Una canna da pesca per mio nonno
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Una canna da pesca per mio nonno

  1. 108 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Una canna da pesca per mio nonno

Informazioni su questo libro

Racconti freschi, affascinanti, in cui la materia narrativa è un'evocazione dalla quale nascono sogni, riflessioni, ricordi e in cui prende vita una prosa controllata e vibrante. I personaggi sono enigmatici, lievi e i fatti narrati rapide tracce di esistenze balenanti. In una lingua limpida e cristallina, duttile e musicale Gao riesce a farci comprendere un mondo lontano e per molti versi misterioso, parlando direttamente alla nostra sensibilità e alle nostre inquietudini. Federico Rampini ci ricorda che "Gao Xingjian è l'unico autore cinese ad aver vinto il Premio Nobel per la Letteratura, eppure per la stragrande maggioranza dei suoi connazionali è uno sconosciuto. Il regime di Pechino ha stabilito che lui non esiste". Prima del suo esilio parigino e del massacro di piazza Tienanmen, Gao ebbe un ruolo fondamentale nel suo paese, come autore e come traduttore. Poi più nulla. Su di lui si abbatté la censura di Stato, che non tollerò la sua straordinaria modernità e universalità. Perché l'idea che esista un linguaggio universale tocca le fondamenta di ogni regime autoritario, di chiunque difenda una presunta diversità di valori per respingere ogni critica sulla violazione dei diritti umani e della libertà.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
Print ISBN
9788817033244
eBook ISBN
9788858691854

