Dio. Una storia umana
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Dio. Una storia umana

  1. 352 pagine
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Dio. Una storia umana

Informazioni su questo libro

In Gesù il ribelle Reza Aslan ci aveva raccontato la complessa figura del Nazareno, restituendoci il ritratto dell'uomo vero che era Gesù, con tutte le sue contraddizioni. Ora affronta un tema ancora più vasto e ambizioso: Dio, in tutte le sue forme e manifestazioni. Gli studi, ci spiega, hanno dimostrato che i bambini faticano a distinguere tra uomini e Dio: quando si chiede loro di immaginare Dio, descrivono immancabilmente un essere umano dotato di capacità sovrumane. E crescendo le cose non cambiano. Si tratta di una proiezione non priva di conseguenze, perché attribuiamo a Dio non solo quello che c'è di buono nella natura umana - la compassione, la sete di giustizia - ma anche quello che c'è in noi di cattivo: l'avidità, l'intolleranza, la propensione alla violenza. Secondo Aslan il desiderio innato di umanizzare Dio è iscritto nel nostro cervello e ciò lo rende una caratteristica centrale di quasi tutte le tradizioni religiose. È quello che ci ha portato a formulare le prime teorie sull'universo e sul nostro ruolo al suo interno. Ha ispirato le nostre prime rappresentazioni fisiche dell'aldilà. "Con questo non si vuole sostenere che Dio non esiste, o che ciò che chiamiamo Dio è totalmente un'invenzione dell'uomo" scrive Aslan. Che in queste pagine non si pone l'obiettivo di dimostrare l'esistenza o la non esistenza di Dio ma, da brillante studioso e abile narratore qual è, percorre l'intera storia della spiritualità umana, dall'animismo primitivo alle grandi religioni monoteistiche fino alla mistica islamica: un lungo sforzo in continua evoluzione per dare un senso al divino rendendo Dio noi.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817098991

Note

Introduzione
1.Studi successivi condotti sui bambini hanno mostrato che, se è pur vero che il loro concetto di Dio dipende dalla visione che hanno delle persone in generale e dei genitori in particolare, non lo considerano come un’entità limitata da capacità umane. Per esempio, invitati a spiegare l’origine di oggetti naturali come grosse pietre o montagne, alcuni bambini di quattro anni l’hanno attribuita a Dio, non agli uomini. Si veda Jean Piaget, The Child’s Conception of the World, Littlefield, Adams, Paterson 1960 (trad. it. La rappresentazione del mondo nel fanciullo, Boringhieri, Torino 1971); e Nicola Knight, Paulo Sousa, Justin L. Barrett e Scott Atran, Children’s Attributions of Beliefs to Humans and God: Cross-Cultural Evidence, «Cognitive Science» 28, 2004, pp. 117-26.
2.Ludwig Feuerbach, The Essence of Christianity, Pantheon, New York 1957, p. 58 (trad. it. L’essenza del Cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1960, p. 95).
3.Gran parte della mia teoria sulla umanizzazione di Dio si basa sul lavoro dell’antropologo Stewart Guthrie, uno dei maggiori teorici dell’argomento. In Faces in the Clouds: A New Theory of Religion, Oxford University Press, New York 1995, Guthrie postula che tutte le forme di religiosità possono essere fatte risalire a una qualche forma di antropomorfismo. Secondo la teoria, ciò accade perché esistono strutture cognitive innate che condizionano psicologicamente gli uomini, inducendoli a trovare persone nel loro ambiente naturale, sociale e cosmologico. Antropomorfizzare il mondo, a detta di Guthrie, «è un’ottima scelta perché il mondo è incerto, ambiguo, e va interpretato. È un’ottima scelta perché di solito le interpretazioni più valide sono quelle che svelano la presenza di qualunque cosa risulti più importante per noi. E di solito si tratta di altri esseri umani» (p. 3).
