1
«Allora che famo? Annamo?»
«Macché annamo! ’ndo vuoi anna’ che non sappiamo nemmeno che diglie?»
«E che glie dovemo di’? Ciao, come ve chiamate, de dove siete…»
«Seeee! Nome, cognome, indirizzo e favorisca i documenti. Manco du’ guardie, Leona’!»
«E vabbe’, Lore’, allora se sei bravo dillo te.»
«Ma che ne so! L’idea è stata tua de anna’ a rimorchia’ quelle…»
«Eccerto! Perché tu invece te stavi tanto a diverti’ qua da solo! Scusa se t’ho interrotto, eh.»
Musica house che buca le casse, il tasso alcolico giusto, gente che si scatena in pista e nell’aria quel tipico miscuglio di sudore, alcol e adrenalina. È un perfetto venerdì sera, al Lanificio, e Leonardo vorrebbe solo farlo diventare più perfetto. Lorenzo non è che disdegni l’idea ma non può fare a meno di vedere le difficoltà.
«Secondo me so’ pure straniere.»
«Che, me stai a fa’ il razzista, adesso?»
«Senti, io figure di merda non ne voglio fare.»
«Ma se andiamo sul sicuro! Sono in due, non sono accompagnate, sono carine ma non strafighe, quindi alla nostra portata. Anzi ti dirò che una è pure tendente al cesso… ma quella me la posso prendere io! Comunque, la cosa più importante è che stanno in cerca, fidate, si vede da come ballano.»
«Da come ballano sembrano lesbiche, frate’.»
«Ma lascia perdere, ché adesso vanno di moda ’ste lesbicate…»
«Dici?»
«Dico, dico. Damme qua, brindiamo!»
Leonardo strappa due shot di rum dalle mani del barista e ne consegna uno all’amico. Giù tutto in un colpo.
«Daje forte!»
Adesso si sentono carichi e pronti per conquistare il mondo. Si voltano verso le ragazze e…
Le ragazze sono andate. Non via, solo qualche metro più in là, su un divanetto, insieme a due tipi vestiti e pettinati come tronisti.
«Ma li morta’…»
Lorenzo dà una pacca consolatoria all’amico.
«Lascia perde, Leona’. Non avevamo chance fin dall’inizio.»
Tornano ad aggrapparsi al bancone come naufraghi a un pezzo di legno.
«Barista, altro rum, per favore!»
Succede spesso che poi non succede niente. Tanto tempo a parlare, a fare programmi e poi restano sempre loro due, Lorenzo e Leonardo, Leonardo e Lorenzo, i soliti coglioni. Ma Matteo dov’è, invece? Il terzo uomo è da un po’ che è sparito.
«Vedrai che s’è sentito male e s’è chiuso in bagno» ipotizza Lorenzo.
«Sempre ottimista te, eh?»
Leonardo fa una rapida ricognizione alla toilette, poi torna dall’amico.
«In bagno non c’è.»
Sono le tre e un quarto, sarebbe anche ora di andare via. Cominciano a cercarlo per tutto il locale, che si sviluppa su due piani, divisi in varie sale. Lorenzo e Leonardo ci mettono un buon quarto d’ora a perlustrarlo tutto, poi si ritrovano al bancone con un nulla di fatto. Già che ci sono, si fanno versare un altro bicchiere di rum, bello invecchiato. Che fine avrà fatto Matteo? Non è che se ne è andato senza di loro?
Poi, come un’apparizione, vedono le sue scarpe in mezzo al caos: New Balance arancione fosforescente. Sono ai piedi di uno strano essere a due teste, quattro braccia e quattro gambe, abbarbicato su un divanetto. A ben guardare lo strano essere è formato da due corpi umani avvinghiati tra loro, di cui uno appartiene a Matteo, l’altro… boh. Bei polpacci, però.
«E bravo Matteo! Pure stasera ha rimediato. Lui sì che va dritto all’obiettivo, mica come noi» dice Leonardo sollevando il bicchiere in direzione dell’amico.
«Che facciamo? Lo chiamiamo al telefono?» propone Lorenzo.
«No, qua dentro non c’è campo.»
«Vabbe’, allora finiamo la bevuta e aspettiamo.»
