Tredici modi di guardare
eBook - ePub

Tredici modi di guardare

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Tredici modi di guardare

Informazioni su questo libro

«E com'è che il lontano passato è disseminato di personaggi mentre il presente è così addomesticato e piatto?» È un freddo giorno di gennaio quando J. Mendelssohn si sveglia nel suo appartamento dell'Upper East Side di Manhattan. Vecchio, fragile, affidato alle cure della badante caraibica, mentre aspetta che il riscaldamento entri in funzione, tra i clic e i clac delle condutture, la sua mente divaga: torna all'infanzia trascorsa in Lituania e a Dublino, al lavoro di giudice della Corte Suprema, all'amata moglie Eileen. Qualche ora dopo, Mendelssohn esce di casa per un fatale pranzo con il figlio - intanto, la neve scende copiosa sulle strade, a immobilizzare e innervosire la città. Racconto che gioca con ricordi, allusioni, omissioni e indizi disseminati, Tredici modi di guardare è un flusso di coscienza magmatico cui fa da contrappunto il pragmatismo necessario per risolvere un delitto. In Che ore sono adesso, lì da te?, vero e proprio viaggio dentro la mente dello scrittore, una soldatessa di stanza in Afghanistan fa una telefonata a casa la notte di Capodanno. Seguiamo poi la madre sola di Sh'khol, costretta ad affrontare l'indicibile quando suo figlio scompare in mare dopo una nuotata vicino a casa. Infine, in Trattato, il testo che chiude la raccolta, un'anziana suora sudamericana scopre per caso, una sera davanti alla tv, che l'uomo che decenni prima l'ha torturata è ancora vivo e fa il politico. Ecco un libro tanto sottile quanto denso e sorprendente che contiene, distillato, tutto il limpido talento di McCann, qui più che mai abile nell'immaginare immensità anche negli angoli più angusti delle nostre vite.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817101790
eBook ISBN
9788858693094
Tredici modi di guardare

I

Fra venti monti nevosi
la sola cosa in movimento
era l’occhio del merlo.
La prima è nascosta in alto sulla libreria di mogano. Mostra l’intera vastità dello spazio dove lui giace addormentato, su un ampio letto a due piazze fra una montagna di cuscini.
La testiera, elaboratamente intagliata. La struttura del letto, a forma di slitta. La trapunta decorata con disegni amish. Un vaso sul comodino di sinistra, una pila di libri su quello di destra. Un antico orologio a lanterna con pesi e pulegge a vista è appeso alla parete, vicino a un lungo specchio d’argento maculato e brunito dal tempo. Sotto lo specchio, rintanata in un angolo, quasi al riparo dallo sguardo, c’è una piccola bombola d’ossigeno.
Sulla poltrona, lontano dal letto, sei o sette guanciali. Su una sedia di quercia con i braccioli di pelle, diversi cuscini.
Lo scrittoio è sistemato accanto alla porta d’entrata, con numerosi fogli ordinatamente impilati, un tagliacarte d’argento, una spillatrice, un portatile aperto. C’è una pipa sul ripiano, ma nessuna scatola di tabacco, né fiammiferi o posacenere.
Le opere d’arte sono contemporanee: tre paesaggi urbani, edifici e linee affilate, e una piccola veduta marina astratta sulla parete accanto alla porta del bagno.
In mezzo a tutto questo, lui giace come una gibbosità del letto, una forma della coperta, la piccola testa poco più di una macchia.

II

Ero di tre opinioni,
come un albero
in cui stanno tre merli.
