La cercatrice di corallo
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La cercatrice di corallo

  1. 322 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La cercatrice di corallo

Informazioni su questo libro

Achille e Regina si incontrano per la prima volta nell'estate del 1919, di fronte alle acque spumeggianti di una Sardegna magica. Regina dona ad Achille un rametto di corallo rosso come il fuoco, il più prezioso, con la promessa che gli porterà fortuna. Anni dopo, quella bambina è diventata una delle più abili cercatrici di corallo; quando si tuffa da Medusa, il peschereccio di suo padre, neanche l'onda più alta e minacciosa la spaventa. Lei è come una creatura dei mari ed è talmente libera da non avere mai conosciuto legami. Finché, un giorno, la sua strada si incrocia di nuovo con quella di Achille: nel viso di un uomo ritrova gli occhi del ragazzino di un tempo. A travolgerli non è solo un sentimento folle, ma anche un passato indelebile. Le loro famiglie, infatti, sono legate a doppio filo da rancori e vendette ed è in corso una guerra senza ritorno. Spesso non basta l'amore per cambiare un destino che sembra già scritto. Ma l'unico modo di scoprirlo è provarci, fino all'ultimo… Vanessa Roggeri ci racconta una terra densa di tradizioni con una scrittura traboccante della forza e della determinazione di chi in quell'isola ci è nato. Il ritorno di un'autrice che con le sue storie di passioni ha emozionato migliaia di lettrici.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817098809
eBook ISBN
9788858692097
PARTE SECONDA

7

Riviera del Corallo
Giugno 1928

Una sterna dalle bianche ali e la testolina mora, guardando dall’alto del cielo il mare increspato, seguiva il volo a pelo d’acqua della vela latina rigonfia di vento. Cadendo giù in picchiata, sfiorò l’antenna, la lunghissima asta che tagliava di traverso l’albero svettante, volteggiò sulla coda spumosa che la corallina tracciava al suo passaggio e, per pochi istanti, planò a fianco della prora dove campeggiava rosso cinabro la scritta MEDUSA. Regina si protese oltre la murata e allungò una mano, desiderosa di toccare il piumaggio immacolato, ma il vocione del capobarca proruppe all’improvviso spronando la bestiola a una brusca virata.
«Secca in vista! Ammainate il polaccone!» ordinò Fortunato, scandagliando la superficie marina in cerca di scogli o banchi sabbiosi. La corallina risaliva verso nord veleggiando sottocosta; il profilo della terraferma era ridotto a una glauca foschia sulla linea dell’orizzonte, mentre tutto intorno il mare di un azzurro profondo offriva un abbraccio circolare quasi perfetto. L’aria umida di salsedine smise di sferzare i volti dei corallari. In attesa che i sette uomini si mettessero ai remi, la Medusa terminò la sua corsa con una lunga, lenta scivolata sull’acqua.
Attratta da un richiamo irresistibile, Regina camminò a piedi nudi sul ponte, assecondando il rollio dell’imbarcazione e fermandosi in equilibrio sul bompresso, la punta estrema della corallina. Vestita come un qualunque pescatore della riviera, la ragazza, con la sua figura sottile protesa sulla prua, sembrava una polena della buona sorte soffusa di turchino sbiadito. C’erano volute diciassette estati passate all’aria aperta, ossia la sua intera vita, perché il sole attecchisse sulla chioma castana e sulla carnagione, accendendo di luce le ciocche di capelli più esposte, e indorando la pelle di una sfumatura bronzea.
In verità una cercatrice di coralli in mezzo a dei corallari non si era mai vista da nessuna parte; eppure quegli uomini, i volti induriti dal sole e dalla salsedine, stettero in religiosa attesa di un suo segnale, carichi di aspettative come alla vigilia di una grande caccia. Del resto, che altro avrebbero potuto fare gli uomini della Medusa? Di corallo non se ne trovava più, i fondali erano stati depredati in larga parte da secoli e secoli di razzie. Pescare il pregiato rametto era diventato un estenuante vagare per il mare a tal punto che Regina rimaneva la loro ultima speranza.