Finiscono la bevuta e poi un’altra e un’altra ancora. Lo strano groviglio sul divanetto non accenna a riprendere forma umana. Leonardo e Lorenzo sono a un passo dal coma etilico, quando decidono finalmente d’intervenire. Si avvicinano a Matteo e gli bussano con discrezione su una spalla. Lui si volta, tutto spettinato e rosso in viso, sembra più ubriaco di loro: «Eh, che c’è?».
Ora i tre amici sono in macchina verso casa. Lorenzo alla guida e Leonardo sul sedile del passeggero, si danno di gomito ridendo.
«Bella per Matteo che ha tenuto alto l’onore del gruppo!»
«Quella t’aveva sequestrato, Matte’, stavamo pe’ chiama’ le forze dell’ordine!»
«Accelera Lore’, ché è tutto bianco, lo portiamo al Policlinico!»
Di solito, in situazioni come questa, Matteo darebbe il suo contributo con battute dello stesso tenore. Dei tre è quello che ha più successo con le donne ma le sue sono tutte storie passeggere e il resoconto agli amici è la parte migliore. Stavolta, però, è stranamente silenzioso. Non un commento, non una risata, nemmeno un fiato. Un po’ preoccupato, Leonardo si gira a guardarlo.
«Oh, non è che stai male davvero?»
Ma Matteo non ha per niente l’aria di uno che sta male, anzi. Se ne sta stravaccato sul sedile posteriore, lo sguardo sognante e un sorriso ebete stampato sulle labbra. Lorenzo sbircia anche lui dallo specchietto retrovisore, scambia un’occhiata con Leonardo e la domanda sale spontanea a entrambi: «Ma che te sei calato qualcosa, Matte’?».
Matteo non s’è calato. La verità è un’altra ed è molto, molto peggio di quello che pensano. C’è una cosa che ti fa più della droga, che confonde i pensieri e scombussola il corpo, che ti toglie il sonno e la fame. No, non è un virus intestinale e nemmeno le partite della Roma…
La verità è che la ragazza che Matteo ha incontrato stasera non è una qualsiasi. Si chiama Chiara, Chiara Hendriks, papà olandese e mamma italiana, e Matteo l’aveva già incontrata l’estate di due anni fa. Era venuta a Roma per stare un po’ con sua madre e lui l’aveva quasi messa sotto col motorino, una sera, all’incrocio tra via Morosini e viale Trastevere. Se lei fosse stata un po’ meno bionda e se quei calzoncini di jeans fossero stati solo un po’ più lunghi e le sue gambe un po’ meno abbronzate… forse Matteo avrebbe pure considerato l’idea di chiedere scusa e tirare dritto. Però così no, proprio non poteva. Con la scusa di farsi perdonare l’aveva portata a bere, poi a cena, poi le aveva chiesto il numero di telefono e si erano visti anche nei giorni seguenti. Peccato che ne restassero pochi: dopo una settimana, Chiara doveva tornare a Rotterdam, la città dove viveva e dove aveva pure un mezzo fidanzato.
Si erano salutati senza drammi, con l’idea di non rivedersi più. Matteo non è nuovo a cose di questo tipo: storielle spensierate che durano pochi giorni e poi evaporano sotto il sole estivo senza lasciare traccia. Chiara, però, non l’ha dimenticata. Inaspettatamente, gli è rimasta impressa nella memoria e ogni tanto il ricordo di lei gli si accendeva nella mente come quelle lampadine che sembrano fulminate e invece basta toccarle un po’ perché si accendano di nuovo.
Poi, stasera, il caso li ha fatti incontrare di nuovo. Chiara è tornata a Roma in vacanza e non ha più il fidanzato, nemmeno mezzo. Anche lei ha continuato a pensare a Matteo, in tutto questo tempo…
Lorenzo e Leonardo ascoltano il racconto dell’amico senza afferrarlo fino in fondo. Sarà che è molto tardi, sarà che sono molto ubriachi. O che semplicemente Matteo innamorato no, non l’hanno considerato.
«Quindi, in sostanza, ’sta Chiara c’ha le paste?» sussurra Lorenzo a Leonardo cercando di tirare le somme.
