La donna dei mirtilli rossi
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La donna dei mirtilli rossi

  1. 364 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La donna dei mirtilli rossi

Informazioni su questo libro

Mossmarken è un piccolo paese affacciato sulle paludi del Nord della Svezia. Negli acquitrini che coprono l'intero paesaggio, durante l'Età del Ferro, venivano compiuti sacrifici agli dei. Anche sacrifici umani. Le condizioni ambientali di queste zone umide ritardano il processo di decomposizione, e dalle acque melmose riemergono antichi corpi mummificati. Come quello della donna dei mirtilli rossi, il primo miracoloso ritrovamento che aveva portato alla scoperta delle proprietà chimiche di quell'area. Nathalie è una biologa. È venuta fino a Mossmarken per studiare le torbiere. Ma lei quelle zone le conosce bene: le ha abbandonate da bambina, in seguito a strani, tragici incidenti. Poco dopo il suo arrivo, trova un uomo privo di sensi a pochi passi dall'acquitrino. E una fossa scavata per accoglierlo poco distante. La palude ha fame di nuovi sacrifici, come sostiene la gente del posto? Oppure il male che si annida in quel piccolo borgo ha una natura terribilmente umana? A porsi le stesse domande è Maya Linde, artista e fotografa della polizia. Sarà lei a guidare le indagini e a sfiorare la verità. La donna dei mirtilli rossi è un thriller nordico che mantiene le promesse e riluce delle atmosfere di un luogo di grande fascino, dove due figure femminili diventano protagoniste di una terribile scoperta.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817103176
eBook ISBN
9788858693827

