
- 224 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Fiaba bianca
Informazioni su questo libro
C'è un nonno che ogni giorno va a prendere a scuola la sua nipotina. La tiene per mano e l'accompagna a casa raccontandole storielle divertenti. Niente di strano, se non che il nonno Stucco è morto ormai da tempo e la piccola Bianca è l'unica a vederlo. Comincia così una storia d'infanzia e di vecchiaia, d'amore e di paura, di abitudine e di stupore. Antonio Moresco, autore dei Canti del caos e La lucina, sa cosa vuol dire crescere in un cono d'ombra, in compagnia di un mostro spietato: la solitudine di fronte al male, un orco che ci divora quando non siamo più in grado di essere bambini. Aiutato dal segno evocativo di Nina Bunjevac, Moresco ha creato una fiaba che emozionerà i lettori più giovani e toglierà il sonno agli adulti.
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Informazioni
Editore
RIZZOLI LIZARDAnno
2018Print ISBN
9788817101905eBook ISBN
97888586932091
“Allora non sei morto?”
Così mi assale un giorno la mia nipotina Bianca, appena entrato dalla porta di casa dopo un lungo viaggio.
“Come… non sono morto?”
“Ma sì, chi ti vede più! Non ci sei mai, sei sempre via!”
È in piedi di fronte a me, con i pugni sui fianchi. Indossa una maglietta gialla con il disegno di un angioletto con l’aureola e un diavoletto con le corna e, sotto, una scritta che dice che lei è un po’ angioletto e un po’ diavoletto.
Lascio cadere a terra la mia tracolla.
“Be’… sai… certe volte devo stare da solo… certe altre devo andare via per il mio lavoro…” balbetto.
“Ah, sì, perché scrivi quelle schifezze di libri e poi, oltre tutto, devi anche andare in giro a presentarli! Ti vedo uno o due giorni ogni tanto, ti sento al telefono: ‘Ah, ciao Bianca, ciao bellissima, ciao amore… Mi passi la nonna?’. Certe volte penso persino che tu sia morto e non me lo vogliano dire, che si inventino quelle storie che stai camminando chissà dove sulle montagne e nelle foreste, in mezzo ai lupi, agli orsi, alle mine, che stai volando da qualche parte con l’aereo, che sei a Parigi, a Praga, a Berlino… Non possiamo mai finire le gare di canto dei dinosauri, le gare di danza dei maiali, le gare di rutti delle Barbie…”
Rimango muto, immobile, come un salame.
Ma non ha ancora finito.
“E poi alla mamma Maria hai scritto un libro di fiabe, quando era piccola. E a me invece niente!”
Bianca è una bambina incantevole, ma quando si infuria…
“Accidenti, bisognerà rimediare!” butto lì, su due piedi, ancora impalato vicino alla porta.
E allora mi viene in mente questa fiaba:
2
Il nonno Stucco voleva così bene alla sua nipotina Bianca che, anche se era morto, andava tutti i giorni a prenderla a scuola…
“Ma è impossibile!” mi interrompe Bianca.
“Perché?”
“Come fa ad andare a prenderla a scuola, se è morto?”
“Cosa ne sai tu di quello che è impossibile e di quello che è possibile?”
Si gratta la testa, corruga la fronte.
“E poi… chi ti dice che non sia morto anch’io?” butto lì.
“Che cavolo stai dicendo?”
“Ma sì, non l’hai detto anche tu che certe volte ti viene il sospetto che io sia morto e che ti stia telefonando dalla città dei morti?”

“Sì, certe volte lo penso…” ammette lei, “anche se la voce è la stessa, il tuo modo di parlare, i tuoi scherzi… Come se mi stessi telefonando da là per farmi stare tranquilla, ma in realtà fossi morto…”
“E chi ti dice che non sia davvero così?”
Mi guarda storto.
“Che cosa credi…” continuo, “si può telefonare anche dalla città dei morti a quella dei vivi. Nelle strade di quella città c’è tutto un viavai di persone che gesticolano con i cellulari attaccati alle orecchie, mentre telefonano alle nipotine, alle signorine…”
“E tu come fai a saperlo?”
“Be’… perché ci abito, l’hai detto anche tu!”
“E quando saresti morto?” sghignazza.
“Come… non ti ricordi?”
Rovescia gli occhi.
“Ma se sei qui!”
“Allora si vede che sono qui ma sono anche là. Come tu sei un po’ angioletto e un po’ diavoletto, così io sono un po’ di qua e un po’ di là...”
Fa gli occhi storti, come quando è esasperata.
Ma io non mi fermo.
“Non ti ricordi quel giorno, che io stavo stecchito sul letto…”
Lei mi guarda, e si vede che le sta venendo da ridere.
“Ah, sì…” sta al gioco improvvisamente. “Che tutti nella stanza piangevano…”
“Sì, sì, e io ero là, in quella posa da baccalà, però vedevo e sentivo tutto. Cercavo di continuare a stare impalato, ma non era facile perché mi veniva la ridarella…”
“Sì, e poco prima avevi anche litigato con gli altri perché volevano vestirti in modo elegante e tu invece volevi i tuoi soliti jeans puzzolenti, la tua camicia con i gomiti rotti e le tue scarpacce…”
“Avevo litigato… da morto? Questo però non me lo ricordavo…”
“Sì, è stata una cosa rapida, hai fatto solo un gesto arrabbiato col braccio, ma io me ne sono accorta, perché i bambini vedono certe cose che i grandi non vedono…” si pavoneggia Bianca, “e io, se è per quello, vedo certe cose che persino gli altri bambini non vedono…”
“Ah, sì, e cos’altro hai visto?”