L’argomentazione di Guthrie si può sintetizzare in tre aspetti. Primo, crea una base teorica per il suo assunto, suggerendo che la religione consiste nel vedere il mondo in forma umana. A dimostrazione di ciò, fornisce dei dati etnografici, citando idee animistiche che attribuiscono uno spirito e un’anima a dei, esseri mitici e persino fenomeni naturali come il volo degli uccelli, i terremoti e altre calamità. Secondo, esamina i motivi per cui è plausibile sostenere che la religione fondamentalmente antropomorfizza il mondo, offrendocene quattro: (1) il nostro mondo è ambiguo e perennemente caotico, (2) la nostra principale esigenza, quindi, è interpretarlo, (3) l’interpretazione punta sulle possibilità più significative, e (4) le possibilità più significative sono antropomorfe. Terzo, a sostegno delle suddette affermazioni fornisce delle prove tratte dalle scienze cognitive e dalla psicologia dello sviluppo. In generale, Guthrie vede la religiosità come una sorta di scommessa contro le instabilità percepite in natura. La sua principale preoccupazione non è stabilire o documentare quanto sia importante la religione nella società, ma piuttosto produrre una teoria che spieghi le origini del comportamento religioso.
4.Nel più grande e diffuso ramo del buddhismo, il Mahayana, diversamente dal più piccolo e meno teistico ramo Theravada, la comparsa del Buddha sulla terra è considerata come la manifestazione del puro dharma, ma in forma umana. Sui deva come spiriti divini umanizzati si veda Ninian Smart, Dimensions of the Sacred: An Anatomy of the World’s Beliefs, University of California Press, Berkeley 1996.
5.Secondo gli studi effettuati dallo psicologo cognitivista Justin Barrett, i partecipanti religiosamente devoti, di fronte a questionari che li invitavano a riflettere sulle qualità possedute a loro avviso da Dio, di regola fornivano risposte «teologicamente corrette» su un Dio onnipresente o onnisciente, caratterizzato da una percezione infallibile e da un’attenzione illimitata. Tuttavia, nelle conversazioni, gli stessi soggetti erano altrettanto pronti ad attribuire a Dio alcune caratteristiche – come avere un’attenzione limitata, percepire in modo errato, o semplicemente non sapere tutto – che contraddicevano quanto scritto nelle loro risposte. Si veda Justin L. Barrett, Theological Correctness: Cognitive Constraint and the Study of Religion, «Method and Theory in the Study of Religion» 11, 1998, pp. 325-9; e Cognitive Constraints on Hindu Concepts of the Divine, «Journal for the Scientific Study of Religion» 37, 1998, pp. 608-19.
1. Adamo ed Eva nell’Eden
1.Gli esseri umani si svilupparono dalle scimmie antropomorfe (Australopithecus) circa 2,5 milioni di anni fa nell’Africa orientale, da cui alla fine emigrarono per stabilirsi nel Nordafrica, in Europa e in Asia. Per buona parte dei due milioni di anni successivi, la terra fu occupata da numerose specie di esseri umani (Homo), tra cui l’Homo neanderthalensis, l’Homo erectus, l’Homo soloensis, l’Homo denisova, l’Homo ergaster, e via dicendo. A volte si fa riferimento all’Homo sapiens europeo come all’uomo di Cro-Magnon, dal nome della caverna nei pressi del villaggio di Les Eyzies, in Francia, dove nel 1868 furono rinvenuti cinque scheletri di Homo sapiens. La teoria comunemente nota come «ipotesi di un’origine unica e recente» sostiene che l’evoluzione degli esseri umani anatomicamente moderni ebbe inizio in Africa più o meno 200.000 anni or sono, e che all’incirca 125.000 anni fa un ramo di questi primi uomini, l’Homo sapiens, cominciò a migrare e a stanziarsi in Eurasia, rimpiazzando una precedente specie umana, i Neanderthal. Questa teoria è stata ultimamente avvalorata dall’analisi del DNA. Tuttavia, la recente scoperta di fossili di Homo sapiens a Jebel Irhoud, in Marocco, risalenti almeno a 300.000 anni BP (before present, cioè prima del presente), suggerisce che la nostra specie possa essere più antica di quel che si pensava in origine. Si veda Jean-Jacques Hublin et al., New Fossils from Jebel Irhoud, Morocco, and the Pan-African Origin of Homo sapiens, «Nature» 546, 8 giugno 2017, pp. 289-92.
