Lezioni di disegno
eBook - ePub

Lezioni di disegno

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lezioni di disegno

Informazioni su questo libro

Un amore finito, un impiego insoddisfacente lasciato indietro e una vita che, a 39 anni, non ha ancora messo radici e sta tutta in una valigia. Come quella con cui Julia arriva a Barcellona, nella lussuosa villa di Pedralbes che lei e le sorelle sono costrette a vendere dopo la morte della madre Gloria.
Fra i ricordi di un padre autoritario e severo, complice della dittatura franchista, e i segreti di famiglia occultati fra le pareti delle stanze deserte, Julia ritrova anche una fotografia della madre da giovane, abbracciata a un bellissimo sconosciuto.
Alle prese con la sfrenata nipote, figlia della ribelle Olga, Julia si trova a fare i conti con un passato pieno di rivelazioni. Dalla Barcellona in fermento degli anni Settanta, quella delle prime manifestazioni e delle assemblee femministe, dell'amore libero, della musica e della controcultura, emerge il volto segreto di Gloria, una donna che la figlia conosceva solo a metà, capace di vivere una passione clandestina e travolgente che molto ha da insegnare, sull'amore e sulla vita. E sulle ribellioni silenziose che ci conducono verso i nostri sogni.

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Informazioni

1

La spiaggia aveva qualcosa di impudico, in quel mattino nuvoloso di primavera, qualcosa di intimo e malinconico, il mare che fiatava affannato contro la riva ingombra di alghe e rifiuti. Sembrava stanca e provata, come lei. Si tolse le scarpe basse e le nascose dietro la borsetta. Poi affondò i piedi nella sabbia, che conservava il freddo e l’umidità della notte, e lasciò che le alghe scure e sottili le si impigliassero fra le dita.
Iniziava a chiedersi se quell’appuntamento non fosse stato un errore.
Sollevò la gonna, godendosi la sensazione dell’aria fredda sulla pelle, e guardò verso la fine della spiaggia, dove si trovava il parcheggio sterrato. Poteva arrivare soltanto da lì. Sull’altro lato la spiaggia era chiusa dagli scogli e in alto sul promontorio si intuiva la presenza di un faro.
Nel parcheggio c’erano solo due auto, le stesse che erano già lì quando era arrivata a piedi dall’albergo. Tornò a guardare la riva del mare, dove si sollevavano merletti di spuma bianca spazzati subito via dall’onda successiva. E mentre si lasciava cullare da quel movimento costante eppure imprevedibile, pensò che la sua vita era stata un insieme di scelte tutte sbagliate che erano riuscite a portarla nella direzione giusta, in qualche modo.
Non era neanche sicura che sarebbe arrivato. O che il messaggio gli fosse stato recapitato. L’aveva lasciato al loro bar, dove per fortuna lo conoscevano ancora, ma si era dimenticata stupidamente di aggiungere il proprio numero di telefono, nel caso dovesse avvisarla che gli era impossibile raggiungerla. O che preferiva non farlo.
Erano passati quattordici anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Quattordici anni esatti, era maggio anche allora. Questa volta non aveva avuto bisogno di sfilarsi la fede dal dito. Questa volta non avrebbe tradito nessuno. Aveva mantenuto la parola data e rispettato tutti gli obblighi e gli impegni presi, fino all’ultimo. Adesso era finalmente libera. Ma se in cuor suo aveva sempre saputo che si sarebbero ritrovati, se aveva contato i giorni che mancavano rigirandoseli fra le dita come grani del rosario, questo non significava che lui avesse fatto altrettanto. O che l’avesse perdonata per tutti gli appuntamenti a cui non si era presentata.
Ma chi voleva prendere in giro? Sapeva benissimo che sarebbe arrivato. Ne era certa, come dell’aria salmastra che le riempiva i polmoni a ogni respiro. Aveva sempre saputo che quell’istante sarebbe arrivato, purché avesse continuato a crederci. Il loro era stato un amore tutto al contrario. Si erano amati nella promessa di un futuro sfuggente e inafferrabile, l’avevano custodita dentro di sé, al riparo fra i ricordi. Se ne erano presi cura, l’avevano difesa e protetta, in attesa che quel futuro arrivasse davvero. Perché ci sono amori inarrestabili, che si lasciano sballottare dagli anni come da un mare in tempesta ma continuano ad avanzare, più acciaccati e fragili e stanchi, ma proseguono. Ci sono amori inevitabili, come un fiore che sboccia al primo sole, incurante che sia inverno o primavera. Ci sono amori che in realtà non ti appartengono, perché sono più grandi di te.
Un cane color cannella arrivò dal parcheggio e corse impazzito in cerchio per la spiaggia, prima che la proprietaria lo richiamasse con un fischio e lo rimettesse al guinzaglio. Poi la cappa di nuvole si sfilacciò come un vecchio foulard, il sole fece capolino e le accarezzò la pelle delle gambe e delle braccia, riscaldandola.
In quell’istante, d’istinto, si voltò e lo vide arrivare. E anche da quella distanza, anche senza riuscire a distinguere davvero il suo volto, le si formò un nodo in gola al ricordo di quanto fosse bello. Le bastò la sua andatura, il modo di camminare spigliato e deciso e un po’ sbilenco, l’energia nervosa del passo, le spalle larghe sopra il torace esile. Aveva un paio di pantaloni crema arrotolati sui polpacci e una camicia chiara e spiegazzata. I capelli ingrigiti erano legati indietro e sul viso abbronzato c’era un sorriso leggermente inquieto.
Era ancora bellissimo, lo vedeva con chiarezza adesso che era più vicino, aveva lo stesso sguardo sfrontato e impaziente di un tempo, la stessa curiosità che gli accendeva gli occhi di una luce maliziosa.
Dovette trattenersi dal sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre si alzava in piedi. Lui la guardò e lei capì che erano in due a essere spaventati. Perché ritrovarsi significava anche ritrovare i torti e gli sbagli, tutte le occasioni mancate e l’eco del tempo sprecato.
Avrebbe voluto andargli incontro, ma non riusciva a muoversi e rimase immobile a guardarlo avvicinarsi, il passo che si faceva sempre più rapido e il sorriso sempre più largo, mentre ogni ombra di timore gli svaniva dallo sguardo. Perché, ora lo capiva anche lei, insieme sarebbero stati per sempre ragazzi, sarebbero sempre stati i giovani di tanti anni prima, sull’orlo di una vita che significava due cose completamente diverse per ciascuno di loro e che credevano di non essere capaci di vivere insieme. Si erano conosciuti in un sogno futuro, mentre il presente respingeva la loro storia come un corpo estraneo, e quel futuro era finalmente arrivato.
Quando fu a pochi metri da lei rallentò il passo e si fermò. La osservò per qualche istante e lei si lasciò guardare, come aveva imparato a fare tanti anni prima. Poi non resistette oltre e gli corse incontro.