Sono nato nel bel mezzo della mia prima arringa. Dovrebbe alzarsi, trovare un taccuino, buttar giù la frase, ma nella stanza si gela e il riscaldamento non è ancora partito, perciò preferisce non muoversi. Perlomeno le lenzuola sono ben tese e calde. Forse Sally è entrata a rimboccarle, perché sì, adesso gli pare di ricordare il tragitto, o i diversi tragitti, o, più precisamente, gli innumerevoli viaggi fatti in bagno. Sono nato nel bel mezzo del mio ultimo epico viaggio. Sopra di lui girano le pale del ventilatore. Il tuttofare ne ha invertita la normale rotazione. Com’è possibile che un ventilatore produca calore ruotando al contrario? Qualcosa a che vedere con il moto ascensionale dell’aria e il modo in cui fluisce una corrente. Se solo riuscissimo ad afferrare la corrente e a invertire la nostra rotazione. Sono nato nel bel mezzo della mia prima arringa davanti alla giuria. Strano riconsiderare le memorie a quest’età, ma cos’altro resta da fare? Che la prima edizione del suo libro, negli anni Ottanta, avesse venduto poco era stato uno choc: squisitamente pubblicato, squisitamente confezionato, squisitamente editato. Ogni possibile squisitezza. Anche con una bella iniezione di modestia si poteva comunque pensare che qualche copia qua e là l’avrebbe venduta, ma dopo tre mesi era finito sui banchi dei libri a metà prezzo. Sono nato nel bel mezzo del mio primo pubblico fiasco. Ma quando esattamente, sinceramente? Sono nato la prima volta che ho fatto l’amore con Eileen. Sono nato quando ho toccato la mano del mio Elliot neonato. Sono nato quando mi sono seduto nel cockpit di un Curtiss SO3C Seamew. Oh, tutte cazzate. Cazzate con le Z maiuscole. In verità, nacque nel bel mezzo di quel primo processo quando, assistente procuratore distrettuale imberbe, si alzò di fronte alla corte di Brooklyn e diede forma alle parole esattamente come le aveva immaginate, sentendole penetrare nell’aria, percependole fluttuare e agire sui volti tutti maschili della giuria, e su quello bendisposto del giudice da cui s’irradiava qualcosa di simile all’orgoglio. Un’arringa davvero inattaccabile, signor Mendelssohn. Capì in quel momento che non avrebbe mai mollato. La legge era la cosa per cui era nato. Quante ere sono trascorse? Dovrebbe metterlo per iscritto. Ma non è forse proprio questo il problema dell’età? Conservi i sentimenti, ma non le date. Trovi le date, smarrisci i sentimenti.
Carta e matita, Sally, mia cara, è chiedere troppo? Sono nato nel bel mezzo della mia prima perdita di memoria. Oh, diamine, perché non c’è mai della carta accanto al letto? E se usassi un registratore? Una di quelle minuscole meraviglie digitali. Magari ce n’è uno inserito nel mio BlackBerry – in fondo, ci trovi dentro di tutto. Ultimamente ha cominciato a infilarselo nel taschino del pigiama, e lì resta per tutta la notte, con la lucina rossa pulsante. Un congegno meraviglioso, foriero di tutti i più recenti trionfi e orrori nel mentre che lui dorme e russa. Colpi di Stato e guerre e rivoluzioni e ribellioni e altre tristezze ancora, tutte a tramar la fuga dal conforto del suo letto.
Interessante. Confezionano i pigiami in modo che il taschino poggi sul lato sinistro, sopra il cuore. Qualcosa di sanitario, forse? Un piccolo scomparto da perlustrare per il dottore. Un luogo dove tenere stent e tubetti e pillole in caso di attacco di cuore. Armamentario della vecchiaia. Dovrebbe chiederlo al suo vecchio amico dottor Marion. Perché il taschino sta sopra il cuore, Jim? Magari è solo un vezzo della moda. E comunque, chi diavolo se li è inventati i taschini del pigiama? E a che scopo? Un posto per un pezzo di pane o un cracker nel caso ci venga fame durante la notte? Un nascondiglio per lettere d’amore di tanti anni fa? Una custodia per l’alter ego, in attesa là fuori, dietro le quinte?
Oh, la mente errante trama la propria fuga: al di là della finestra coperta di brina, per poi sparire. E comunque, chi è stato a inventare il lato fresco del cuscino?
