Note
Prologo. Il fantasma del presidente
1.Si veda la sentenza della Suprema corte di cassazione, Sezione seconda penale, n. 49691/2004 (presidente: G. M. Cosentino; relatore: M. Massera) depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2004. Di seguito un estratto: «La Corte di appello ha ritenuto provati i due incontri [di Giulio Andreotti] con Bontade, riferiti da Marino Mannoia, il quale ha partecipato personalmente al secondo mentre ha avuto cognizione del primo senza esservi presente, perché essa ha apprezzato – in termini non palesemente illogici – adeguati allo scopo i riscontri di carattere generale e le deduzioni di carattere logico che li confortano, dalla medesima analiticamente illustrati. Inoltre, mentre del primo è stato affermato il carattere non determinante ai fini della ricostruzione prescelta, il secondo incontro è stato apprezzato come dimostrativo della crisi irreversibile dei pregressi, asseriti rapporti tra i due interlocutori principali, anche se sulla base di un ragionamento logico conseguente alla valutazione di fatti noti, o ritenuti accertati, piuttosto che sulla prova diretta e specifica del recesso dal sodalizio. […] Per contro e sul versante opposto, la Corte palermitana ha negato pregnante valenza probatoria ai fatti accaduti nel periodo successivo all’avvento dei “corleonesi”, quali il preteso regalo ad Andreotti di un quadro da parte di Bontade e Calò, gli interventi dell’imputato, sia pure modesti e non decisivi, espletati a favore di Sindona, i cui legami con Bontade e Badalamenti ha ritenuto provati, la telefonata proveniente dalla sua segreteria nel settembre 1983 per assumere informazioni sulla salute di Giuseppe Cambria, persona legata ai Salvo, di cui, però, ha posto in dubbio la riferibilità all’imputato, il trasferimento nel 1984 di detenuti siciliani dal carcere di Pianosa a quello di Novara, per il quale ha ipotizzato un interessamento esclusivo di Lima, l’incontro avvenuto nel 1985 con Andrea Manciaracina, uomo d’onore vicino a Riina, la convinzione in seno a Cosa nostra, pur in assenza della prova di un suo intervento, di poter ricorrere ad Andreotti per aggiustare il maxiprocesso, la cui importanza per il sodalizio criminoso era innegabile. Pertanto il Collegio rileva conclusivamente: 1) la Corte d’appello ha delineato il concetto di partecipazione nel reato associativo in termini giuridici non condivisibili, ma l’erronea definizione teorica è stata emendata per effetto della successiva ricostruzione dei fatti, da cui essa ha tratto il convincimento di specifiche attività espletate a favore del sodalizio; 2) pure la cessazione di tale partecipazione è stata delineata secondo una prospettazione giuridica non corretta, ma poi anche riguardo ad essa la Corte territoriale ha non irrazionalmente valutato come concreta dimostrazione del necessario recesso un episodio che ha insindacabilmente ritenuto essere di certo avvenuto; 3) gli episodi considerati dalla Corte palermitana come dimostrativi della partecipazione al sodalizio criminoso sono stati accertati in base a valutazioni e apprezzamenti di merito espressi con motivazioni non manifestamente irrazionali e prive di fratture logiche o di omissioni determinanti; 4) avendo ritenuto cessata nel 1980 la assunta partecipazione nel sodalizio criminoso, correttamente il giudice di appello è pervenuto alla statuizione definitiva senza considerare e valutare unitariamente il complesso degli episodi articolatisi nel corso dell’intero periodo indicato nei capi d’imputazione; 5) le statuizioni della Corte d’appello concernenti l’insussistenza di una delle circostanze aggravanti contestate e la teorica concedibilità delle circostanze attenuanti generiche non hanno formato oggetto di impugnazione specifica e, quindi, sono passate in giudicato, precludendo qualsiasi ulteriore indagine perché la cessazione della consumazione del reato nel 1980 ne ha determinato la prescrizione. Inoltre essa ha ritenuto ulteriore fatto confermativo della asserita dissociazione l’emanazione del D.L. 12 settembre 1989, n. 317, di cui l’imputato è stato un fiero propugnatore; 6) al termine di questo articolato “excursus”, il Collegio ritiene di dover riprendere l’osservazione iniziale: i giudici dei due gradi di merito sono pervenuti a soluzioni diverse; non rientra tra i compiti della Corte di cassazione, come già reiteratamente precisato, operare una scelta tra le stesse perché tale valutazione richiede l’espletamento di attività non consentite in sede di legittimità; in presenza dell’intervenuta prescrizione, poi, questa Corte ha dovuto limitare le sue valutazioni a verificare se le prove acquisite presentino una evidenza tale da conclamare la manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine all’insussistenza del fatto o all’estraneità allo stesso da parte dell’imputato; 7) ne deriva che, mancando tali estremi, i ricorsi vanno rigettati», pp. 88-89.
