Strutturare un discorso
È stato proprio in occasione di questo primo concorso di eloquenza che mi sono reso conto dell’importanza che riveste nella vita essere in grado di strutturare correttamente un discorso.
Anche se improvvisato, un discorso non può in alcun modo essere un semplice vagabondaggio senza meta durante il quale l’oratore si lascia trasportare in balia dell’ispirazione.
Strutturare al meglio la propria tesi è fondamentale per non perdere il pubblico: occorre prenderlo per mano e accompagnarlo, passo dopo passo, dove si desidera.
Da quando Greci e Romani, nell’antichità, hanno teorizzato questa struttura, interi trattati sono stati dedicati all’argomento.
In queste pagine ho deciso di riassumere e semplificare per andare al nocciolo della questione: le cinque fasi del discorso.
Exordium
L’esordio ha un duplice scopo: suscitare l’attenzione, se non la curiosità, del pubblico, e attirare verso l’oratore sentimenti di benevolenza ed empatia. Non a caso, gli antichi definivano questa fase: captatio benevolentiae.
L’exordium si avvale dell’ispirazione e del talento. Come dice Paul Valéry: «Gli dei, graziosamente, ci donano gratis il primo verso; ma tocca a noi modellare il secondo».
Schematicamente, l’esordio può assumere tre forme.
La prima è l’omaggio. Si tratta, per l’oratore, di manifestare la sua gratitudine nei confronti di chi lo ha invitato a prendere la parola, nonché di esprimere la gioia che prova nel rivolgersi al suo pubblico. È una forma di adulazione, non c’è dubbio, che però è classica ed efficace. Si può dire: «Vi ringrazio per avermi invitato a condividere con voi il mio interesse per...», oppure, «Sono felicissimo ed estremamente onorato di potermi rivolgere alla vostra prestigiosa assemblea».
La seconda consiste nel sottolineare il tema centrale del discorso. L’attenzione del pubblico si focalizzerà sull’importanza di ciò che avete da dire. Anche in questo caso ci sono varie formule: «Vorrei farvi una confidenza», «Ciò che sto per rivelarvi è assolutamente inedito», «L’ora è grave».
Le due opzioni si ritrovano entrambe, per esempio, nelle prime parole del famoso appello dell’abbé Pierre, nell’inverno del 1954, il cui scopo era di esortare la popolazione a fornire soccorso ai senzatetto.
Su RTL, quel giorno, l’abbé Pierre comincia il suo intervento con: «Amici, aiuto!». La scelta del primo termine è un modo per creare una vicinanza, un’intimità con il pubblico, per iniziare facendo appello al sentimento. La parola «aiuto», invece, è una drammatizzazione particolarmente efficace del tema.
C’è una terza forma per dare abbrivio a un discorso, forse più artificiosa, ma che furoreggia nei concorsi di eloquenza: l’esordio con sorpresa. Si tratta di dedicare le prime parole a delle considerazioni che, a prima vista, non hanno niente a che spartire con il tema che l’oratore dovrebbe trattare. Il pubblico rimane inevitabilmente sbalordito e, quindi, tende l’orecchio. A quel punto, chi ascolta si accorgerà che ciò che sembrava lontanissimo dall’argomento in realtà è pertinente.
Ecco un esempio. Un candidato al concorso della Conferenza del Foro di Parigi (esame di eloquenza di cui parlerò più avanti) deve rispondere alla domanda: «Il piacere è esclusivamente solitario?». L’oratore inizia il discorso descrivendo un’orgia erotica a cui partecipano diverse persone, tutte ammucchiate, tratteggiate nei dettagli (un uomo grasso e barbuto, un giovane efebo, una donna elegante). L’uditorio è sbalordito da questo quadretto a prima vista molto sconveniente, finché non si accorge che i personaggi evocati dall’oratore sono in realtà quelli che compaiono sulle carte da gioco e che il mucchio descritto è quello formato dalla pila di carte nel cosiddetto «solitario». In un attimo, ciò che sembrava volgare è diventato pertinente, buffo e brillante, catturando l’attenzione del pubblico per tutto il resto dell’eloquio.
Al termine dell’esordio è molto importante, qualunque sia il tipo di discorso, enunciare la propria tesi. Non serve mantenere una finta suspense. Spiegate subito qual è l’idea generale che sosterrete, affinché il pubblico sappia immediatamente dove volete andare a parare.