2

Era sempre lo stesso incubo, sempre uguale.
Iniziava a disegnare e dalla matita all’improvviso usciva un fiume di linee nere, che si muoveva sinuoso e graffiava la carta, senza che lei potesse fare niente per controllarlo. Le linee si agitavano come tanti serpenti e proprio quando sembrava che si fossero calmate e stessero per scomparire, si allargavano a formare una grande macchia scura.
Allora lei provava a muovere la matita, a riprendere il disegno, a far finta di niente, come se la grande macchia scura non ci fosse, come se bastasse ignorarla per farla scomparire. Ma non scompariva.
A poco a poco iniziava a muoversi, si piegava, si curvava a tracciare un arco, una linea tondeggiante, e lei provava a chiudere gli occhi, fino a quando non poteva più ignorare la sagoma scura che incombeva sulla carta, sapeva di doverla fermare, sapeva che le restavano solo pochi istanti prima che colpisse di nuovo, prima che tornasse a fare male, ma quando apriva la bocca per urlare non ne usciva alcun suono e intanto la sagoma cresceva e diventava sempre più grande e minacciosa e inghiottiva il foglio di carta e cresceva, cresceva e quando lei impugnava la matita e si accaniva su quella cosa con tutta la forza che le era rimasta nella mano, si accorgeva con orrore che i suoi colpi erano serviti soltanto a disegnare un braccio che si sollevava lento dalla sagoma scura e si preparava ad attaccare, un’ultima volta.
E allora all’improvviso l’urlo silenzioso che le si era formato in gola esplodeva terrorizzato e la svegliava.