Venturino, il corallaro più anziano della compagnia, presenza al fianco di Fortunato da oltre un ventennio, si mise a poppa, pronto a manovrare il timone.
«Istellighedda! Di chi sei figlia, Istellighedda? Del mare sei figlia, del mare!» mormorò tra sé Venturino, amico fidato che conosceva tutti i segreti di Fortunato e che Regina l’aveva tenuta in braccio quando era ancora in fasce. Venturino, che adorava Regina come fosse figlia sua e non mancava mai di chiamarla “stellina”: non gli sembrava vero che i coralli, alla sua Istellighedda, fossero entrati nel sangue fino al punto di sentirli attraverso l’acqua.
«Non avere fretta, Regina mia, abbiamo tutto il tempo del mondo» la rassicurò Fortunato, mantenendosi un passo indietro per timore di spezzare l’incantesimo che avvolgeva sua figlia.
«Non temere, babbo, li troveremo!» disse Regina animata dall’unico desiderio di aiutare il padre. Indirizzò un sorriso sbarazzino ai suoi due fratellastri, Agostino e Domenico, che stavano ai remi insieme agli altri pescatori, poi volse i grandi occhi alla sconfinata distesa cobalto che invitava a perdersi tra i flutti. Gli strilli delle berte e dei gabbiani si mischiavano al fruscio del vento che riempiva le orecchie e spingeva le onde contro lo scafo.
Io sono il mare. Il mare è in me.
Gli uomini non furono certi di aver udito bene quel soffio di parole mormorate a fior di labbra. Seppero soltanto che la figlia di Fortunato Derosas per poco non cadde, e che poi, riavutasi tutto a un tratto, tese il braccio a indicare un punto preciso avanti a loro.
«Là! Dobbiamo andare da quella parte!» dichiarò con enfasi, richiamando il padre accanto a sé perché capisse esattamente dove condurre la barca.
Per Fortunato fu come se sant’Elmo in persona gli avesse appena rivelato un mistero glorioso. Sgranò gli occhi infiammandosi tutto e ordinando agli uomini di remare verso il passaggio più rischioso della secca, lì dove le rocce risalivano in superficie come pericolosi denti di squalo. Navigarono a vista con estrema cautela, portando la feluca di dodici metri con la stessa facilità con cui si farebbe scivolare sull’acqua un osso di seppia. La linea snella e affusolata dell’imbarcazione non lasciava intendere che nella stiva fosse custodito un quintale di corallo frutto di una battuta di pesca che andava avanti da oltre un mese. Si trattava di un ben misero bottino, per la maggior parte corallo morto raccolto dal fondale, ceppi contorti di colore sbiadito, radici nodose o tarlate di nessun valore. Con tanto materiale di scarto avrebbero guadagnato poco, o addirittura niente, buttando alle ortiche settimane di faticoso lavoro.
Nulla stava andando come Fortunato aveva previsto. Alla fine della guerra lui e tanti altri corallari si convinsero che fosse solo una questione di tempo, che prima o poi l’epoca del buon corallo, quello rosso cupo di Sardegna, sarebbe tornata. Invece, la china che avevano imboccato si era rivelata ogni giorno più impervia da scalare. Pescare corallo non era più un affare redditizio, lo sapevano tutti, e solo gli stolti e gli irriducibili continuavano a dannarsi per mare in cerca di un tesoro che non era più tanto prezioso. Fu un brusco risveglio, e tuttavia necessario. Di corallo non se ne trovava quanto in passato, ma la verità era che le poche tonnellate smerciate dai piccoli corallari agli incettatori liguri, campani e siciliani, rimanevano invendute nei loro depositi. La concorrenza nipponica, con il suo bel corallo rosa pescato nelle vaste profondità dell’oceano, ormai non conosceva rivali in nessuna parte del mondo.