Davanti a una corte, nella fase di esordio, si può usare questa formula: «(drammatizzazione del tema) Signor presidente, è stata chiesta per il mio cliente una pena pesantissima, severissima. (annuncio della tesi) Vi dico subito che tali richieste non corrispondono in alcun modo alla realtà del caso, e intendo dimostrare che il mio cliente è innocente».
Narratio
Le fasi del discorso, nell’antichità, sono state teorizzate da avvocati. Per un legale è indispensabile raccontare fin dall’inizio della sua arringa la vicenda che si è svolta e che ha condotto le parti davanti al tribunale: da qui l’importanza dell’esposizione (narratio).
Oggi assistiamo a una rinascita dell’esposizione nei discorsi, soprattutto in quelli politici. È il cosiddetto «storytelling». Barack Obama, per esempio, padroneggia questa pratica alla perfezione. Nel suo discorso della vittoria, il 4 novembre 2008, narra la storia degli Stati Uniti attraverso la vicenda di una centenaria che ha conosciuto la schiavitù e l’esclusione delle donne dal diritto di voto. La narrazione è uno strumento molto efficace, poiché permette di dare forma concreta a un’idea astratta. Si tratta di un ragionamento per induzione, che parte da un resoconto individuale per trarne conclusioni generali.
Argumentatio
L’argomentazione è una fase essenziale, quella in cui si enunciano le prove a favore della propria tesi: «Ecco perché ho ragione...».
Ritornerò sui vari tipi di argomenti, ma al momento vorrei insistere su tre aspetti importanti di questa fase.
Innanzitutto, l’organizzazione.
È meglio mettere i temi più forti all’inizio e alla fine della dimostrazione. Se cominciate con degli argomenti deboli, il pubblico non vi seguirà subito e farete fatica a «recuperarlo». Viceversa, se terminate con delle prove traballanti, l’ultima impressione sarà negativa e non sarete riusciti a convincere. Inserite quindi gli anelli più deboli della vostra tesi nel mezzo. È il cosiddetto ordine «nestoriano», dal re Nestore, eroe della guerra di Troia, che organizzava il suo esercito disponendo le truppe più forti in prima linea e sulle retrovie, e i soldati più fragili al centro.
Una volta stabilito l’ordine, mi sembra essenziale definire gli argomenti. Un argomento può essere economico, sociologico, ecologico, religioso. È importante dirlo subito. Per esempio: «Sono favorevole al ripristino del servizio di leva obbligatorio per tre motivi: il primo politico (può essere uno sprone alla multiculturalità sotto il vessillo comune della cittadinanza), il secondo economico (il servizio di leva può dare ai giovani una formazione che sarà utile per trovare un impiego) e il terzo militare (può sensibilizzare nella difesa della nazione)».
Per finire, è fondamentale che l’argomentazione sia formulata in modo cristallino: bisogna anticipare bene lo sviluppo del proprio discorso e predisporre con cura le indicazioni. Il pubblico dev’essere accompagnato, un passo dopo l’altro, il che autorizza una certa ridondanza che risulterebbe intollerabile nello scritto: «Mi sembra che si possano addurre tre argomenti principali a favore di questa tesi. Prima di tutto affronterò...».
Occorre prevedere delle fasi di transizione: «Ci tornerò in un secondo momento». Il pubblico in questo modo può avere un’idea della durata, sapere a che punto dell’esposizione si è arrivati. È anche opportuno disseminare delle conclusioni parziali all’interno del discorso: «Vi ho spiegato in un primo tempo che... ora passerò alla seconda fase del mio intervento, ovvero dimostrarvi che...», «È la seconda questione che volevo affrontare con voi».
Queste formule cadenzano il discorso e rafforzano la fiducia nel pubblico, che si sente al sicuro.
Refutatio
Non basta dimostrare di avere ragione: occorre anche dimostrare che l’avversario ha torto! La pratica della confutazione è un po’ schizofrenica, poiché presuppone la capacità di entrare nella mente del «nemico» per immaginare di quali argomenti si servirà e confutarli. Però è fondamentale. La forma è semplicissima: «I miei avversari vi diranno che... Ma è un argomento che non regge, perché...». Per esempio: «I sostenitori del ritorno alla divisa a scuola pensano che tale misura abolirebbe le disuguaglianze tra allievi. Ma è vano pensare che le disparità consistano solo nell’abbigliamento quando, in realtà, sono dovute perlopiù alle differenze d’investimento educativo delle famiglie, che non vengono certo eliminate dall’uniforme scolastica».
Peroratio
La fine del discorso si chiama perorazione.