1

Tre settimane prima

Toc, toc, toc.
Nathalie si svegliò di colpo. Si premette le dita sulle tempie per fare in modo che quel martellare sordo e continuo nella testa cessasse.
Toc, toc, toc.
Toc, toc, toc.
Un’occhiata alla sveglia confermò che mancavano ancora due ore al momento in cui si sarebbe dovuta alzare. In altre parole, era più o meno come al solito. L’idea di provare a riprendere sonno era inutile.
Anzi, non era neppure un’idea.
Si tirò a sedere sull’angolo del letto chiedendosi se le fosse rimasto ancora qualcosa da sbrigare. No. L’appartamento era pulito e in ordine, e la maggior parte delle sue cose erano state messe via. Le borse che non erano già in macchina erano in attesa nell’ingresso. Tutto era pronto.
Si fece la doccia e consumò la colazione in piedi, attenta a non sporcare. Scrisse un biglietto per la persona che avrebbe occupato l’appartamento nel periodo della sua assenza, e lo piazzò in bella vista sul tavolo della cucina.
Ho lasciato qualcosa in frigo, forse ti potrà servire. Il numero di conto per il bonifico dell’affitto te l’ho inviato ieri via email.
Spero che ti troverai bene.
Saluti,
Nathalie
In strada non c’era nessuno, la tipica quiete domenicale. Dopo aver infilato l’ultimo borsone nel bagagliaio, si mise al volante e partì.
Imboccata la E45 in direzione nord, lasciò Göteborg prima che la città avesse il tempo di svegliarsi. Aveva la sensazione di fuggire da un legame instaurato per caso.
Dopo un po’ si fermò a una stazione di servizio per fare benzina, prendere una tazza di caffè e già che c’era un po’ di provviste per far fronte ai primi giorni. Poi proseguì. In poco tempo il paesaggio mutò, si fece più cupo, più profondo.
E pensare che bastavano soltanto un paio d’ore di viaggio per tornare indietro nel tempo. Indietro di tanti anni, a quella terra di laghi e di foreste, a quei campi a cui lei, in fondo, apparteneva.
Si era sempre sentita un’estranea in quella grande città di mare che era Göteborg. Quel mare allegro, irrequieto, inaffidabile. Non era mai entrata davvero in contatto con tutta quella gente che voleva costantemente uscire in barca a vela, a cui piacevano gli scogli brulli e gli orizzonti aperti, che aveva il culto del sole e che desiderava che quel caldo insopportabile durasse quanto più possibile. Era come se si aspettassero lo stesso da lei, una sorta di scatto interiore cui mai aveva avuto accesso, ma che, fino a un certo punto, aveva imparato a inscenare.
Tutte le estati, quando appoggiava i piedi sugli scogli di granito caldo della provincia del Bohuslän ed entrava in acqua per una nuotata, era come se di riflesso il mare la volesse risputare fuori. Come se sapesse che lei non apparteneva a quella sfera naturale.
Adesso la pioggia di settembre batteva sul parabrezza. Quasi incerta, silenziosa. Come se l’autunno stesse avanzando in punta di piedi, come se non volesse disturbare né turbare.
Vieni, pensò lei. Vieni pure.
Cadi pure.
Lo faremo insieme.
Superata l’uscita per Åmål, girò in direzione di Fengerskog. La sensazione di irrealtà la colpì in modo tanto veloce e improvviso che per un attimo meditò sull’azione che stava per compiere. Su ciò che avrebbe innescato. Allo stesso tempo si rese conto di essere quasi arrivata a destinazione, e che ormai era troppo tardi per fare marcia indietro.
Rallentò davanti alla scuola d’arte e alla vecchia struttura in disuso che, da quanto sapeva, adesso ospitava atelier, gallerie e laboratori. All’incrocio, dove prima c’era soltanto un piccolo negozio di alimentari, ora c’erano un forno e una caffetteria, dove vide persone giovani armate di borse di tela stampate che sorseggiavano il cappuccino o il tè del mattino da grandi bicchieri di vetro. Poi l’abitato lasciava il posto ai boschi e dopo un po’ la strada sfociava in un viale costeggiato da betulle che conduceva alla tenuta.
Sul grande spiazzo antistante erano parcheggiate alcune automobili. Nathalie scese e, lasciato il bagaglio in macchina, si incamminò verso l’ingresso del maestoso edificio.
Una villa imponente, con quattro torrette, la facciata dipinta di bianco, la copertura del tetto verde come le foglie di tiglio e ampie finestre che davano sulla tenuta. Si ergeva su una leggera altura, come spesso avviene per gli edifici di quel tipo, che di solito offrono anche una bella vista sul paesaggio circostante, che sia un placido lago o una serie di morbide colline che si rincorrono.
Questa residenza, invece, era diversa. Lo scenario intorno era sornione e senza pretese. Un paesaggio fatto di distese nebbiose, di pini silvestri che sembravano acquattati e di distese acquitrinose dove si sprofondava. La luce del sole non sembrava penetrare mai fino in fondo, la terra non era mai asciutta, ma sempre umida, quasi liquida.
E adesso era tornata. Di sua spontanea volontà.
«Sei tu che prenderai in affitto la casetta?»
La donna si presentò come Agneta, era la responsabile della tenuta. Indossava una tunica beige che ricordava un caftano impreziosita da numerosi ricami, che faceva somigliare il suo corpo lungo e possente a una colonna. Portava la frangia, e i capelli biondo scuro le cadevano lisci e dritti sulle spalle.
«Sì, esatto.»
Suo marito, che era in piedi dietro di lei, era parecchio più basso. Indossava un completo scuro e il suo sguardo sfuggente vagava instancabile per la stanza.
Gustav, pensò Nathalie. Una specie di guardia del corpo. Proprio come me li ricordavo.
«Non mi resta che darti il benvenuto alla tenuta di Mossmarken. Spero che tu sia consapevole del fatto che hai affittato una sistemazione semplice e spartana. Viene usata soprattutto durante i mesi estivi.»
«Sì, nessun problema. Il riscaldamento c’è, giusto?»