2.«La genesi logica della scelta, da parte di “Cosa nostra”, di due esponenti del terrorismo nero quali esecutori materiali» scriveva Falcone «deve essere individuata nell’eccezionalità del crimine, le cui motivazioni trascendevano l’ordinaria logica dell’organizzazione mafiosa e coinvolgevano interessi politici che dovevano restare assolutamente segreti, nonché nel momento storico che questa associazione criminale attraversava per dinamiche interne», Requisitoria delitti politici, vol. 6, 1991, pp. 897-898.
3.È un principio del diritto in forza del quale un giudice non può esprimersi due volte sulla stessa azione, se si è già formata la cosa giudicata. Nel diritto italiano il divieto di doppio giudizio si applica principalmente nel caso di una sentenza ormai divenuta cosa giudicata dopo la conferma della Corte suprema di cassazione. L’unica eccezione è il processo di revisione, che però può essere incardinato solo nel caso in cui l’emersione di nuovi elementi provi che l’imputato sia stato ingiustamente condannato. Mai nel caso contrario: quando cioè, l’imputato sia stato assolto.
4.Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, Nelle carte dell’inchiesta il volto mai visto del killer di Piersanti Mattarella, «la Repubblica», 6 gennaio 2016.
5.«Sono emersi elementi di prova che collegano la P2 e spezzoni deviati dei servizi di sicurezza ad essa riferibili, come mandanti del delitto Mattarella e della strage di Bologna» ha detto Nicola Brigida, uno degli avvocati dei familiari della strage del 2 agosto 1980, dopo che la Procura generale di Bologna ha avocato l’inchiesta sulla bomba alla stazione in seguito al deposito di una nuova memoria dei legali di parte civile. Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, La targa rubata dai neofascisti riapre l’omicidio Mattarella, «la Repubblica», 5 gennaio 2018.
6.L’inchiesta denominata Sistemi criminali, avviata nel 1998 dai pm di Palermo Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia, portò alla luce un progetto di divisione dell’Italia in tre «macroregioni», perseguito da un lato dalla Lega Nord, e dall’altro da Cosa nostra, ’ndrangheta e massoneria, a cavallo delle stragi del 1992 e del 1993. L’obiettivo comune di questa cupola eversiva era impedire alle sinistre di occupare il potere, dopo il disfacimento del vecchio sistema dei partiti. Gelli è il primo dei quattordici indagati (con lui ci sono Stefano Delle Chiaie, il suo difensore Stefano Menicacci, Rosario Cattafi, il boss Riina, i fratelli Graviano e Santapaola, e il massone Pino Mandalari) del maxi-fascicolo che finirà in archivio non prima di aver fatto infuriare l’allora capo dello Stato Francesco Cossiga. Informato nel 2002 della missione riservata di un consulente, il professor Aldo Giannuli (esperto in stragi e terrorismo), spedito dal pm Ingroia a spulciare gli archivi dei servizi, il presidente «picconatore» sbotterà: «Quanto è vero Dio, gliela farò pagare!». L’indagine si concluse nel 2001 con una richiesta di archiviazione poi accolta dal gip.
7.«Dall’esame delle fonti si ricavano elementi a sostegno dell’ipotesi di esistenza di un progetto eversivo dell’ordine costituzionale, da perseguire attraverso una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti e alte cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange armata e compiuti con l’utilizzo di materiale bellico proveniente dai Paesi dell’Est dell’Europa.» Nel perseguimento di questo progetto, spiega il magistrato, Cosa nostra sarebbe alleata con consorterie di «diversa estrazione», non solo di matrice mafiosa. Dal decreto di rinvio a giudizio del processo Trattativa Stato-mafia firmato dal gip Piergiorgio Morosini, 7 marzo 2013.
8.Intercettazione del 18 agosto 2013, ore 8.45, del capomafia Totò Riina, detenuto al 41 bis nel carcere di Opera, a Milano, realizzate dalla Dia nell’ambito del procedimento sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Riina dice al suo compagno di passeggio Alberto Lorusso: «Stefano Bontade era il capo della massoneria insieme ad altri due: Concutelli e un altro ricco palermitano». Atti del convegno Le verità nascoste, 12 gennaio 2016, successivamente pubblicati in Le verità nascoste. Da Aldo Moro a Piersanti Mattarella e Pio La Torre, La Zisa, Palermo 2017, p. 142.