Muove un po’ le dita dei piedi sotto le lenzuola, le strofina insieme lentamente, lascia che il tepore gli risalga lungo il corpo. Non ha mai capito il sistema di riscaldamento di New York. Tutti questi condotti di vapore sotterranei e cisterne di petrolio e riunioni di amministrazione sulle caldaie, e ingegneri premi Nobel e architetti sputasentenze e specialisti del riscaldamento globale, un vero e proprio consorzio di cervelli, geni dal primo all’ultimo, eppure tutto quello che ti ritrovi la mattina è un clac clac clac terrificante. Dante nei sotterranei, intento ad avviare la caldaia. Dio santo, verrebbe da pensare che nel ventunesimo secolo dovrebbero essere in grado di risolvere il mistero di questa merda di riscaldamento, chiedo scusa per il mio francese, il mio polacco, il mio lituano, e invece niente, non ci riescono, non ce la fanno, non ce l’hanno mai fatta, forse non ce la faranno mai. Non accendono la caldaia fino alle cinque del mattino, sempre che fuori non ci sia la Siberia orientale. Il custode del palazzo è un campione di scacchi, viene da Sarajevo, una volta ha giocato contro Spasskij, non fa che vantarsi delle capacità del suo cervello, dice di essere un membro del MENSA, e nonostante questo non riesce a far partire quello stramaledetto impianto?
Afferra il BlackBerry, lo riporta in vita. Ancora ventidue minuti prima che i condotti si mettano in funzione come si deve. È tentato di trasgredire il suo rituale, e dare una prima occhiata a e-mail e notizie, invece fa scivolare nuovamente il BlackBerry nel taschino del pigiama. Sono nato nel bel mezzo della mia prima arringa davanti alla giuria e sono uscito su Court Street con passo baldanzoso. Non del tutto vero. Non c’è mai stata in me molta baldanza, nemmeno in quei giorni. Sempre indietro di un passo. Non certo un Joe DiMaggio o un Jesse Owens o un Wilt Chamberlain o chissà chi, a dirla tutta. La baldanza si manteneva invece ben attorcigliata al linguaggio, all’intonazione, alla forma delle parole. A volte restava sveglio per tutta la notte, chino sulla scrivania di mogano, a forgiare parole. Da giovane avrebbe voluto fare lo scrittore. La sorgente dell’Elicona. Sono nato nel bel mezzo della mia prima incoerenza. Le grandi arringhe non avevano nulla a che vedere con la sostanza. Era solo questione di stile. La parola giusta al momento giusto. Anche gli sciocchi sanno che un tocco di ricercatezza nel linguaggio può far risplendere qualsiasi fesseria. In tribunale studiava le facce dei giurati per capire quali parole raffinate potesse iniettar loro sottopelle. La grazia di un oratore e la forma di un serpente, gli aveva detto un collega una volta, o era la forma di un oratore e la grazia di un serpente? Un complimento in ogni caso. Anche il serpente striscia e sibila con grazia.
Eileen amava leggere le sue sentenze, specialmente negli ultimi anni, dopo la sua ascensione al soglio della Kings County Supreme Court, quando l’uno o l’altro dei quotidiani era sempre alle sue calcagna, il «Village Voice», il «New York Times», quello scartafaccio di New Amsterdam, com’è che si chiamava? No, non il «Brooklyn Eagle», quello è morto da un pezzo. Una volta fecero una vignetta su di lui, raffigurandolo come una mantide religiosa. Aveva odiato quella sua caricatura, le guance gonfie, gli occhiali appollaiati sul naso, quel piccolo rotolino di pancia mentre masticava con vigore un’altra mantide. Imbecilli. Si erano sbagliati in pieno. Solo le femmine mangiano il maschio, dopo un incontro d’amore. Ciò nondimeno, non era stato per nulla lusinghiero.
E per quale ragione ritraevano sempre i giudici come delle imponenti montagne di carne? Lui era sempre stato magro come uno stecco. Uno spilungone. Uno spaventapasseri. C’è più grasso su un coltello da macellaio, diceva Eileen. Tuttavia, i vignettisti come pure i disegnatori dei tribunali insistevano nell’arrotondargli un po’ le guance, o magari la pancia. Cosa che irritava Eileen oltre ogni dire. Aveva perfino cominciato a ridurgli le calorie, al punto che riusciva a stento a scorgersi di profilo nello specchio. Una volta pensava che il vero premio della vecchiaia sarebbe stato la rinuncia alla vanità, e invece di questi tempi è ancora più presente: il cedimento della pelle, le rughe, gli occhi stupiti nel vedersi. L’altro giorno si è scorto di sfuggita nello specchio, e come diavolo ho fatto a farmi venire la faccia del padre di mio padre? Più che arrivare, gli anni s’intrufolano, s’insinuano dalla porta seminando devastazione e lasciandosi dietro piatti vuoti, capillari rotti, occhi infossati, gengive doloranti, ma chi è lui per lamentarsi, ne ha avuti di anni per abituarsi, tanto per cominciare non è mai stato un Rodolfo Valentino e nonostante ciò si era aggiudicato la ragazza, l’aveva impressionata, le aveva rapito il cuore, l’aveva acciuffata, certo: Sono nato nel bel mezzo del mio primo grande amore.