Inaspettatamente, le speranze di Fortunato rifiorirono come mandorli a primavera quando il governo fascista inaugurò una campagna per il grandioso rilancio della pesca di spugne e corallo. Fortunato credette così tanto nel buon esito della ripresa da compiere una follia, qualcosa di assurdo e sconsiderato, ovvero spendere gli ultimi risparmi per comprare una corallina tutta sua, una feluca dismessa da un armatore di Torre del Greco che intendeva liberarsene. Colpito dal sacro fuoco dell’ambizione, provvide in un baleno a rimetterla in sesto e a ribattezzarla Medusa, seminando un po’ dappertutto debiti su debiti. Era da tanto tempo che Fortunato ci rimuginava sopra. Nella sua memoria era rimasto indelebile il ricordo di un armatore genovese: da semplice corallaro era arrivato a diventare il proprietario milionario di un bastimento mercantile che, nel periodo in cui Fortunato era stato un giovane mozzo, si trovò a capo del commercio di corallo. Anche l’astuto genovese aveva iniziato la costruzione del proprio impero comprandosi una corallina allo scopo preciso di non dover più spartire con nessuno i guadagni faticosamente accumulati.
Si dice che la sorte premi sempre gli audaci, ma quella volta parve voltarsi dall’altra parte. In breve, lo spirito battagliero di Fortunato venne messo a dura prova dalla crisi più nera che il corallaro avesse mai visto. In passato era arrivato ad avere dieci pescatori alle sue dipendenze, adesso invece, a parte i figli, a mala pena poteva permettersene la metà, tutta brava gente con famiglia a carico e lo spettro della miseria che incombeva minaccioso. Non poteva sopportare che il mare fosse diventato a tal punto traditore e che le sue reti fossero capaci di pescare soltanto debiti e complicazioni. Non poteva credere, il corallaro, che la fortuna che sempre lo aveva accompagnato nelle sue imprese, lo avesse abbandonato. La prosperità doveva tornare, era il mare a insegnarlo. L’intrepido Fortunato Derosas, nonostante avesse il mondo contro, attendeva fiducioso un pretesto qualsiasi per sperare ancora.
Si trovava al settimo giorno della novena dedicata alla Madonna del Rosario, madre di tutti i corallari, quando Regina lo distolse dalla preghiera esigendo che le desse ascolto una volta per tutte. Erano giorni che cercava di attirare l’attenzione del padre senza riuscire nell’intento. Gli aveva ripetuto più e più volte che era in grado di aiutarlo, che sapeva lei dove trovare i coralli, ma Fortunato, preso com’era dai propri guai, fu impermeabile alle parole della figlia. Finché Regina non decise di fare da sé e una domenica, dopo essere uscita di buon’ora da casa, fece ritorno stringendo tra le mani un meraviglioso ramo di corallo di un rosso vivo, un’arborescenza completa in ogni sua ramificazione.
«Corallo, babbo! Posso aiutarti, fidati di me.»
“Fidati di me”: quella fu l’unica risposta che Regina diede alle numerose domande che Fortunato le pose quando si accese d’interesse. E Fortunato si fidò poiché sapeva che la figlia non amava sprecare le parole, né farsi beffe del prossimo.
La vita di un corallaro era dura e pericolosa, Fortunato non desiderava che la sua bambina corresse dei rischi. Fu per tale motivo che si diede un mese di tempo per spezzare la malasorte che sembrava aver colpito la Medusa e, da buon padre di famiglia, riportare la prosperità nella propria casa. Ma nonostante gli sforzi, così non avvenne e alla fine si convinse a condurre Regina con sé. Era la decisione giusta, si disse, mentre sentiva il cuore agitarsi in petto mosso da un sentimento di inesplicabile preludio. Ancora lo ripeté a se stesso, ebbro di rinnovata fiducia, quando quella mattina d’estate vide Regina puntare l’indice dritto come l’ago di una bussola verso il Nord dell’agognata riscossa.