“Per esempio mi sono accorta che, a un certo punto, mentre tutti se ne stavano là a frignare con i fazzoletti in mano, hai dato una sbirciata per vedere se vicino al comodino, sul pavimento, c’era ancora la tua bottiglia di plastica…”
“Che cosa ne sai tu?”
“Credi che non mi sia accorta che tieni vicino al letto una bottiglia di plastica dell’acqua minerale, vuota e con il collo allargato dalle forbici, dove fai la pipì durante la notte?”
“Come ti permetti!”
“Che cosa credi? Io noto tutto, non mi sfugge niente.”
“E dopo cos’è successo?”
“Hai dato quella sbirciata veloce e poi ti sei rimesso in posa da morto. E siccome tutti piangevano come se fossi morto davvero, a un certo punto non ho capito più niente e mi sono convinta anch’io che eri morto e allora mi sono messa a piangere insieme agli altri…”
“Ah, sì, adesso ricordo… E io allora, a un certo punto, mentre gli altri erano usciti dalla stanza per spettegolare sul morto e sei rimasta solo tu, ti ho strizzato l’occhio per farti avvicinare di più al letto, e quando sei stata vicina ti ho bisbigliato, molto piano perché non sentissero dall’altra stanza: ‘Non piangere, stupidina…’. E allora tu hai fatto uno di quei tuoi bei sorrisi e io sono rimasto contento e mi sono rimesso in posa da morto.”
“Sì… e poi è arrivata quella che va in giro a fotografare i morti…”
“Sì, sì…”
“È arrivata con un elicottero che è atterrato in mezzo al cortile, e tutti sono usciti sui balconi a guardare…”
“Ma davvero? Adesso va in giro con un elicottero, addirittura?”
“Sì, un elicottero giallo a pallini azzurri, ma piccolo, con un unico posto dove ci stava solo lei che lo guidava, così piccolo che sembrava seduta direttamente nell’aria. E, dopo che è atterrata, lo ha smontato e ripiegato molte volte e per bene, pezzo per pezzo, anche l’elica, perché quello era un elicottero che si poteva smontare e ripiegare e poi diventava una valigetta che si portava a mano. È entrata in casa con una veste lunga fino ai piedi, la valigetta dell’elicottero in una mano e la macchina fotografica sul treppiede nell’altra, e ci ha detto sorridendo: ‘Mi chiamo Esterina e sono la fotografa dei morti’. E allora tutti si sono messi a guardarla mentre si spostava per sistemare il treppiede da una parte e dall’altra della stanza per cercare l’inquadratura migliore, con la sua veste che sfiorava il pavimento e sollevava un leggero vento. Ma siccome c’era chi diceva lo fotografi da qui, lo fotografi da là, lo fotografi così, lo fotografi cosà, allora lei a un certo punto ha perso la pazienza e ha detto: ‘Uscite tutti e lasciateci lavorare!’. Allora siamo usciti tutti e non si capiva cosa stavate combinando voi due là dentro perché ogni tanto mi sembrava che da dietro la porta chiusa venissero dei rumorini e addirittura delle risate soffocate e poi i clic clic della macchina fotografica, mentre gli altri continuavano a parlare tra di loro e non sembravano accorgersi di niente. E poi, a un certo punto, lei è uscita molto contenta e stava già per andarsene quando qualcuno le ha chiesto: ‘E le fotografie?’. ‘Quando sarà il momento’ ha risposto lei mettendoli a posto con un gesto della mano, prima di uscire dalla porta, e di scendere a piedi le scale con la valigetta in una mano e il treppiede nell’altra, e di arrivare in cortile e di aprire in quattro e quattr’otto l’elicottero, di salirci sopra e di sollevarsi nell’aria e di volare via mentre stavano tutti a guardarla a bocca aperta dai balconi e dalle finestre, incantati…”
“Ah, bene, bene, così ci siamo…”
Ma Bianca corruga improvvisamente la fronte, scuote la testa.
“Ma, insomma, allora si può sapere se sei morto o sei vivo?”
“Sono morto, però si vede che sono anche vivo, perché tu sei viva e mi vedi, però lo sai solo tu, mi vedi solo tu, qui nella città dei vivi…”
“Ah… adesso ho capito.”
“Allora posso cominciare?”
“Sì.”
E allora comincio:
Il nonno Stucco voleva così bene…
Ma Bianca mi interrompe di nuovo.
“E poi il papà delle fiabe della mamma Maria si chiamava Gelsomino, e allora anche questo nonno dovrebbe chiamarsi Gelsomino, e invece questo qui si chiama Stucco! Da dove salta fuori questo nome? E poi… che razza di nome è? Perché questo qui si chiama Stucco?”
“Che cosa ne so! Si vede che qualcuno l’avrà chiamato così e allora adesso si chiama così! Ma… insomma, mi fai cominciare?”
“D’accordo, d’accordo, puoi cominciare…” mi concede.
E allora, finalmente, comincio:

3
Il nonno St...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- FIABA BIANCA
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
- 19
- 20
- 21