9.Tra il 16 e il 20 febbraio 1980 si svolse il XIV congresso nazionale della Dc, fino a quel momento guidata dal segretario Benigno Zaccagnini. Dopo l’uccisione di Moro e di Mattarella, la linea della politica di solidarietà nazionale si esaurisce e dai lavori congressuali emerge una nuova maggioranza interna tra dorotei, fanfaniani, Forze nuove e il gruppo di Proposta, politicamente chiusa alla collaborazione con il Pci e aperta alla ripresa di un rapporto organico con il Psi guidato da Bettino Craxi. Il congresso, nel quale svolge una funzione politica importante Carlo Donat Cattin, viene chiamato del «preambolo» in quanto le mozioni associate alle liste delle quattro correnti alleate presentano un preambolo politico comune, sul quale si forma la nuova maggioranza del partito, che può contare sul 57,7 per cento dei voti congressuali. La sinistra democristiana e gli andreottiani rimangono all’opposizione, Zaccagnini lascia la segreteria politica, e il consiglio nazionale della Dc procede alla elezione di Flaminio Piccoli come segretario politico, Carlo Donat Cattin come vice-segretario, e Arnaldo Forlani come presidente del consiglio nazionale del partito.
IL MARTIRIO
1. Una domenica di sangue
1.Bianca Stancanelli, L’ho visto, «L’Ora», 6 gennaio 1980.
2.Loris D’Ambrosio, Relazione sull’omicidio dell’on. Mattarella, Roma, 8 settembre 1989, p. 4.
3.Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, Nelle carte il volto del killer di Mattarella, «la Repubblica», 6 gennaio 2016.
4.Bruno Contrada, che successivamente diventerà il numero tre del Sisde, viene condannato a dieci anni per concorso in associazione mafiosa, verdetto passato in giudicato il 10 maggio 2007. Il 15 aprile 2015 la Cedu, Corte europea dei diritti dell’uomo, ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 7 Cedu, riconoscendo che la condanna subita da Contrada (e da lui ormai già interamente scontata) riguardava un reato che, al tempo delle condotte a lui ascritte, non era sufficientemente chiaro e prevedibile. Successivamente la Corte di cassazione, il 6 luglio 2017, ha dichiarato «ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza emessa nei confronti di Contrada dalla Corte d’appello di Palermo in data 25 febbraio 2006, e divenuta irrevocabile in data 10 maggio 2007». In seguito a ciò, il capo della polizia Franco Gabrielli ha revocato nei confronti dell’ex poliziotto il provvedimento di destituzione. Contrada è stato reintegrato in polizia.
5.Dell’assalto a Radio Città Futura furono giudicati responsabili il leader dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Giusva Fioravanti, la sua compagna Francesca Mambro e altri. La Mambro racconterà che durante gli scontri successivi all’agguato di via Acca Larentia, Stefano Recchioni cadde a pochi passi da lei e che questo episodio fu decisivo nell’orientare la sua scelta di «antagonismo». Requisitoria delitti politici, vol. 4, 1991, p. 577.
6.L’omicidio di Valerio Verbano fu inizialmente attribuito ai Nar e in particolare a Giusva Fioravanti, al quale apparteneva l’identikit pubblicato sul giornale. L’istruttoria verrà chiusa nel 1989 e il giudice Claudio D’Angelo, pur ritenendo certo l’ambiente criminoso legato all’estremismo di destra, attestò l’impossibilità di individuare i responsabili. Nel febbraio del 2011 la Procura di Roma ha confermato la riapertura delle indagini. Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti e il pm Erminio Amelio dichiararono di aver iscritto due nomi nel registro degli indagati.
7.Giovanni Grasso, Piersanti Mattarella. Da solo contro la mafia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2014, p. 158.
8.Requisitoria delitti politici, vol. 2, 1991, p. 146.
2. Le «soffiate» di don Vito
1.Sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio per i delitti politici, vol. 2, 1991, p. 277.
2.Requisitoria delitti politici, vol. 2, 1991, p. 224.
3.Sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio per i delitti politici, vol. 2, 1991, p. 275. Si veda anche l’articolo di Giuseppe Lo Bianco, Quando Piersanti Mattarella rifiutava i voti di suo padre, «il Fatto Quotidiano», 24 maggio 2017, che racconta come il 23 maggio 2017, in occasione del 25° anniversario della strage di Capaci, il Csm abbia pubblicato un volume che raccoglie tutti gli atti e i documenti che riguardano Giovanni Falcone: tra questi una dichiarazione del magistrato palermitano s...