Alcuni ricercatori sostengono in maniera convincente che l’origine dell’Homo sapiens non sia da ricercarsi nell’Africa orientale o meridionale, come spesso si crede, ma piuttosto in Nordafrica, 50.000 anni prima di quanto stimato in precedenza, cioè tra 60.000 e 70.000 anni fa. Su questo punto si veda Jean-Jacques Hublin e Shannon P. McPherron (a cura di), Modern Origins: A North African Perspective, Springer, New York 2012; e Simon J. Armitage et al., The Southern Route «Out of Africa»: Evidence for an Early Expansion of Modern Humans into Arabia, «Science» 331/6016, 2011, pp. 453-56.
È opinione comune che l’Homo sapiens e il Neanderthal abbiano convissuto in Europa per almeno diecimila anni, probabilmente tra il 40.000 e il 30.000 a.C., ed esistono ampie evidenze di ibridazione tra queste due specie (tutti i viventi non africani possiedono approssimativamente un due per cento di DNA neanderthaliano). Una possibile spiegazione di ciò è che Neanderthal e Homo sapiens si siano incrociati durante il Paleolitico superiore. Ciononostante, un osso rinvenuto recentemente sulle rive di un fiume siberiano è stato attribuito a un uomo imparentato sia con gli esseri umani moderni sia con i Neanderthal e vissuto 45.000 anni fa. Poiché i ricercatori stimano che l’accoppiamento con i Neanderthal abbia avuto luogo da 7000 a 10.000 anni prima che l’uomo siberiano venisse al mondo, questo porterebbe a retrodatare l’ibridazione Homo sapiens-Neanderthal a 60.000 anni fa. Si veda Richard E. Green et al., A Draft Sequence of the Neanderthal Genome, «Science» 328, 2010, pp. 701-22; e Jennifer Viegas, 45,000-Year-Old Man Was Human-Neanderthal Mix, abc.net.au/science/articles/2014/10/23/4113107.htm.
2.Un eccellente testo di base sulla vita dei nostri antenati Homo sapiens è Ian Tattersall, Becoming Human: Evolution and Human Uniqueness, Harvest, New York 1999; l’introduzione migliore e più accessibile al ruolo della donna nelle società paleolitiche è J.M. Adovasio, Olga Soffer e Jake Page, The Invisible Sex, HarperCollins, New York 2007.
3.«La decorazione corporea» osserva Gillian Morris-Kay «è probabilmente stata un’importante precorritrice della creazione di arte separata dal corpo. L’uso del colore per decorare pelle, ossa e perline sottintende un gusto per la forma e il colore. La pratica di forare denti, conchiglie e ossa e di infilarli, singolarmente o assieme, per realizzare un ciondolo o una collana, costituisce la più antica forma conosciuta di ornamento personale dopo la pittura del corpo.» Gillian Morris-Kay, The Evolution of Human Artistic Creativity, «Journal of Anatomy» 216, 2010, p. 161.
4.Nella grotta del Mas-d’Azil, nel Sudovest della Francia, venne rinvenuto un cranio femminile le cui orbite vuote erano decorate con placchette d’osso per imitare uno sguardo, e la cui mandibola sembra essere stata sostituita con quella di una renna. Il cranio risale al periodo magdaleniano, verso il 12.000 a.C.