3

Barcellona, 2016
Il mare sotto di lei era una distesa scura, più buia del cielo notturno, distinguibile solo dalle lanterne di qualche barca. Julia si strofinò gli occhi per scacciare le ultime tracce di sonno e si raddrizzò a sedere contro lo scomodo schienale dell’aereo. Guardò fuori dal finestrino e cercò la costa sfrangiata dalle luci che scivolavano in mare, per orientarsi, ma non la trovò. Per un attimo sotto di lei non ci fu altro che buio, un buio che non era più né cielo né mare, finché l’aereo virò e all’improvviso comparve il profilo luminoso di Barcellona, i bagliori sfacciati del lungomare e della Vila Olímpica, quelli ordinati dell’Eixample e l’ammucchiarsi caotico di quelli del centro.
Julia osservò la città allargarsi sotto di lei, sempre più vicina, e cercò dentro di sé le emozioni giuste senza riuscire a trovarle. Barcellona era lì ad aspettarla come sempre, aperta, sfarzosa e indifferente. Barcellona che accoglieva tutti come se fossero gli unici, solo per scordarseli un attimo dopo, come una delle vecchie puttane che rivendicavano i vicoli del Raval. D’istinto cercò i punti di riferimento di sempre, la torre Agbar, la Sagrada Familia, e li aveva appena trovati quando il cielo esplose sotto inaspettate pennellate di colore.
Sussultò e incollò il naso al finestrino, stregata da quello spettacolo. La città sotto di lei fioriva di luce, i fuochi d’artificio della Verbena di Sant Joan si accendevano a ripetizione, allargandosi sopra i tetti e le terrazze addobbate a festa. A vederli dall’alto erano come tante fontane che si spegnevano in un soffio, l’eco della magia e della festa sotto di loro. Julia sorrise, il primo sorriso da quando era salita sull’aereo.
Barcellona l’aveva fregata, ci era riuscita anche quella volta. Si asciugò rapida una lacrima che le scorreva sulla guancia.
«Non troveremo un taxi neanche a pagarlo oro», brontolò la signora di fianco a lei, e riprese a sfogliare distrattamente la rivista che aveva in grembo, incurante della pioggia di luce colorata fuori dall’oblò.
«Scusi?» chiese Julia.
«Non ci sarà un solo taxi all’aeroporto, la sera della Verbena» ripeté lei, sempre sfogliando la rivista. «Mi chiedo come cavolo torneremo a casa. Lei è qui in vacanza?»
Julia sentì un disagio familiare che le si agitava dentro. «No, non sono in vacanza. Sono di Barcellona.»
«Viene a prenderla qualcuno, allora?»
«Non lo so. Stasera, con la Verbena sarà difficile...»
La donna inclinò appena la testa, poco convinta. Poi sbuffò. «I miei amici hanno insistito perché li raggiungessi, ma quando arriverò saranno già tutti ubriachi. Preferirei tanto andare dritta a casa. Lei con chi festeggia?»
Julia non se l’era chiesto fino a quel momento. «Non so. Vivo a Madrid» disse. «Cioè, ci vivevo. Adesso non più.»
La donna la guardò con aria interrogativa e Julia si limitò a sorridere imbarazzata. Non poteva certo spiegarle che non sapeva più neanche lei dove abitasse. Che era andata a Madrid per amore e adesso scappava, sempre per amore. In teoria stava ancora lì, o almeno lì erano rimaste quasi tutte le sue cose. Prima o poi sarebbe dovuta passare dall’appartamento a riprendersele, ma in fondo si era lasciata dietro così poco. Non si era neanche disturbata a svuotare la scrivania all’agenzia di viaggio; il contratto sarebbe scaduto fra una settimana, ma le avevano detto che non l’avrebbero rinnovato. Tre anni di convivenza e poteva praticamente prendere la sua vita e infilarla in uno zaino, tanto era leggera. A casa di David erano rimasti i libri già letti, i vestiti eleganti che aveva comprato per fargli piacere e che non metteva mai, i piatti che aveva insistito per prendere al mercatino delle pulci e che non entravano in lavastoviglie, la sua tazza preferita con i gufi colorati e il manico sbeccato, le giacche invernali. E i ricordi di tre anni tutti sbagliati.
«Sta tornando a casa, quindi?»
Julia riprese a guardare fuori dal finestrino, dove le fontane lampeggianti di colori comparivano e scomparivano rapide. «Ho cambiato casa così tante volte» ammise infine, «che non saprei più dire quale sia la mia.»
«La casa non è mica il posto in cui siamo nati o quello in cui abitiamo.» La donna sorrise. «È il posto in cui vogliamo tornare. Una di queste, magari.» Indicò alcune foto sulla rivista. «Qui sì che tornerei volentieri» aggiunse con una risatina.
Julia si sporse appena verso di lei. Le case da sogno di Pedralbes, recitava il titolo del servizio. Con il cuore che batteva, si avvicinò per guardare meglio la foto in apertura e riconobbe subito i tre grandi archi del portico e la facciata simmetrica e aggettante, con i balconi tondeggianti del primo piano.
«Questa per esempio. L’elegante villa di Luis Fernández Costa nasconde al suo interno dettagli modernisti dal valore inestimabile» lesse la donna. «Che fossero tutti fascisti non lo dicono, però.» Si voltò verso Julia. «Non si sono certo arricchiti lottando contro la dittatura. Comunque adesso le case di quei riccastri sono quasi tutte in vendita, con la crisi hanno abbassato la testa pure loro.» La donna sospirò. «Quanto pagherei per vivere in un posto simile, anche solo per un giorno. Dev’essere come entrare in una favola.»
Julia si limitò ad abbozzare un sorriso.
«Lei dove deve andare?» chiese la vicina di posto. «Se vuole dividiamo un taxi, sempre se riusciamo a trovarne uno.»
«No, grazie» rispose Julia, mentre lanciava un’ultima occhiata alla casa in cui era cresciuta, prima che la donna chiudesse la rivista di scatto. «Sono sicura che alla fine verrà mia sorella a prendermi» mentì.
La donna sorrise e Julia tornò a guardare fuori dal finestrino, i fuochi d’artificio esplodevano silenziosi sotto l’ala dell’aereo e appassivano rapidi, graffiando il cielo con i loro guizzi multicolori.

