La giovinezza è sopravvalutata
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La giovinezza è sopravvalutata

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La giovinezza è sopravvalutata

Informazioni su questo libro

Tutto è iniziato il giorno in cui ho accompagnato mia madre a una visita da una nuova geriatra. In sala d'attesa la mamma si fa portare in bagno dalla badante. Un attimo dopo la geriatra apre la porta del suo studio, mi vede e mi fa: «Prego, s'accomodi…». Sto per dirle: "Guardi, c'è un equivoco. Sono qui per mia madre…" sennonché realizzo che i miei amici e i miei compagni di scuola è da quel dì che non sono più da considerarsi dei giovanotti… Nella vita i pensieri più seri e profondi scaturiscono spesso da una sciocchezza. È accaduto anche a Paolo Hendel che, dopo questa buffa coincidenza, si è lasciato andare alla lunga riflessione sull'invecchiamento che ha ispirato questo libro. Una riflessione seria e profonda, oseremmo dire filosofica, e al tempo stesso ironica, lieve, a tratti esilarante, perché Hendel, di mestiere, ha sempre fatto ridere la gente. Paolo sostiene di essere arrivato a trent'anni senza aver combinato nulla di indimenticabile, per imparare solo nei decenni successivi a godersi le cose più belle e ritrovarsi ora, a più di sessanta, entusiasta ma prudente, non più schiavo delle tentazioni e insieme padre attempato più accanito alla PlayStation di sua figlia dodicenne. Ma invecchiare non vuol dire solo questo. Perciò, incuriosito dal tema, con l'aiuto di Marco Vicari, autore televisivo e teatrale, e con la supervisione della geriatra, Hendel ha sentito l'esigenza di approfondire tutti gli aspetti di questa fase della vita: dalla fatica nel lavoro (per come vanno le pensioni oggi, ormai nei cantieri i vecchietti guardano altri vecchietti all'opera!) agli esami clinici che non finiscono mai. Non si è fermato nemmeno di fronte ai temi più difficili come l'Alzheimer (quando il cervello manda in prescrizione le cazzate che hai fatto), la prostata, che purtroppo non è un cibo come la bottarga, o l'osteoporosi, spesso un regalo della menopausa. Ne è nato un libro che alterna ricordi, note di saggezza e consigli pratici (della geriatra), spaziando da Leopardi alle badanti, dai supernonni alle bufale in rete, dalle carceri al sesso. Tra lacrime e risate, un libro sul senso della vita.

Domande frequenti

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Informazioni

Terza parte

MEMORIA, SQUALI, PANNOLONI E BADANTI
(Chiacchierando con la geriatra)

Tutto è iniziato da un articolo che ho letto su «la Repubblica» un anno fa, nel quale si sosteneva che il paziente ha più probabilità di guarire se il suo medico è donna, perché «le dottoresse ascoltano con più attenzione i malati». Questo risulterebbe da una ricerca che l’Università di Harvard ha condotto su un milione e mezzo di ultrasessantacinquenni.1 La cosa non mi ha sorpreso. Ho avuto la fortuna di avere come medico a Firenze la dottoressa Ilaria Meucci, donna di grande intelligenza, generosità e bravura (per non parlare della sua simpatia) che se n’è andata “prima del tempo” lasciando nel panico e nella disperazione i suoi tantissimi amici e pazienti (la vera “paziente” in realtà era lei, a sopportarci tutti!).
E così ho deciso di fissare un appuntamento per mia madre da una geriatra dell’ospedale di Careggi a Firenze: la dottoressa Maria Chiara Cavallini.
Intendiamoci, fino ad allora non eravamo certo rimasti con le mani in mano. Mia madre era stata visitata dallo psichiatra, dal neurologo, dal cardiologo e da un geriatra maschio, e ogni volta si era lamentata con le sue solite argomentazioni “scientifiche”: «Non ho bisogno di tutte queste visite, io in realtà sto benissimo e poi quel dottore lì mi sta antipatico».
Arrivato il giorno della visita, accompagno mia madre dalla nuova geriatra. In sala di attesa si fa portare in bagno dalla badante. Un attimo dopo la geriatra apre la porta del suo studio, mi vede e mi fa: «Prego, s’accomodi…».
Sto per dirle: “Guardi, c’è un equivoco. Sono qui per mia madre…” sennonché realizzo che i miei amici, i miei compagni di scuola di un tempo e i miei colleghi di lavoro, che hanno all’incirca la mia stessa età, è da quel dì che non sono più da considerarsi dei giovanotti. A quel punto, infischiandomene di mia madre (da anni accuratamente monitorata da fior di specialisti) sorrido alla dottoressa ed entro nel suo studio.
Sarà l’inizio di una lunga amicizia…
1 Tsugawa Y et al, Comparison of Hospital Mortality and Readmission Rates for Medicare Patients Treated by Males vs Females Physicians, «JAMA Internal Medicine», 2017.