Secondo Paul Pettitt, «l’attività mortuaria era pienamente strutturata sotto l’aspetto simbolico dopo il 30.000 BP, forse anche prima; una certa base simbolica risulta evidente nelle sepolture del Paleolitico medio già nel 100.000 BP». Paul Pettitt, The Palaeolithic Origins of Human Burial, Routledge, New York 2011, p. 269.
«Se le sepolture paleolitiche sono chiari indizi di un concetto di vita ultraterrena» afferma Brian Hayden, «suggeriscono anche la possibile esistenza di forme di culto ancestrale. Fino a circa 150.000 anni fa, pare non ci sia stata alcuna forma di sepoltura. Quando gli individui morivano, è presumibile che venissero semplicemente abbandonati sul terreno, dove finivano per putrefarsi o per essere scarnificati, così come i tibetani lasciano all’aperto i cadaveri perché siano mangiati dagli animali [...]. È anche possibile che i primi esseri umani collocassero le salme su piattaforme sopraelevate o sugli alberi di modo che fossero gli uccelli e gli insetti, anziché i carnivori, a cibarsi dei corpi [...]. La cosa più significativa, quando le sepolture iniziano a comparire nel record archeologico, è che non si verifica un cambiamento totale in questa pratica tradizionale. Non è come se una nuova credenza e un nuovo sistema rituale avessero sostituito le antiche pratiche, e non è che la gente d’improvviso fosse diventata più attenta all’igiene [...] o che avesse d’improvviso sviluppato una consapevolezza della morte. Piuttosto, la sepoltura è chiaramente simbolica. Richiede uno sforzo particolare, ed è sovente accompagnata da fuochi, offerte simboliche o selezioni di pietre speciali.» Brian Hayden, Shamans, Sorcerers and Saints, Smithsonian, Washington 2003, p. 115.
Sono senz’altro d’accordo con David Wengrow quando asserisce che «se stiamo cercando un forte interesse nella realizzazione culturale di esseri compositi tra i primi cacciatori-raccoglitori, abbiamo maggiore probabilità di trovarlo nelle testimonianze funerarie delle società paleolitiche e mesolitiche – andando indietro nel tempo fino alle più antiche combinazioni attestate di parti umane e animali in formazioni intenzionali, all’interno delle sepolture delle grotte di Skhul e Qafzeh (c. 100.000-80.000 a.C.), e più avanti fino agli agglomerati di tombe cosiddette “sciamaniche” del periodo natufiano – piuttosto che nella loro arte pittorica superstite». David Wengrow, Gods and Monsters: Image and Cognition in Neolithic Societies, «Paléorient» 37/1, 2011, pp. 154-55.
5.Una chiosa sulla parola «anima». Si tratta chiaramente di un termine «occidentale» che ha specifiche connotazioni religiose, e non dovrebbe quindi essere applicato a tutte le fedi. Nell’uso che se ne fa qui, tuttavia, è un sinonimo di «essenza spirituale», e se preferite può essere sostituito con «mente». Per uno dei primi usi della parola «anima», si veda la recente scoperta di una stele funeraria a Zincirli (l’antica Sam’al), nei pressi dell’odierna Gaziantep, in Turchia, in Dennis Pardee, A New Aramaic Inscription from Zincirli, «Bulletin of the American Schools of Oriental Research», 356, 2009, pp. 51-71; J. David Schloen e Amir S. Fink, New Excavations at Zincirli Höyük in Turkey (Ancient Sam’al) and the Discovery of an Inscribed Mortuary Stele, «Bulletin of the American Schools of Oriental Research» 356, 2009, pp. 1-13; e Eudora J. Struble e Virginia Rimmer Herrmann, An Eternal Feast at Sam’al: The New Iron Age Mortuary Stele from Zincirli in Context, «Bulletin of the American Schools of Oriental Research», 356, 2009, pp. 15-49.