«Ci sono due stufe e un frigo che va a gas. Ma è tutto. L’acqua devi andare a prenderla in cantina, mentre il cellulare, il computer e cose simili potrai ricaricarli nel nostro ufficio. Doccia e toilette sono nel corridoio al piano superiore. Per finire, dietro la casetta c’è anche un gabinetto esterno. Cos’altro…» disse, riflettendo su cosa aggiungere. «Ah, sì, la bicicletta. Ce n’è una vecchia che puoi prendere in prestito, se vuoi. A proposito di dove sei?»
«Abito a Göteborg.»
Appesi alle pareti dell’ingresso notò una serie di antichi ritratti – donne eleganti dai vestiti ampi e sontuosi, uomini fieri nelle loro uniformi militari. Da bambina quei dipinti l’avevano sempre attratta, uno in particolare. Ritraeva Sofia Hansdotter, moglie di un proprietario terriero che aveva vissuto nella tenuta alla fine dell’Ottocento. Ricordava perfettamente l’abito verde pisello e lo sguardo malinconico.
Si diceva che sette dei suoi otto figli fossero morti da piccoli. Che fosse impazzita. Che li avesse soffocati di nascosto prima di chiedere al marito di seppellirli nella palude davanti alla tenuta. Voleva averli vicino a sé, aveva detto. Suo marito aveva acconsentito per evitare sofferenze e traumi ulteriori a quel cuore già così provato. Fino a quando, un giorno, quando era appena venuto al mondo l’ottavo neonato, in un attimo di folgorazione improvvisa, l’uomo si era reso conto del motivo per cui tutti gli altri figli erano morti in tenera età. Aveva quindi deciso di portare via il nascituro e nasconderlo alla madre. Si diceva che allora Sofia si fosse recata fino al luogo in cui aveva sepolto i propri figli, che si fosse spinta nella palude e poi fosse scomparsa.
Nessuno aveva tentato di salvarla.
L’ottavo figlio era cresciuto, diventando un uomo forte e robusto. D adulto era subentrato alla conduzione della tenuta. Era il padre del nonno di Gustav, l’attuale proprietario.
«Io e Gustav gestiamo questo posto da oltre trentacinque anni. Prima se ne occupavano i suoi genitori» continuò Agneta con un’autorevolezza che stava a indicare che non era la prima volta che raccontava la storia della proprietà. «Appartiene alla famiglia di Gustav dal 1600. Questi sono i ritratti dei suoi antenati.» Con la mano fece un gesto indicando le pareti.
In quello stesso istante una donna scese le scale che portavano al piano superiore.
«Questa è la nostra cuoca e governante, Jelena, prepara il miglior coregone affumicato su questo versante del lago Vänern – se ti venisse voglia di mangiare qualche volta qui da noi nel nostro ristorante.»
Jelena era pallida ed esile, così lontana dal cliché della governante prosperosa.
«Ed ecco qui Alex, il nostro custode e tuttofare» riprese Agneta quando un uomo alto e muscoloso fece il suo ingresso, «è a lui che ti devi rivolgere se c’è qualcosa da sistemare.»
Alex si fermò, lo sguardo fisso su un punto all’altezza del lampadario, e fece un cenno secco col capo. Poi proseguì diretto verso l’interno dell’edificio.
«Se hai domande, io e Gustav siamo a tua disposizione tra le nove e le quattro. Di solito, se non siamo in cima a una scala a verniciare la porta di un fienile o a riparare un trattore o un attrezzo rotto, ci trovi in ufficio, che è nella stanza qui accanto. Il resto del tempo siamo reperibili nell’ala orientale, dove abbiamo il nostro alloggio. Contattaci pure anche fuori dall’orario di ufficio, non c’è nessun problema.» Fece una pausa, quindi proseguì. «Queste erano le cose più importanti. Adesso per noi è bassa stagione, non succede granché. Sei qui per qualche motivo particolare, se posso chiedere?»
«Sì, sto scrivendo la mia tesi di dottorato. Tratta del riscaldamento globale e di come questo influenza il processo di decomposizione delle sostanze organiche presenti nelle zone umide. Sono una biologa.»
«Capisco» sorrise Agneta indicando con la mano la finestra. «Sei venuta qui per via della torbiera. Interessante.»
«Sì, pensavo di condurre alcuni esperimenti conclusivi sul campo.»
«Questo sfagneto, per usare la parola precisa, è molto particolare» riprese Agneta. «Si dice che un tempo fosse una cosiddetta palude sacrificale.»
«Ah.»
«Forse ne hai sentito parlare? Fin dall’età del ferro qui venivano seppellite offerte votive di vario tipo, destinate agli dei. Sarebbero stati immolati persino esseri umani. In ufficio abbiamo degli opuscoli al riguardo. A cavallo tra lo scorso millennio e questo è stato ritrovato nella torbiera un cadavere risalente al 300 avanti Cristo. Adesso è esposto al Museo storico-culturale di Karlstad.»
Nathalie annuì. «Sì, penso di averne sentito parlare…»
«La Ragazza dei mirtilli rossi» concluse Agneta.
«Capisco» esclamò Nathalie.
«È il nome che hanno dato al corpo della giovane che hanno scoperto. Ma tornando alla palude, spero proprio che sarai molto prudente quando ti inoltrerai da quelle parti. È una zona molto acquitrinosa, e le passerelle sono particolarmente scivolose in questa stagione. Ma immagino che tu ci sia abituata.»
*
La casetta era composta da una stanza e una cucina, e si trovava ai piedi della casa padronale. In cucina c’erano un lavello privo di rubinetto, una grande stufa a legna e una zona pranzo corredata di una panca con lo schienale e due sedie. La stanza era ammobiliata con una rete rialzata, un armadio, una semplice scrivania, due vecchie poltrone e un tavolino piazzato davanti alla stufa in maiolica.
Il freddo si era fatto strada anche attraverso le spesse pareti di legno. All’interno era umido, ma profumava di fresco e di pulito.
In un angolo, appoggiato alla parete, c’era un grande specchio. Nathalie si sedette per terra e assunse la posizione del loto, poi si fermò a osservare il proprio viso. Non finiva mai di stupirsi, dava sempre l’impressione di essere molto più in forma di quanto non si sentisse. I capelli biondo sabbia che spuntava una volta all’anno avevano ancor...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La donna dei mirtilli rossi
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. Epilogo
  13. Ringraziamenti