Come l’esordio, ha un duplice scopo: innanzitutto riassumere la tesi e sottolinearne per l’ultima volta la fondatezza, poi chiudere il discorso in maniera tale che l’uditorio non possa avere il minimo dubbio sul fatto che sia concluso. Lo stesso avviene alla fine di un pezzo musicale: grazie alle armonie usate dal compositore, si sa istintivamente che è terminato, le ultime note, soavi o tonanti che siano, sono percepite come finali.
Se la perorazione è riuscita, gli applausi (o l’intervento dell’oratore successivo) saranno l’esito spontaneo del successo. Ma bisogna a tutti costi evitare un tono che lasci pensare che il discorso non sia del tutto concluso, costringendo l’oratore a pronunciare frasi del tipo «Ecco fatto», oppure, «E con questo è tutto», dall’effetto davvero pessimo.
Per scantonare questa insidia, tenete a mente che ci sono – sempre molto schematicamente – due tipi di perorazione.
Verso l’alto
Il ritmo è incalzante e si rafforza l’intensità della voce. È la perorazione del tipo «Viva la Repubblica!».
Verso il basso
Viceversa, si abbassa il tono e si rallenta il ritmo. Si staccano le parole e le ultime sillabe sono calcate e ben scandite.
Una delle migliori perorazioni è costituita, a mio parere, dal discorso pronunciato da André Malraux in occasione del trasferimento delle ceneri di Jean Moulin nel Pantheon, il 19 dicembre 1964. Tramite la particolarissima voce, forte e nasale, di André Malraux, essa suscita in me una forte emozione ogni volta che l’ascolto.
«L’omaggio odierno evoca il canto che ora si leverà, quel Canto dei partigiani che ho sentito mormorare come un inno di complicità, poi salmodiare nella nebbia dei Vosgi e nelle foreste dell’Alsazia, insieme ai versi sperduti delle pecore dei tabor [reparti di soldati marocchini, N.d.T.], quando i bazooka di Corrèze andavano incontro ai carri di Rundstedt di nuovo lanciati contro Strasburgo. Ascolta oggi, gioventù di Francia, ciò che per noi fu il Canto della Sventura. Questa è la marcia funebre delle ceneri. Accanto a quelle di Carnot, con i soldati dell’Anno Secondo, a quelle di Victor Hugo, con i Miserabili, a quelle di Jaurès, vegliate dalla Giustizia, che esse riposino con il loro lungo corteo di ombre sfigurate. Oggi, gioventù, possa tu pensare a quest’uomo come se avessi avvicinato le mani al suo povero volto informe delle ultime ore, alle sue labbra che non avevano parlato: quel giorno, il suo era il volto della Francia...»
Questa fantastica perorazione dura da tre a quattro minuti, con il Canto dei partigiani che si leva in sottofondo e il vento invernale che quasi si porta via la voce di André Malraux... è uno dei più indimenticabili discorsi della Repubblica.
Esercizio:
Il mini discorso
Per assimilare bene quanto vi ho spiegato, cercate di strutturare un brevissimo discorso composto da due frasi di esordio, due di esposizione, due di argomentazione, due di confutazione e due di perorazione.
Esempio: «(esordio) Vorrei rendervi partecipi di un’idea che mi sembra importante affinché la scuola svolga meglio il suo ruolo, a favore dei nostri figli. (esposizione della tesi) Credo che si debbano eliminare i voti nella scuola primaria. (narrazione) Quanti bambini, infatti, tornano a casa traumatizzati perché hanno preso un brutto voto? Quanti si scoraggiano e vanno sempre peggio? (argomentazione) Credo che i voti siano inutili e artificiosi. Servono solo a stigmatizzare i più deboli e non permettono di valorizzare i progressi degli alunni. (confutazione) Non metto in dubbio che sia importante per gli allievi ricevere una valutazione. Ma è possibile farlo senza che l’acquisizione delle competenze abbia una forma numerica, che può rivelarsi traumatizzante. (perorazione) Poniamo quindi fine a questa classificazione, teniamo i nostri bambini al riparo dalla competizione a cui, fin troppo presto, dovranno sottostare. Ne va del loro equilibrio».
Da tenere a mente
1.Preparare con cura l’esordio. (inizio)
2.Raccontare una storia.
3.Enunciare gli argomenti a favore.
4.Confutare le tesi contrarie.
5.Condurre bene la perorazione. (fine)
La parola è una festa!
Ho passato cinque giorni a preparare il mio discorso. Cinque giorni di dubbi, cancellazioni, fogli accartocciati e poi recuperati. Ma alla fine, nella sontuosa biblioteca degli avvocati del palazzo di giustizia...