IL PARCHEGGIO DEL VECCHIO STOP & SHOP SACCHEGGIATO
Le enormi vetrate dello Stop & Shop sono rotte da un paio d’anni, quando la gente ha saccheggiato il negozio durante una sommossa dettata dalla fame. Lo Stop & Shop non si è mai dato la pena di riaprire la filiale. Gli scaffali sono rimasti lì nel buio, ma è tutto ricoperto di graffiti. Gli altri negozi del centro commerciale sono vuoti. Lo dipingo al mattino presto, quando il ghiaccio nel parcheggio è di un blu elettrico e su nel cielo le vele di conversione ardono di un rosso intenso. Le ombre sono fitte e affilate. Cerco di cogliere i riflessi sul vetro infranto. È difficile perché le schegge sono piccole e lontane.
Quando glielo racconto nel corridoio, Mr Reilly mi dice che sembra davvero un bel progetto; mi chiede di incontrarci dopo la scuola e di portare il mio portfolio completo. Ha una sorpresa per me. E io non sto nella pelle.
La giornata di scuola sembra stirarsi all’infinito, soprattutto perché le ultime due lezioni sono tenute dalla tecnologia vuuv, che si limita a mostrarci roba che fluttua nell’aria e ci sgrida se facciamo gli idioti.
Quando entro nell’aula di arte, Mr Reilly sembra molto nervoso. Farfuglia un saluto. Non riesco a capire quale sia il problema, finché non faccio il giro del tavolo e vedo un vuuv accanto alle sue ginocchia.
«Ti presento Shirley» dice Mr Reilly. «È… appassionato di arte umana.»
Guardo il vuuv a bocca aperta. Cerco di farmi venire in mente qualcosa da dire. Immagino che sia meglio mettere in funzione il fascino. «Lei sembra fertile, come se potesse produrre molti virgulti.»
Si vede che Shirley ne è lusingato. Annuncia: «Già sei!». Dal suo corpo tozzo penzolano palette che hanno l’odore di ognuno dei suoi piccoli. Noi non riusciamo ad avvertirne la differenza, ma è una questione d’orgoglio per i vuuv. Shirley fa sbatacchiare le palette.
«Ho visto qualche tua opera» dice. «Che emozione vedere che usi vera pittura.»
Cerco di sorridergli. Non so se possa riconoscere un sorriso. Alcuni di loro sanno il significato delle espressioni facciali, altri no.
«Adoro la razza umana. Siete molto più spirituali di noi. Noi abbiamo smarrito la strada, sai, con tutta questa mercificazione.» Muove certi monconi, un gesto che deve avere un qualche significato. «Per questo siamo così entusiasti di questo concorso, Adam Costello. Alcune splendide opere di giovani umani saranno esportate tra le stelle.»
Aspetta che io dica qualcosa. «Ehm, grazie» faccio. «Anch’io sono entusiasta.»
«Hai già passato la prima selezione. È meraviglioso. Sono qui per prendere i tuoi ultimi lavori. Nelle prossime settimane la giuria valuterà l’opera di circa mille artisti adolescenti americani. Verranno scelti due fortunati virgulti per ogni Stato dell’unione americana da presentare durante un evento di gala in marzo.»
«Oh, wow.»
«La serata di gala si terrà in orbita. È un evento elegante. E quella sera annunceremo chi sarà l’artista vincitore tra i virgulti adolescenti americani.»
«Fantastico.»
«Infatti.» Il vuuv alza un arto e sfoglia le mie immagini dipinte di castelli, montagne e città murate. «Adesso, Adam, dimmi: perché paesaggi, quando tradizionalmente gli umani dipingono la frutta?»
Obietto che noi umani ogni tanto dipingevamo anche i paesaggi e che dipingo il mondo in cui vorrei vivere: un mondo di avventure ma anche di antica bellezza. Qualcosa del genere.
«Ma non sono posti reali» replica Shirley.
«No» ammetto. «Ma ho questi, che ritraggono posti reali qui in città.» Richiamo le immagini dei miei altri dipinti. Mr Reilly annuisce, rivolto a me, e incrocia le dita.
Shirley scorre i miei dipinti delle vele di conversione, dell’impianto di scarico, l’Heather’s Bucket of Broth, la mia casa in ogni stagione.