Sua figlia invitò a muovere la corallina lentamente, mentre, china sulla prua, affondava gli occhi nel blu cupo del mare. A un certo punto fece segno di fermarsi.
«Babbo, è qui sotto!» esclamò, come se le sue pupille riuscissero a penetrare la superficie marina e raggiungere abissi che a nessun altro era dato scandagliare.
«Facciamo salpare l’ingegno!» ordinò Fortunato, serio al pari di un capitano di una baleniera votato anima e corpo all’inseguimento del capodoglio.
Quattro marinai, compresi i figli del capobarca, si prepararono a calare in acqua una grossa croce di legno con i bracci uguali e lunghi drappi di vecchie reti di canapa fissati alle quattro estremità. Quella sorta di croce di Sant’Andrea era l’unico mezzo che da sempre consentiva ai pescatori di raggiungere i fondali marini e sradicare i rami di corallo dai loro appigli rocciosi. Blocchi di pietra legati ai legni assicuravano che la croce andasse a fondo così da poter essere trascinata e permettere alle reti fluttuanti di catturare il tesoro rosso sangue. Poco prima che l’ingegno sparisse sott’acqua, Venturino fece scivolare due monete tra le maglie delle reti per ingraziarsi lo spirito del mare. Tutti si fecero il segno della croce, mentre Fortunato dava ordine di sbloccare l’argano e procedere con l’affondamento dell’imponente croce.
«Sessanta metri, più o meno» informò Agostino appena l’attrezzo toccò il fondale. A quel punto Fortunato si sedette tra la murata e l’argano, facendo passare sulla coscia protetta da una gambiera di cuoio la fune che collegava l’ingegno alla feluca. Ora dipendeva completamente dal capobarca decifrare attraverso gli strattoni e i tentennamenti della corda l’avvenuto incontro tra le reti e il corallo. Tacquero tutti, mentre facevano andare i remi, gli occhi attenti al volto di Fortunato, a ogni suo corrucciamento o palpito di ciglia.
Fare il corallaro era un mestiere che consumava l’animo con interminabili attese e disillusioni, e martoriava il fisico, affliggendolo con il freddo, l’umidità portata dal mare e i ripetuti sforzi che più di ogni altra cosa impegnavano le mani e le braccia. Regina non poté reprimere un gemito di compassione alla vista del padre che piegava le dita come fossero radici sul punto di spezzarsi. La sua forza era diminuita, la presa non era più ferrea come una volta; sembrava che con il corallo fosse svanito anche il vigore di Fortunato, come se quel rametto scarlatto, simbolo del suo stesso sangue, avesse spento ogni ardore di vita decretando una vecchiaia che non corrispondeva all’età. La croce che avevano calato in fondo al mare, in realtà, era la croce che Fortunato portava sulle spalle, notte e giorno, in una perenne angustia dello spirito. Tuttavia, il corallaro era ben lontano dall’arrendersi. Fu questa certezza a tramutare la compassione di Regina in un sentimento di fulgida ammirazione filiale. Posò una mano su quelle del padre e, occhi negli occhi, scambiò con lui un cenno d’intesa.
La pesca del corallo ebbe inizio. Posto a prua, con la sua vista da falco Domenico indicò a Venturino le acque sicure verso cui indirizzare la barca, intanto che la Medusa andava e andava trascinando l’ingegno mietitore sul fondale marino. All’ennesimo colpo di remi, Fortunato impose che proseguissero ancora per un tratto, che rallentassero poco dopo e subito dessero nuova propulsione all’andamento dell’imbarcazione. Il capobarca, assorto nel proprio compito di scandagliamento, si illuminò di speranza quando avvertì il primo strattone, seguito da una miriade di altri piccoli strappi.
«Ci siamo… Fermate la barca!» disse, togliendosi il berretto per asciugarsi una goccia di sudore.