Quando il cervello manda in prescrizione tutte le bischerate che hai fatto

(L’Alzheimer)

Cena con sorpresa finale

Lo ammetto, in questi ultimi anni, rispetto ai miei fratelli, non sono stato un figlio molto presente nei confronti di mia madre che, da quando è morto il babbo, vive da sola con la badante. Un bel giorno ho deciso quindi di andare a trovare la mamma e cenare con lei. Meglio evitare il ristorante, visto che ha sempre da ridire sul menù (i giudici di MasterChef in confronto a lei sono degli agnellini).
Ceniamo in casa e la badante ne approfitta per una breve uscita serale (la sua ora d’aria), ma prima di abbandonare il campo ci lascia la cena pronta. Invecchiando, mia madre predilige i piatti semplici: pasta al burro, pollo, patate lesse, la mela cotta, niente vino. Tutti cibi sani, non lo metto in dubbio. Dopo non hai bisogno dell’antiacido, ma di un antidepressivo magari sì. Cena veloce, oltre che parca.
Racconto a mia madre qualcosa della scuola di mia figlia e lei, da ex insegnante, si dimostra interessata. Mi chiede del mio lavoro e parliamo un po’ dei miei fratelli. Le chiedo come si trovi con la nuova badante e mi dice che va tutto benissimo. Insomma, mi tranquillizzo nel vedere che è tutto a posto.
Nonostante l’età e qualche “normale” acciacco la mamma è ancora lucida e se la cava bene. Dopo cena è stanca. La badante, che intanto è tornata, la mette a letto. Mi affaccio alla porta della camera per dirle che vado via e la saluto. Lei mi guarda con stupore e mi fa: «Ma come, Carlo, non vieni a letto?». Mia madre mi ha scambiato per suo marito (nonché mio padre), Carlo appunto, invitandomi ad andare a letto con lei. Dopo questo evento abbiamo portato la mamma da uno specialista (niente di che, l’ha trovata solo un po’ confusa a causa dell’età). Io, in compenso, ho dovuto raddoppiare le sedute di psicanalisi.