6.Benché siano tutti concordi sul fatto che nel Paleolitico superiore gli esseri umani seppellivano i loro morti, il dibattito è ancora aperto sulla possibilità che tale pratica esistesse anche nel Paleolitico medio e inferiore. Si veda a questo proposito Julien Riel-Salvatore e Geoffrey A. Clark, Grave Markers: Middle and Early Upper Paleolithic Burials and the Use of Chronotypology in Contemporary Paleolithic Research, «Current Anthropology» 42/4, 2001, pp. 449-79.
«Per diversi decenni» osserva William Rendu «gli studiosi hanno messo in dubbio l’esistenza della pratica della sepoltura in Europa occidentale prima della comparsa degli esseri umani anatomicamente moderni. Pertanto, un approccio che combinava un’indagine globale sul campo e il riesame dei resti neanderthaliani scoperti in precedenza è stato messo in atto nel sito di La Chapelle-aux-Saints, in Francia, dove l’ipotesi di una sepoltura neanderthaliana fu avanzata per la prima volta. Questo progetto ha concluso che il Neanderthal di La Chapelle-aux-Saints venne deposto in una fossa scavata da altri membri del suo gruppo e rapidamente ricoperto per proteggerlo da qualunque molestia. Queste scoperte attestano l’esistenza di sepolture neanderthaliane in Europa occidentale e la capacità cognitiva del Neanderthal di praticarle.» William Rendu, Evidence Supporting an Intentional Neandertal Burial at La Chapelle-aux-Saints, «Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America», 111/1, 2014, p. 81.
Le prime e meno controverse prove materiali di sepolture neanderthaliane provengono dai siti di Skhul e Qafzeh, in Israele, e risalgono all’incirca a 100.000 anni fa. Tuttavia, ossa sepolte di Neanderthal sono state rinvenute in tutta l’Europa e l’Asia, per esempio a Teshik Tash, in Asia centrale, e a Shanidar, in Iraq, dove venne scoperta una grande grotta in cui erano sotterrati diversi Neanderthal. Alcune di queste sepolture indicano pratiche cannibalesche. Si veda Rainer Grun et al., U-series and ESR Analyses of Bones and Teeth Relating to the Human Burials from Skhul, «Journal of Human Evolution», 49/3, 2005, pp. 316-34; e André Leroi-Gourhan, The Hunters of Prehistory, trad. di Claire Jacobson, Atheneum, New York 1989, p. 52.
7.L’animismo non è una vera e propria religione, ovviamente; a quel punto della nostra evoluzione non c’era semplicemente nulla del genere. È meglio pensare all’animismo come a un sistema di credenze, una lente attraverso la quale Adamo ed Eva osservavano il mondo e il loro ruolo in esso.
8.Non mancano certo le teorie sull’uso e il significato dell’arte parietale paleolitica. Vi sono coloro che seguono il principio dell’«arte per l’arte», secondo cui non va necessariamente attribuito un significato intrinseco all’arte delle caverne. Sebbene questa teoria, che si basa essenzialmente su una scarsa stima delle capacità cognitive dell’uomo preistorico, sia stata più o meno abbandonata dal moderno mondo accademico, vanta ancora alcuni sostenitori, come per esempio John Halverson, che scrive: «Si propone che l’arte delle caverne non abbia nessun “significato” in nessun senso comune del termine, nessun riferimento religioso, mitico o metafisico, nessuno scopo pratico o magico. Va piuttosto intesa come il riflesso di una prima fase di sviluppo cognitivo, l’inizio dell’astrazione sotto forma di immagini rappresentate. Si tratterebbe di un’attività autotelica, una specie di gioco, nello specifico un libero gioco di significanti. Perciò l’arte paleolitica può benissimo essere stata, in un senso alquanto preciso e istruttivo, nient’altro che arte per l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dio
  4. Introduzione. A nostra immagine e somiglianza
  5. PRIMA PARTE. L’anima incarnata
  6. SECONDA PARTE. Il Dio umanizzato
  7. TERZA PARTE. Che cosa è Dio?
  8. Conclusione. L’Uno
  9. Ringraziamenti
  10. Note
  11. Bibliografia
  12. Indice