Lascia ricadere il braccio dall’altro lato del letto. Saudade. Che bella parola. Portoghese. Avvicinati, Eileen. Raggomitolati qui contro di me. Mai parola più vera. La nostalgia per ciò che si è fatto assente.
Lei era solita dire che le sue prime performance nel tribunale di Brooklyn erano intrise di pazienza, malizia e astuzia. Di certo, un riferimento letterario di qualche tipo – era una fanatica di Joyce. Silenzio ed esilio. A casa, ogni mattina lei gli stirava le camicie e gli inamidava i colletti e ogni volta che vinceva una causa gli comprava un libro di poesie e una nuova cravatta dal negozio di Montague Street. Avrebbe potuto legarle insieme da lì all’officina del sudore dove sfruttavano i cinesi: le cravatte, non le poesie. Eileen doveva aver dato di che vivere alle operaie dello stabilimento di Gucci, visto il gran numero di cravatte che teneva appese nel suo armadio, precisamente disposte, ordinatamente sistemate in ranghi divisi per colore. I suoi capelli scuri, quel suo nasino impertinente, quell’unico neo sul profilo della guancia. Era bella e lo sarà per sempre, come la ragazza della canzone. Bella era e sempre sarà, chiaro di luna fra i capelli. A volte spruzza un pizzico del suo profumo sul cuscino, tanto per sentirne la fragranza e fingere che lei sia ancora lì. Sentimentale, certo, ma che cos’è la vita senza sentimento? E ammettiamolo pure, quand’è stata l’ultima volta che ha avuto un attacco di lussuria come ai bei vecchi tempi?
Consulta il BlackBerry, lui dovrebbe saperlo. Dopotutto, sembra essere al corrente di qualsiasi altra cosa: figli capricciosi, figlie affrante, un nuovo sversamento nel Golfo del Messico.
Sente che Sally è già in piedi e sta dandosi da fare in cucina. Il rumore dei cucchiai, la sistemazione del piattino. La tazza poggiata, il tintinnio del bicchiere per il succo. Il frullatore tirato giù dalla credenza con malagrazia. Il lieve sibilo della guarnizione della porta del frigorifero. Lo scricchiolio del cassetto in basso. Carote, fragole, ananas, arance. E poi il forte schianto del ghiaccio. Il succo. Sally dice che dovrebbe chiamarlo frullato, ma a lui la parola non piace, semplice, non c’è proprio niente di poetico in un frullato. Mentre l’altro giorno arrancava lentamente lungo il parco – non c’è altro modo per dirlo, ogni giorno adesso è un lento arrancare – ha visto una ragazza su una panchina vicino al reservoir con la parola succoso scarabocchiata in rosa sul fondoschiena, e doveva riconoscere, anche alla sua età, che non era lontano dal vero. Con mille scuse a Eileen, naturalmente, e anche a Sally, a Rachel, a Riva, a Denise e a MaryBeth, ad Ava senza dubbio, e a Oprah, e a Brigitte, e perfino a Simone de Beauvoir, perché no, e a tutte le altre donne del mondo, chiedo scusa a tutte, ma era davvero molto, molto succoso. Per come rimbalzava, con quel piccolo bordo di pelle bruna in alto e quella zona di scuotimento in basso, e una volta, molto tempo fa, avrebbe saputo davvero come spremerlo, oh, altro che frullato. Lo accompagnava una certa reputazione, ma per lui erano soltanto giochi inoffensivi. Non aveva mai deviato, anche se doveva ammettere una certa pendenza. Perdonami, Eileen, da te dipendevo e tuttavia pendevo, pendevo, pendevo. A lanciargli occhiatacce erano i suoi colleghi più conservatori. Un branco di prugne avvizzite e pudiche: come diavolo erano riusciti, lasciando da parte le idee politiche, a farsi eleggere? Cosa credevano, che un uomo dovesse nascondere la propria natura sotto un sudario da giudice? Che dovesse rificcare la testa indocile sotto il guscio? Che l’unico rumore che potesse produrre era quello del martelletto? No, no, no, si trattava di afferrare la scorza della vita. Estrarne la linfa. Dimenticare la polpa. Cavarne il succo. Con giudizio. Il giudizio del giudeo.