Non ho parole

La mattina seguente a quella particolare cena, a confermare i miei dubbi sul suo stato, la mamma mi telefona e mi fa: «Paolo, non mi vieni mai a trovare! Perché non vieni una sera a cena?».
Se a questo aggiungo la totale mancanza di lucidità di mio padre negli ultimi anni della sua vita, si può capire il perché delle mie preoccupazioni riguardo alla mia vecchiaia. Che probabilità ci sono che alla fine rincoglionisca anch’io? Da bravo ipocondriaco, qualsiasi piccola dimenticanza diventa così per me un campanello d’allarme. Ad esempio, da sempre ci sono delle parole che, quando mi servirebbe usarle, si rifiutano di venirmi in mente. Una di queste, chissà perché, è “guarnizione”. Pazienza, quando perde un rubinetto chiamo l’idraulico e gli dico: «Mi sa che va cambiato il “coso” del rubinetto». Così come non mi viene mai in mente il nome dell’attore americano di Mezzogiorno di fuoco, Gary Cooper. Anche ora, per ricordarmelo, ho dovuto cercare su internet il titolo del film e ho così trovato quello dell’attore. Perché mi ricordo il nome di quel guerrafondaio di Charlton Heston, a suo tempo presidente della lobby americana delle armi, e non mi ricordo quello di Gary Cooper? Non ne ho idea.
Il guaio è quando cominci a dimenticartene anche altre, di parole. Per non dire dei nomi delle persone, per cui chiami tua moglie col nome di tua figlia, tua figlia col nome di tua sorella e magari tua sorella, e questa è più grave, col nome di tuo fratello.
Nella vita posso scordarmi di tante cose, ma ce n’è una di cui raramente mi scordo: la paura, sempre in agguato, di avere qualche malattia in arrivo. Ipocondria, ecco una parola non facile che però mi ricordo facilmente.
Considerando le mie sempre più frequenti, piccole amnesie quotidiane ho deciso di raccontare tutto alla dottoressa Cavallini e di farle una domanda che probabilmente anche voi, miei coetanei o giù di lì, siete tentati a volte di porre al vostro medico (se già non l’avete fatto): «Dottoressa, mi capita spesso di scordarmi parole di uso comune e di fare confusione con i nomi delle persone. Avrò mica l’Alzheimer?».

La gran confusione sul tema
(Non date sempre la colpa all’Alzheimer)

