
Le due donne diventarono come sorelle e le rispettive case due ali della stessa proprietà. Avrebbero anche potuto fare a meno di muri e porte, dato che i ragazzi si muovevano con grande libertà tra i due edifici. Joyce era sicura che quella nuova amicizia fosse un dono di Dio. O, per essere più precisi, al Signore andava la gran parte del merito ma poteva riservare un po’ di gratitudine a se stessa, poiché in fondo l’idea di pregarlo era stata sua.
Joyce e Heidi erano come due pilastri che si reggevano l’un l’altro, raddoppiando le loro forze. Ognuna rappresentava ciò di cui l’altra aveva bisogno e si erano conosciute in un momento molto delicato. Erano due donne sagge e animate da una volontà di ferro, tuttavia avevano un disperato bisogno di aiuto e di una persona con la quale confidarsi, perché ai ragazzi serviva un po’ di stabilità, dopo le tempeste emotive che avevano dovuto affrontare. Entrambe si sentivano in colpa ed erano convinte di dover mettere in secondo piano le proprie esigenze per concentrarsi sui loro figli, ai quali serviva un genitore sul quale fare affidamento e non una madre sull’orlo di una crisi di nervi. Soltanto quando erano sole le due donne erano disposte ad abbassare la guardia e ad ammettere le proprie debolezze.
Joyce e Heidi colmarono l’una il vuoto dell’altra e, come se non fosse abbastanza, le età dei loro figli si incastravano perfettamente. Everett era il più grande e Solon, il figlio minore di Heidi, il più giovane del nuovo gruppo, Peter aveva la stessa età di Kelly, mentre l’altro figlio di Heidi era nato a qualche mese di distanza da Spencer. Un bambino tranquillo, talvolta un po’ teatrale. Heidi avrebbe voluto chiamarlo Alex, da Alexander, un bel nome di origine greca come Peter, ma dopo che un logopedista, seduto accanto a lei durante una lezione sul metodo Lamaze, le aveva spiegato che era piuttosto complicato pronunciare una «s» – l’iniziale del cognome del bambino – dopo la «x», Heidi aveva deciso di cambiarlo in Aleksander.
Spencer e Alek diventarono inseparabili come le loro madri. Alek di solito era tranquillo e riservato, ma aveva un senso dell’umorismo e una determinazione che si manifestavano nei modi più inaspettati. A un certo punto ebbe una folgorazione per Batman e per mesi indossò il costume anche quando accompagnava la madre nelle sue commissioni, guadagnandosi la simpatia dei cassieri e dei magazzinieri del supermercato.
A sei anni, nella recita natalizia organizzata dalla parrocchia, interpretò la parte di un soldatino di piombo, con tanto di baffi alla francese realizzati con una matita per il trucco. Dopo lo spettacolo uno spettatore lo raggiunse per fargli i complimenti, Alek lo scrutò, aggrottò la fronte e infine chiese: «Quindi lei vorrebbe un autografo?».
Alek non lasciava trasparire i suoi sentimenti, ma era un ragazzino molto sensibile e soffriva più di quanto non desse a vedere. Un barbecue organizzato da Joyce e Heidi fu interrotto dall’arrivo della polizia, intervenuta per rispondere a una richiesta di soccorso. Joyce guardò l’amica, che inarcò un sopracciglio: non aveva idea di cosa stesse succedendo. Le due mamme impiegarono mezz’ora per scoprire che Alek, sentendosi ignorato durante la festicciola, aveva deciso di chiamare il 911 e segnalare un’emergenza. Poi aveva detto all’amico quale scusa avrebbe usato per discolparsi e Spencer gli aveva retto il gioco. Alek era colpevole solo di pigrizia, non di sabotaggio: non volendo percorrere la ventina di metri che separava le due abitazioni, aveva usato il telefono di Joyce per chiamare casa sua, ma mentre digitava il prefisso locale (916) il dito gli era scivolato e aveva composto per sbaglio il 911. Si era trattato di un errore!
Alek aveva imparato a conoscere molto bene Spencer, e lo capiva al volo. L’argomento di conversazione preferito di Spencer era la festa per il suo decimo compleanno. Alek assorbiva tutte le informazioni e quando arrivò il momento di organizzare i preparativi e occuparsi del dolce, chiese alla madre di poter dare una mano. La trascinò in un negozio di giocattoli dove le fece acquistare dei soldatini di plastica e una bandierina degli Stati Uniti, che sistemò sulla torta riproducendo la fotografia scattata ai marines dopo la conquista di Iwo Jima.
Il giorno del suo compleanno, quando Spencer entrò in cucina e vide la torta, si voltò verso Alek e sorrise, felice di aver ricevuto quello che, secondo lui, era il gesto più perfetto che qualcuno avesse compiuto nei confronti di un amico in tutta la storia del mondo.
Alek è seduto vicino a lui e guarda fuori dal finestrino. Spencer, sprofondato nel sedile, sta per addormentarsi ma scatta una foto al computer, posato sul tavolino estraibile accanto alla bottiglia di vino da mezzo litro, e la posta con la didascalia: «Prima classe, amici!».
Poi le sue palpebre si fanno pesanti e inizia a sonnecchiare cullato dal dondolio del treno.
Il movimento dolce e rassicurante, la musica R&B nelle cuffie... Non sa dire da quanto si fosse assopito quando un suono metallico si sovrappone alla musica. Un uomo in uniforme attraversa a tutta velocità il suo campo visivo, Spencer realizza che si sta svegliando e gli sembra di essere in un film. Si toglie le cuffie. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo. Cavaliere della Legion d’onore Anthony Sadler
  4. Parte prima. Aviere Spencer Stone
  5. Parte seconda. Soldato specialista Alek Skarlatos
  6. Parte terza. Cavaliere della Legion d’onore Anthony Sadler
  7. Note
  8. Ringraziamenti
  9. Indice