«Ma perché questa tristezza?» chiede. «Non vuoi dare un’immagine positiva del tuo mondo al resto dell’universo? Credi davvero che le altre specie abbiano voglia di vedere questo, quando guardano l’opera di un giovane artista umano? Non vogliono vedere la tecnologia vuuv. I membri dell’Alleanza Interspecie per la Coprosperità possono vederla ovunque, su qualunque pianeta. Ma vogliono la Terra com’era prima che arrivassimo. Vogliono vedere che cosa la rende speciale.» Aspetta una mia risposta.
Dato che non dico niente, torna a guardare i dipinti di fantasia. «Questi sono molto più belli» dice Shirley. «Danno l’idea della storia della Terra. Guarda le tue fortificazioni. Ammiro particolarmente il modo paradossale in cui catturano la durezza dell’età barbarica del vostro mondo con consumata eleganza. Mostrano la particolarità dell’immaginazione umana. Permettimi di prendere questi per la selezione.»
Dopo le parole di Shirley – anche se è un elogio del mio lavoro – non mi sento propriamente orgoglioso. Devo ammettere che vorrei preferisse quelli realistici. Avrei voluto che prendesse quelli.
Shirley insiste: «Nessuno su un altro pianeta vorrà appendere l’immagine di un impianto di scarico vuuv alla parete della sua sala di abbuffo o della sua buca di dormienza. Vogliono guardare vedute belle e strane di un remoto mondo esotico dove potrebbero trascorrere qualche giorno o settimana in vacanza, a seconda delle loro disponibilità lavorative e del dislocamento temporale del salto gravitazionale».
Sono sconvolto. Vorrei dirgli di prendere gli altri, di assaggiare e ingoiare la verità.
«Tocca a te decidere, Adam» dice Mr Reilly.
La mia famiglia ha bisogno di quei soldi. Ci cambierebbero per sempre la vita. Ma quando do un’occhiata ai miei dipinti di fantasia, non sembrano più posti in cui vorrei trovarmi. O forse sono ciò che desidero, però io sono in questo mondo, circondato dalle città in rovina e dalla vernice che si spella e dal bagliore delle vele di conversione di notte e dallo Stop & Shop saccheggiato nella prima luce del mattino. È il posto in cui mi trovo nella realtà. Quello in cui è bloccata la mia famiglia. Ed è questo che devo affrontare. Senza tirarmi indietro.
Perciò ecco. Ho deciso.
«Okay» dico con mansuetudine. «Prenda i castelli e le città murate.»
Shirley è chiaramente soddisfatto. «Splendido» dice. «Credo che con queste immagini hai ottime possibilità di vincere, Adam Costello. David Reilly, raccogli le tele fisiche e mandale alla giuria. Adam Costello, tra un mese ti faremo sapere per questa seconda selezione. Con un po’ di fortuna la prossima volta ci vedremo in orbita, alla serata di gala in cui sarà annunciato il vincitore!»
«Grazie» dico, cupo, come se fossi appena stato destinato ai lavori forzati.
Li saluto entrambi mugugnando ed esco dalla stanza. Mr Reilly mi grida di portargli i dipinti dove fa il portiere. Può spedirli da lì; la posta è più veloce dai condomini aerei. Il minibus, così i ricchi chiamano la navetta, va su alle sette, e posso lasciargli lì i pezzi a quell’ora.
Per tornare a casa cammino sui marciapiedi crepati, pensando a ciò che ho fatto. Apro la porta d’ingresso e lì – non poteva che essere così – c’è Chloe che sta scendendo in camera sua con Buddy Gui. Mi fissano e non salutano nemmeno. Una volta scomparsi, sento il fracasso dell’oloshow poliziesco che stanno guardando, oppure hanno messo il volume molto alto per non far sentire che stanno scopando.
Mi butto sul divano. Non mi va di fare niente. I dialoghi dello show vibrano attraverso il pavimento. «Non sto dicendo “No”, sto dicendo “MANCO MORTO”. Sto dicendo: “MANCO MORTO, PEZZO DI CONTADINO!”.»
Al pensiero di lei tra le braccia di Gui mi si strizza lo stomaco, non posso sopportarlo.
Dopo un po’ arriva a casa Nattie: mentre entra canticchia le sue canzoni pop preferite facendo schioccare la lingua sul palato. La mamma la segue a ruota.
«Ehi, tesoro. Com’è andata la giornata?» chiede.