Oh, il vorticare della mente. Scusa, Eileen. Un tempo ero appassionato, ecco, questa è la parola. Magari perfino un po’ civettuolo. Ma niente di più. Mai stato tipo da molestie. Quella era una cosa che invece era passata al piccolo Elliot. Purtroppo. Guardalo, adesso, quel povero ragazzo. Ma piantiamola qui, di questa storia ne ho abbastanza. Non è certo l’ideale cominciare la giornata con quel figliolo indocile che arraffa con gli occhi, le mani, le orecchie, la gola, il portafogli.
Sente partire il debole ticchettio. Andiamo, calore, datti una mossa. Risali i condotti.
Com’è che New York non ha mai generato un figlio geniale che risolvesse i problemi del riscaldamento? Verrebbe da pensare che con tutti i bambini nati in questa fragorosa metropoli ce ne sia stato almeno uno infastidito dal fracasso delle tubature e dal sibilo del vapore, no? Verrebbe da pensare che magari lo potrebbero risolvere questo loro dilemma quotidiano, giusto? E invece no, macché. Se ne vanno a produrre i loro milioni a Wall Street e a Broadway e a Palo Alto e a Los Alamos o chissà dove, e però continuano a tornare a casa in un appartamento progettato per i trogloditi.
E comunque quanto varrebbe oggi quest’appartamento dimenticato da dio? Mezzo milione ventisette anni fa. Venduto quello in pietra arenaria di Willow Street, erano migrati nell’Upper East Side. Tutto per far contenta Eileen. Lei adorava passeggiare lungo il Great Lawn di Central Park, riposare nei pressi del reservoir, per poi proseguire fino al panificio Greenberg. Aveva perfino attaccato una mezuzah sullo stipite della porta. Per proteggere tanto l’investimento, quanto il resto. Due milioni di dollari, adesso, dicono, due virgola due, forse, due virgola quattro, e nonostante ciò non riescono a far partire il riscaldamento prima delle cinque di mattina? Riusciamo a piazzare un nero alla Casa Bianca e non riusciamo ancora a starcene al calduccio? Riusciamo a spedire una missione su Marte, ma stiamo qui a far congelare i coglioni a un brav’uomo sulla 86th East? Riusciamo a infilare il BlackBerry nei taschini del pigiama, dalla parte del cuore, e non riusciamo a far salire il vapore su per i muri senza tutto quel baccano?
Oh, ma ecco che arriva. Arriva. Il primo clic della giornata. Come se un uomo là sotto stesse aprendo a forza le tubature. Un secondo clic. Un terzo. Poi un colpo. Uno schianto un botto una percossa. Brav’uomo, Dante. Davvero una divina commedia. Lasciate ogni speranza. I tubi si scaldano a colpi di jazz. Magari. Risvegliami, Thelonious Monk. Vieni ad abitare per un po’ nei miei, di condotti. E visto che ci sei, fai una capatina nelle fondamenta.
«Sally!»
Sente il frullatore triturare il ghiaccio, il balbettio delle lame, lo schiocco contro il contenitore di vetro.
«Sally!»
Il frullatore gradualmente rallenta, i suoni si attutiscono fino al silenzio.
«Sally, sono su!»
Il che, molto chiaramente, non è vero. Né in un senso né nell’altro.
Hanno montato una sbarra bianca...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Tredici modi di guardare
  4. Tredici modi di guardare
  5. Che ore sono adesso, lì da te?
  6. Sh’khol
  7. Trattato
  8. Nota dell’autore
  9. Indice