1940-1998
22 luglio 1940
Alla fine ho scritto la lettera e l’ho spedita. Come destinatario ho messo: AL DUCE BENITO MUSSOLINI, ROMA.
Mio padre dice che gli arriverà di sicuro, perché il Duce è il Duce.
Mi emoziono solo a pensare che la possa leggere. Che, arrivato alla fine, possa vedere la mia firma: Viola Margherita Fontana. Se il Duce sa che esisto è già una cosa fantastica.
Non mi è stato difficile trovare le parole da dirgli.
L’ho ringraziato perché ha fatto grande l’Italia, perché ha cancellato la vergogna della guerra passata. Perché ci ha riscattati dal vile tradimento di quelli che dovevano essere i nostri alleati.
Gli ho scritto che lo ammiro perché è un uomo forte e l’Italia ha bisogno di uno come lui.
Dobbiamo vincere questa guerra.
Molta gente qui a Castenate ha paura, soprattutto chi c’era all’epoca dell’altra guerra.
Io quella guerra non l’ho vissuta, sono nata subito dopo la fine. Ma sono convinta che per avere un grande futuro bisogna saper osare, anche a costo di pagare di persona: il Duce l’ha sempre fatto.
Non possiamo arrenderci al potere degli inglesi e dei francesi: loro sono popoli ricchi e corrotti. Molti non lo capiscono, è ovvio: siamo in un paesino, c’è tanta gente ignorante. Ma io ho la fortuna di essere nata in una famiglia istruita, mio padre dirige un’azienda agricola e mi ha pagato gli studi in città, dove ho fatto le magistrali.
A scuola ho capito quanto l’Italia è cresciuta dalla marcia su Roma a oggi. Ho una prospettiva diversa da tante persone che ci circondano. Proprio per questo ho deciso di dare il mio piccolo sostegno al nostro Duce. Perché lui è uno di noi, ama ciascuno di noi e ha bisogno di ognuno di noi.
Vincere e vinceremo.
13 gennaio 1941
La rovina dell’Italia sono quelli come Rodolfo e Italo. Ragazzi ignoranti, superficiali.
E pensare che io e Rodolfo da bambini giocavamo sempre insieme. Mio padre gli dà pure il lavoro. Come fa a essere così cretino, così arrogante?
Italo è pure peggio di Rodolfo. Rodolfo almeno ha una personalità. Quell’altro no, lo segue a ruota e non dice nulla.
L’altro giorno al bar, mentre sentivamo il discorso del Duce, Rodolfo mi ha presa in giro. È un disfattista, sostiene che Mussolini dica sciocchezze. Io mi sono arrabbiata, ho provato a dimostrargli che ha torto, ma lui ha continuato a deridermi con la sua faccia da schiaffi. E quell’idiota del suo gemello stava zitto. I fascisti erano giustamente arrabbiati, ma lui non la smetteva. Me ne sono andata inviperita.
9 settembre 1941
Rodolfo è uno stupido e sono una stupida anche io. Non so cosa mi prende quando c’è lui. È un esagerato, uno senza testa, come quella volta che dopo la messa è venuto a provocare l’Aristide Broglia. C’ero anche io, e la cosa più strana è che ho avuto paura per lui, per Rodolfo. Come quella sera in cui i fascisti lo inseguivano e io l’ho protetto nel cortile della zia.
Perché l’ho fatto? Cosa si merita uno così? Quella volta ho dovuto pure mentire all’Aristide.
L’Aristide mi gira sempre intorno, è innamorato di me. Io gli voglio bene, è uno di casa. Mio padre sarebbe d’accordo se mi fidanzassi con lui, però non me la sento, così mi invento scuse. Gli dico che c’è la guerra, che bisogna aspettare. C’è qualcosa di lui che non mi piace, anche se sono lusingata da tutte le sue attenzioni.
In paese su di noi girano tantissime voci, la gente è convinta che ci sposeremo. Secondo me è per colpa di quella pettegola dell’Adele, la moglie di Luca il sacrestano. Aristide le aveva detto di stare zitta, ma niente, quella deve aver spiattellato tutto dopo quella volta che ci ha visti sbucare dal boschetto di robinie in campagna. È che io avevo un caldo pazzesco e per quel boschetto passa un fosso, così l’Aristide mi ci ha accompagnata. Mi sono seduta sulla sponda, ho sollevato la gonna fin sopra alle ginocchia e ho messo i piedi a mollo. L’Aristide allora ha cominciato a ridere, mi ha presa per le spalle e ha minacciato di buttarmi dentro. Ha promesso che mi avrebbe lasciata in cambio di un bacio. Ho accettato, ma dopo essermi risistemata il bacio gliel’ho dato sulla guancia, non sulla bocca come voleva lui. Aristide ha detto che mi amava, l’ha detto ad alta voce. Proprio in quel momento passava l’Adele, figurati se quella non ha sentito.
Povero Aristide, alla fine ci rimarrà male quando gli dirò che non lo sposerò. Forse sono sbagliata io. Perché l’Aristide non mi piace nel modo giusto? E Rodolfo invece…
Non posso accettare di essere felice per quello che è successo oggi alla fiera di Songeno. Ero con mia madre e quello stupido è venuto a portarmi dei fiori davanti a lei e ha pure fatto il saluto romano per prendermi ancora in giro…
Però adesso che sono qui in camera da sola penso a lui continuamente. Non riesco a togliermelo dalla testa.
È uno sfacciato, lo prenderei a sberle. Eppure, chissà perché, sono anche contenta per il modo in cui mi guardava.
Basta con queste sciocchezze. Anche perché lui finirà per fidanzarsi con la Rosina del Fontanile, lo sa tutta Castenate.
Ma allora come mai fa così con me?
18 settembre 1941
Stavo tornando da casa della zia.
L’ho visto appoggiato all’acquedotto, con un filo d’erba in bocca, anche se erano le due del pomeriggio.
Aveva un occhio nero e la bocca pesta.
Non ho resistito.
Non c’era in giro nessuno, mi sono infilata dietro l’acquedotto. Lui mi ha seguita.
«Che ti è successo? Non sei andato al lavoro?»
«Oggi niente. Oggi riposo, grazie ai tuoi amici.»
«I miei amici?»
«Certo. I fascisti. Sono venuti a prendermi ieri sera nei campi e mi hanno fatto capire che certi miei comportamenti non andavano bene. Poi mi hanno fatto bere un bel po’ di olio di ricino. Salutare, devo dire. Comunque poco male: ci sono abituato alle loro attenzioni, dopo che il tuo grande amore, l’Aristide Broglia, mi ha spento una sigaretta in faccia…»
L’ho guardato preoccupata, arrabbiata. Questa volta però non con lui, ma con chi lo aveva conciato così. C’era di sicuro anche Aristide, dannazione. Forse anche mio padre lo sapeva, forse li ha mandati lui per quello che Rodolfo ha fatto alla fiera di Songeno, quando mi ha regalato i fiori davanti a mia madre. Non potrei sopportarlo…
«Cosa hai combinato ancora per farli arrabbiare così?» gli ho chiesto.
Lui si è stretto nelle spalle e mi ha sorriso. Per la verità aveva cominciato a sorridere appena mi aveva vista e non ha più smesso fino a quando me ne sono andata.
«Lascia perdere.»
Mi ha fissata come sa fare lui. «Posso farti una domanda anch’io? Anzi, due…»
«Dimmi.»
«Come fai a essere così bell...