Scrollo appena una spalla. Lei mi racconta la sua. Si è presentata per un posto da cassiera in un minimarket. «Un sacco di candidati» dice. «C’è forse un trenta/settanta per cento di possibilità. Non per colpa mia o delle mie qualifiche. Ho lavorato in banca. Posso fare un lavoro del genere senza problemi. La questione è quanta gente si presenta.»
Nattie continua a schioccare la lingua a ritmo, saltellando su e giù dal poggiapiedi con le ginocchia. Atterra in piedi con le braccia allargate e protesta: «I Marsh mettono l’olo troppo altro. Mi sembra di avere i poliziotti dentro la testa».
«Ho una buona notizia» dico, sentendomi come se avessi già perso. «Ho passato la prima selezione del concorso di arte.»
Nattie e la mamma sono felicissime. Vanno avanti a parlarne per un bel po’.
Poi Nattie dice: «Anch’io ho una buona notizia! Ho un ragazzo. Si chiama Michael. Faremo come voi».
Sono interdetto. «Vuoi dire stare insieme a qualcuno che ti trova patetico e ti lascia per un tizio che fa arte con la motosega?»
«No!» replica Nattie. «Ci proporremo ai vuuv per una relazione anni Cinquanta.»
Scatto in piedi. «Non se ne parla! No! No, no, no, Nattie! No. Non lo farai.»
«Michael è d’accordissimo. Impareremo tutti quegli strani termini degli anni Cinquanta come voi.»
«Hai dodici anni. Dodici. Hai visto cos’è successo a me e Choe. Siamo fregati. Ed era una cosa morbosa.»
«Abbiamo bisogno di soldi per la famiglia!»
«No!»
«No» concorda mia madre. «Venderemo la macchina o la casa prima che tu debba farlo. È stato un grosso errore per Adam…»
«Grazie.»
«E sarebbe anche peggio per te.»
«Voglio dare il mio contributo!» insiste Nattie. «Non facciamo altro che lamentarci e mangiare ramen! Mamma, hai detto che dovevamo essere proattivi.»
«Non parlavo di questo. No.»
«D’accordo» dice Nattie. «Dirò a Michael: “Mi spiace, mio principe azzurro”.»
«Bene» conclude mia madre.
Ma a me non basta. «Stai tramando qualcosa, eh? Pensi di farlo di nascosto. Lo vedo.»
Nattie sembra intimidita.
Continuo agitando il dito: «Stai pensando di farlo lo stesso e poi un giorno, sorpresa! Porti a casa i soldi così compriamo da mangiare e festeggiamo tutti e tu fai la parte di Cindy Chi Lou che taglia il tacchino. Be’, no. No, Nattie».
Ha ancora una faccia troppo furba per i miei gusti.
Dico: «Ti legherò al portasciugamani per le prossime due settimane, se devo. Ti porteremo lì la zuppa d’avena e i compiti».
«Ascolta tuo fratello» dice la mamma. «Ti voglio bene come fossi una mia gamba, ma questa è un’idea davvero stupida.»
E ti spezza il cuore, penso tra me e me più tardi, mentre passo in rassegna i dipinti. Perché le cose devono essere così?
Raccolgo una cartellina di schizzi e una pila di cinque dipinti e li impacchetto. Avvolgo lo scotch da pacchi intorno alla scatola per chiuderla e creare una maniglia. Poi vado alla piattaforma della navetta per i lavoratori che devono salire alle case sospese.
Il minibus ci mette una ventina di minuti a lasciarmi dove lavora Mr Reilly. Per tutto il tempo penso a cosa faremo io, mia madre e Nattie, e mi viene il panico al pensiero che Nattie abbia anche solo pensato all’aggancio anni Cinquanta. È terribile. Stranamente mi vergogno per la mia famiglia. Non è colpa nostra se non abbiamo lavoro né soldi, lo so, eppure sono imbarazzato.
Entro usando l’ingresso di servizio, trascinandomi la scatola di dipinti. Mr Reilly sembra stanco quando lo vedo. È un po’ afflosciato nella divisa, ingobbito dietro il bancone.
«Ehi, Mr Reilly. Come va?»
Lui ruota la testa. «Giornata lunga. È dura venire qui subito dopo la scuola.»
«Già» dico. «Immagino. Allora, ho portato…»
Una...