«Boh, me sa de sì» risponde l’altro e intanto emette un sonoro sbadiglio.
Anche Lorenzo sbadiglia, immediatamente contagiato, mentre ferma l’auto davanti a un portone.
Sono arrivati in via dei Fienaroli, nel cuore di Trastevere. Matteo abita qui e Leonardo si appoggia da lui per qualche tempo anche se in realtà è nato e cresciuto a Garbatella. I due scendono e salutano Lorenzo, che prosegue da solo verso la Cassia, in direzione nord.
Quando finalmente tutti e tre sono a letto, è ormai l’alba e un altro giorno sta spuntando sulla città eterna.
2
Lunedì mattina. Il cielo di settembre è terso e Roma risplende di una luce viva. I palazzi e i monumenti antichi svettano sul caos della città, immobili e solenni in mezzo a un brulicante groviglio di esistenze. Il Tevere scorre placido nel suo letto e dalle porte aperte di un bar proviene odore di caffè e cornetti appena sfornati…
«’a ’ncefalitico! Te muovi o famo notte?»
Lorenzo si riscuote dai suoi pensieri: il semaforo non ha fatto in tempo a diventare verde che il tipo dietro di lui si è attaccato al clacson. Con gesto automatico preme sull’acceleratore del motorino e riparte a tutto gas sul lungotevere. Davanti a lui un altro semaforo è appena diventato giallo, Lorenzo recita le sue ultime preghiere e si lancia verso il traguardo…
… stracciato per un pelo!
E dicono pure che i romani so’ fancazzisti. Qua si contano i secondi, mica si scherza. Lui è dalle sette meno un quarto che è in giro per Prati. No, non in senso bucolico…
Prati è il quartiere amministrativo di Roma, a nordovest del centro, dove si concentra la maggior parte delle attività professionali: studi medici, sedi di società, produzioni cinematografiche, istituti religiosi, hotel, ristoranti, negozi e, su tutti, tribunali e studi legali. Altro che dolce vita: dalle sette di mattina alle sette della sera qui si riversa una marea di forsennati, tutti indaffarati, tutti di corsa, tutti invariabilmente incazzati. Non è che il romano non lavora. È che lavorare ed essere pure contento proprio non gliela fa.
Lorenzo fa l’avvocato, insieme a svariate decine di migliaia di altre persone, e passa intere mattinate correndo lungo i viali del quartiere, da un ufficio a un altro. È un mestiere pericoloso, il suo: incroci messi a caso, automobilisti impazziti, crateri che si aprono improvvisamente nell’asfalto, strade invase da un blob viscido di foglie e fango… ma c’è un pericolo che Lorenzo sente di correre più di tutti: la cacca dello storno. La famigerata pioggia di merda che di tanto in tanto si abbatte su Prati come una piaga biblica. Quella, purtroppo, non c’è modo di evitarla.
È un mestiere pericoloso, il suo, e Lorenzo preferirebbe proprio non farlo. Solo che tra i colleghi dello studio lui è l’unico ad avere il motorino e, siccome in macchina o – peggio ancora – con i mezzi pubblici è impensabile muoversi per la città, i famigerati “giri in tribunale” (praticamente l’ultimo gradino nella scala gerarchica delle incombenze da avvocati) spettano sempre a lui. Martina, la praticante ultraquarantenne che non è mai riuscita a superare l’esame da avvocato, prima gli dava una mano. Poi ha pensato bene di restare incinta e ha detto addio alle due ruote. La stronza. Ovviamente la titolare dello studio, quella specie di Angela Merkel de noantri, non ha minimamente pensato di licenziarla e prendere un sostituto. No, sarebbe stato ingiusto e maschilista! Mai e poi mai avrebbe fatto una cosa del genere. Invece far sgroppare lui come un dannato da mattina a sera non è un’ingiustizia, non è una violazione dei diritti umani!
Buca… cazzo. Deve stare più attento, ci è andato dritto dentro. La mappa mentale del dissesto stradale va continuamente aggiornata. Le vertebre si ricompongono a casaccio dentro la schiena mentre dal cuore sgorga spontanea un’invocazione a san Pietro.
Lorenzo parcheggia davanti al tribunale alle sette e trentuno, con un minuto di ritardo ...