A quell’ordine, i remi si sollevarono in aria e all’unisono affondarono, procedendo in senso contrario per riuscire a frenare la corsa della feluca.
«Andate piano di argano, cerchiamo di perderne il meno possibile.»
Consapevoli per esperienza che parte del corallo catturato nelle reti si perdeva durante la manovra di ripescaggio dell’ingegno, i quattro corallari azionarono l’argano a mano con estrema cautela. Fu una procedura lunga che tenne tutti col fiato sospeso. A un certo punto si udì il tonfo di un corpo che cadeva nell’acqua.
«Il mare l’ha presa! Bisogna salvarla!» gridarono i pescatori sbiancati alla vista di Regina che come un piombo filava verso il basso sparendo nella tetra oscurità marina. Si scatenò il panico a bordo; l’argano si fermò e qualcuno fu pronto a legarsi una fune in vita e buttarsi al seguito della ragazza in pericolo. Persino Agostino e Domenico cedettero alla paura già immaginandosi al funerale della sorellastra, ma Venturino non fu affatto spaventato per la sua Regina, e nemmeno suo padre Fortunato.
«Istellighedda, quanto sei impaziente!» esclamò divertito il vecchio pescatore, levandosi la zazzera bianca dagli occhi con uno sbuffo. Il capobarca ordinò che stessero tutti calmi e riprendessero le manovre di recupero dell’ingegno. Era sua figlia, possibile che Fortunato Derosas non temesse per la sua vita? Che fosse pazzo o invasato, nessuno ebbe il coraggio di opporsi.
Sotto la superficie del mare, le voci degli uomini riecheggiavano come un brusio lontano secoli. Appena Regina si tuffò, incapace di resistere oltre allo stillicidio del delicato recupero, il filo che la collegava alla terraferma si spezzò e tutto si fece soffuso, leggero e piacevole come in un bel sogno. Non c’era più il senso di gravità che la teneva inchiodata alla propria esistenza, bensì la familiarità di un abbraccio che infondeva serenità e completezza. Regina si sentì libera, non aveva bisogno di nulla. Che importava se di aria in petto non ce n’era più? Solo il corallo contava, quello che vedeva aggrappato alle reti dell’ingegno come un piccolo giardino della fantasia. Sprofondata parecchi metri sott’acqua, liberò il ramo più bello e, tenendolo stretto, risalì dai compagni nuotando sinuosa, simile a una creatura del mare. Annunciata da un leggero ribollire, la ragazza emerse sventolando il corallo come un trofeo.
«Corallo! Corallo!» urlò ai corallari che la fissavano quasi fosse una di quelle bestie misteriose dagli occhi grandi che abitavano la grotta di Nettuno.
«Corallo!» le fece eco Domenico sporgendosi a tribordo incredulo, e subito l’argano aumentò la velocità dei giri, finché, pochi istanti dopo, l’ingegno fu sollevato fuori dal mare con una scrosciante cascata d’acqua. I coralli brillarono al sole e i pescatori esultarono di gioia. Avevano trovato un banco di prima scelta, il migliore che avessero mai pescato, non era opportuno soffermarsi a pensare come vi erano arrivati. Le loro menti semplici abituate al lavoro e alla fatica non avevano bisogno di prendere certe vie tortuose e complicate. A loro bastava sapere soltanto che Regina era la loro cercatrice di corallo.
«Sai, babbo, ho sentito raccontare che quelli di Torre del Greco usano un pupazzo spiritato per trovare i coralli. Per questo gli affari vanno sempre bene, a quelli!» disse Agostino, il figlio ventenne di Fortunato, una volta che Regina fu issata a bordo tra le risate di giubilo dei pescatori.
«Quelli hanno i loro mezzi, e noialtri abbiamo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La cercatrice di corallo
  4. Prologo
  5. PARTE PRIMA
  6. PARTE SECONDA
  7. PARTE TERZA
  8. Nota storica dell’Autrice
  9. Ringraziamenti