4

«Mi spiace per le sedie. Con tutto quello che devo fare, non ho ancora trovato il tempo per andare a comprarle.»
Julia guardò la sorella Anna, dal basso della sedia di plastica da giardino. Era più bella ed elegante dell’ultima volta che si erano viste, tre mesi prima, per il funerale della madre. Ma aveva anche il viso più stanco e tirato, l’espressione affaticata e nervosa sotto il trucco impeccabile.
«Non importa» mentì. «Sono comode anche queste.»
Non era vero. Le sedie bianche di plastica erano decisamente troppo basse per il tavolo di legno massiccio del soggiorno. Julia avrebbe preferito fare colazione in cucina, senza tutte quelle cerimonie. Il tavolo apparecchiato con tanta cura, la tovaglia di lino perfettamente stirata e lo sfoggio di biscotti e dolcetti e marmellate la mettevano a disagio. Non capiva se la sorella volesse sfoggiare le proprie doti di padrona di casa o farle pesare il fatto che lei invece non le avesse mai avute. Probabilmente entrambe le cose.
Bevve un sorso di caffè tiepido e guardò con diffidenza le nipoti, che incombevano su di lei dai seggioloni multicolori. Anna prese posto a capotavola, in posizione precaria su uno degli sgabelli dell’angolo bar.
«Perché non prendi quelle della mamma?»
Anna alzò gli occhi di scatto, sulla difensiva. Ogni accenno alla madre sembrava risvegliare la vecchia gelosia, una sorta di tentativo di disputarsi il suo affetto, adesso che lei non c’era più. O forse temeva che la sorella desse voce al dubbio che tormentava entrambe. Non l’avevano mai detto ad alta voce, ma Julia era certa che anche Anna non riuscisse a smettere di pensarci. Come Carmen, probabilmente, la domestica che era a casa loro da sempre. Era stata lei a trovarla, in quella mattina piovosa di marzo nel grande letto matrimoniale in cui non dormiva più da anni. La sera della morte del marito, infatti, Gloria aveva preso le sue cose e si era trasferita al piano di sotto, e non aveva mai più dormito in quella stanza. Fino alla sua ultima notte.
«Le sedie» spiegò Julia. «Perché non prendi quelle del soggiorno? Starebbero benissimo con questo tavolo.»
Anna abbassò gli occhi con aria colpevole e Julia capì che doveva ave...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lezioni di disegno
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. 43
  47. 44
  48. Ringraziamenti