La dottoressa, dopo aver ascoltato attentamente il mio racconto, dalla “guarnizione” a Gary Cooper, ha tirato un sospiro (non di sollievo. Deve aver capito di non avere davanti un caso facile…). Poi, con pazienza, ha iniziato a spiegarmi un concetto fondamentale:
Una cosa è l’Alzheimer e una cosa è una banale disattenzione, scordarsi ogni tanto un nome o una parola. Questi episodi, se isolati, possono essere manifestazioni passeggere comuni anche nel normale invecchiamento, quando il nostro cervello è meno “pronto” a richiamare informazioni, ad apprenderne velocemente di nuove o a sostenere più attività contemporaneamente (il cosiddetto “multitasking”).
Quindi non è Alzheimer quando in macchina sto guidando col navigatore inserito, i tergicristalli in azione, la radio accesa e, se arriva una chiamata, vado in tilt restando con un dito a mezz’aria, indeciso su quale tasto premere, e alla fine, invece di premere il tasto “rispondi”, metto le quattro frecce. Il problema vero, semmai, è quando devo mettere le quattro frecce e per sbaglio telefono alla mamma!
Non bastano singoli episodi di sbadataggine per parlare di demenza o Alzheimer, come dimenticarsi un appuntamento o il latte sul fuoco. Altra cosa è se uscendo di casa ti dimentichi sistematicamente la porta aperta, o peggio il gas, o peggio ancora sia la porta sia il gas e magari, al ritorno, non ti ricordi nemmeno la strada di casa (anche se per ritrovarla ti basterebbe seguire i vigili del fuoco chiamati dai tuoi coinquilini dopo l’esplosione).
Insomma, ragazzi, niente allarmismi e nel dubbio c’è comunque un modo per capire se si tratta di una normale dimenticanza o un’amnesia da Alzheimer: se è una semplice dimenticanza, prima o poi le cose ce le ricordiamo. Ad esempio, ci ricordiamo, anche se in ritardo, che abbiamo fatto il bucato e che bisogna svuotare la lavatrice. Nel caso dell’Alzheimer, invece, quel “secondo momento” non arriva mai. Non solo non ti ricordi del bucato ma nemmeno di averci una lavatrice e magari non ti ricordi nemmeno di avere dei vestiti e di doverli indossare prima di uscire. Questo spiega perché ai malati di Alzheimer può capitare di ritrovarsi in pigiama a vagare per la città. Altra cosa, invece, è se avete un nipote che va in giro con i pantaloni abbassati dietro e le mutande in bella vista (se non direttamente il culo): quello non è Alzheimer, è un altro tipo di “demenza”, molto diffusa e più leggera, che si chiama “moda”:
Il fatto è che, superata una certa età, quando la memoria fa cilecca tendiamo subito a tirare in ballo l’Alzheimer che è una cosa ben più complessa rispetto a una semplice perdita della memoria. È un processo di graduale ma progressivo deterioramento delle funzioni cognitive tale da alterare la capacità del soggetto di svolgere in autonomia le attività della vita quotidiana.
Mi spiega la dottoressa Cavallini che le funzioni cognitive, oltre alla memoria, comprendono anche altre capacità del cervello, come quella del linguaggio. Quando questa viene compromessa dalla malattia, può capitare al malato di sbagliare i nomi e magari potrebbe chiamare “chibbiere” il bicchiere.
Se invece, mentre fate l’amore, sbagliate il nome di vostra moglie e la chiamate con il nome di un’altra, allora non è Alzheimer e non è compromesso il linguaggio. Lì l’unica vostra funzione compromessa sarà quella motoria dopo che vostra moglie vi avrà preso a calci nel sedere. Anche per questo dai sessant’anni in su è sconsigliato avere un’amante, e lo è più per gli uomini che per le donne. In base alla mia personale esperienza posso infatti affermare che se sono le donne a maturare prima degli uomini, in compenso sono gli uomini i primi a rincoglionire, modestia a parte.
All’Alzheimer si associano anche disturbi di altre aree cognitive, ad esempio quelle che permettono di ideare, pianificare e programmare compiti complessi, come organizzare un viaggio in treno…
Preferisco non dire alla dottoressa Cavallini che io ho sempre trovato piuttosto complicato prendere un treno, ancor più oggi che devi acquistare il biglietto online. Che bello quando si faceva la coda davanti alla biglietteria! Arrivato il tuo turno pagavi e te ne andavi tranquillo e sereno con in mano il tuo bel biglietto cartaceo da obliterare. Adesso il biglietto ce l’hai da qualche parte nel tuo smartphone e magari, alla fine, ti sbagli e al controllore gli mostri le foto della tua colonscopia.
Mano a mano che l’Alzheimer progredisce peggiorano anche il linguaggio e la capacità di compiere alcune azioni semplici. Capita anche che il malato indossi sempre i vestiti del giorno prima o si vesta in modo trasandato, compiendo errori banali come lasciarsi il pigiama sotto il maglione o mettersi il reggiseno sopra la camicia…
A essere sincero, quando passo le giornate in pigiama davanti al computer, se devo uscire di corsa per fare la spesa o per accompagnare mia figlia da qualche parte capita anche a me di mettermi al volo un paio di pantaloni e un maglione sopra il pigiama, ma anche in questo caso la dottoressa Cavallini mi rassicura:
Quello non è Alzheimer, è solo cialtroneria. [La ringrazio per la sincerità!] Col progredire della malattia può capitare anche che il malato di Alzheimer, a causa del disorientamento nello spazio e nel tempo, esca di casa e parta per chissà dove, spesso perdendosi.
Per fortuna esistono dei GPS capaci di rintracciare le persone anziane, una sorta di equivalente dell’App «Trova il mio iPhone»: «Ritrovami il nonno». Tra i dispositivi presenti in commercio esiste anc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA GIOVINEZZA È SOPRAVVALUTATA
  4. Prima parte. L’IMPORTANTE È CHIUDERE IN BELLEZZA
  5. Seconda parte. SCEGLITI UNA FAMIGLIA DI LONGEVI
  6. Terza parte. MEMORIA, SQUALI, PANNOLONI E BADANTI (Chiacchierando con la geriatra)
  7. Epilogo
  8. Indice