ATTIMI

È solo sulla spiaggia, allungato su una sdraio di tela, con le spalle al mare. Il vento è forte. Il cielo è nitido, non c’è traccia di nubi, la superficie del mare riflette i raggi abbaglianti del sole, il viso si intravede appena.
Una enorme porta di ferro trasuda umido, è macchiata di ruggine, un rivolo d’acqua da una invisibile gronda scorre ininterrotto verso il basso. I due battenti della pesante porta si aprono lentamente e, man mano che si allarga lo spiraglio, si diffonde concitata l’eco del traffico stradale. I grattacieli a schiera che si parano davanti allo specchio della porta ostruiscono la luce del sole. Continua il lamento delle sirene delle vetture della polizia, una dopo l’altra.
Il profilo di una donna nell’andito oscuro della porta che dà sulla sala; non accende la luce, ha il cappotto, indugia un istante, la mano appoggiata sulla maniglia della porta, ne apre uno spiraglio e va via. La maniglia ruota lentamente indietro, e con uno scatto la porta si richiude.
Il sole è tiepido, invita al sonno. Chiude il libro, si appoggia allo schienale della sdraio, mette degli occhiali neri, due piccole lenti tonde gli parano gli occhi. Poi prende un cappello nero a tesa larga, se lo calca sul viso, e ascolta solo il rumore del mare.
Le onde conquistano la spiaggia, e prima che riescano a ritirarsi sono già inghiottite in un risucchio dalla sabbia, lasciando qua e là tracce di schiuma giallastra.
Il braccio che pende gli formicola. Le formiche si arrampicano su, prima è una sola, poi una dopo l’altra si susseguono in fila indiana su per il suo braccio.
Lei dice che è stato molto eccitante fare l’amore con due uomini, davanti al camino. È stesa di traverso sul letto, la testa poggiata sul bordo, gli occhi chiusi, fuori del cerchio della luce. La lampada illumina solo i suoi capelli sparsi, la sottoveste e il collant gettati a terra.
Lui ha l’impressione che la marea stia salendo, l’acqua lambisce i piedi della sdraio, indugia un attimo, poi si ritrae. Nell’aria si diffonde una melodia antica, leggiadra e triste, sembra una nenia funebre cantata da una contadina, o il dolce lamento di un vecchio flauto.
Con un guizzo della caviglia, lei si toglie rapida le scarpe, e si china per indossarne un altro paio, nuove. Una, col tacco consumato, la getta in fondo al corridoio.
La foto in bianco e nero di un manifesto mostra una donna in punta di piedi, della quale si vede solo la parte inferiore del corpo con la gonna tirata su a esibire uno splendido paio di gambe, ancora una pubblicità di una marca di scarpe, affissa nei sottopassi delle stazioni della metropolitana. Sul binario una vecchia con al braccio un borsone vuoto, e un uomo di mezza età seduto che sta leggendo il giornale. Arriva il treno, alcune porte si aprono, altre no, quelli che scendono vanno verso l’uscita, e nessuno fa neppure cenno di alzare la testa per un’occhiata alla pubblicità. Sul binario resta soltanto la sagoma di uno, ma poi arriva qualcun altro e anche questa svanisce.
I quattro piedi della sdraio ora sono completamente immersi nell’acqua, che continua a salire. E ancora quella melodia triste, che ora si è fatta più indistinta, sembra sempre più il suono di un vecchio flauto.
Lei dice che vorrebbe un uomo che pesasse il doppio di lei per schiacciarlesi addosso. Nell’oscurità, è stesa sul letto, i grandi occhi aperti. Lui, a torso nudo, è seduto al tavolo e le domanda, senza voltare la testa, se ce la farebbe. Lei dice che adora esser schiacciata tanto da perdere il fiato, e poi si mette a ridere. Risuona metallico il segnale del computer.
La melodia si fa sempre più sonora e confusa allo stesso tempo, come il suono del vento che fischia fra la carta incollata alla finestra, mescolato al vorticare dei granelli di sabbia, la melodia è sempre più indistinta, ma resta penetrante. L’acqua ormai arriva a lambire il fondo della sdraio, che ondeggia piano.
Sta seduto davanti al computer, la sigaretta che gli pende dalla bocca. Sullo schermo illuminato compare una lunga frase: «Che cosa non capire che cosa capire non capire che cosa capire e non capire che cosa è capire e ancora che cosa è non capire che cosa è che cosa non è non capire è non pensare di capire oppure davvero non capire qualcosa perché voler capire oppure volere o non voler capire è davvero non capire oppure non voler capire o davvero non capire oppure fingere di non capire ostinarsi a non capire o mostrare di capire di proposito voler capire ma non capire fondamentalmente voler capire ma non capire sinceramente non capire e non capire non capire come prima perché affannarsi a capire...».
Un pagliaccio da circo col naso imbiancato suona la fisarmonica, apre e chiude il mantice, apre e chiude, chiude e apre, e la fisarmonica si allunga, poi si restringe, l’organetto si spacca e il suono si interrompe.
Nell’aria resta soltanto il suono del vento e delle onde, la luce del sole è accecante.
Mette nel posacenere la cenere che stava per cadere dalla sigaretta e, andando a ritroso sullo schermo, cancella una dopo l’altra le parole della frase ancora incompiuta.
Con le mani mischia le pedine del mahjong, ne sceglie una, la tasta, appare un «drago rosso», ne tocca un’altra, è un «drago verde», poi prende un «drago bianco», le scopre una dopo l’altra, un «rosso», un «verde», un «bianco». Continua con un altro «verde», poi un «rosso», un «bianco», e poi «verde», «rosso», «bianco», un «vento dell’est», un «verde», un «rosso», un «vento», un «Nord», un «Est», un «Sud», un «vento», un «Ovest», un «Nord», ha scoperto tutte le pedine, e ricomincia a mescolare.
«Raccontami una favola!» Si gira, la luce della lampada sul comodino gli illumina la nuca, e guarda nella penombra sul letto il corpo nudo di lei inarcato come un pesce.
Una sedia vuota galleggia dritta sull’acqua, riflessa tra le onde. Dal mare non si percepisce alcun rumore, nell’aria vaga soltanto un suono grave, monotono e persistente.
Un bimbetto all’angolo di un muro sta singhiozzando forte, ma non si sente nulla. È un muro di pietra su cui rigogliosa si arrampica l’edera primaverile, che i raggi del sole illuminano di taglio.
Su di un prato verde smeraldo tagliato di fresco, un uomo di una certa età che indossa una camicia bianca col colletto sbottonato, i pantaloni retti da bretelle, sta tirando una corda, fa un certo sforzo, ma se la prende comoda.
Sta in piedi, per strada, davanti a una vetrina, prima non ci fa caso, ma poi si mette a leggere sempre più attento quello che c’è scritto dentro. La strada è deserta, a parte uno o due passanti.
Lei sta in piedi all’incrocio, mentre il fiume delle macchine scorre senza posa. Attraversa senza attendere il rosso. Una macchina arriva veloce e lei affretta il passo per rifugiarsi sulla bianca linea spartitraffico, osserva la direzione delle macchine, e poi, tenendo dietro a una piccola vettura che è appena passata, attraversa a piccoli passi, arrivata sul marciapiede sale dei gradini, ci pensa un po’ su, e poi digita un numero di codice sulla tastiera a lato di un portone, allo scatto della porta spinge ed entra. Prima che la porta lentamente si richiuda, gira indietro la testa, ma nell’androne scuro il suo viso si intravede appena.
Sull’acqua, la sedia non c’è più. Solo schiuma. Il suono grave continua a tratti, sembra galleggiare nell’aria, non si interrompe mai davvero, è una sorta di sottofondo.
La pioggia gocciola sulla vetrina, lui se ne va. La vetrina è piena di annunci di vendite di case, con i prezzi. Alcuni hanno anche le foto, sono quasi tutte residenze private, di campagna. Quelli delle case in affitto, se il prezzo è basso, sono tutti barrati con la scritta in rosso «AFFITTATO», in bella calligrafia.
Ecco arrivare un altro uomo a tirare la corda, tutto ben vestito, con la cravatta a farfalla, fa un saluto all’uomo di mezza età che porta le bretelle, impugna la corda, ed eccoli entrambi, tra una chiacchiera e una risata, impegnarsi, pur senza troppa fatica, nel loro lavoro. Da qualche parte, non lontano, arriva lo stridere di uno scontro, e l’ultimo arrivato aggrotta le sopracciglia.
Sulla superficie del mare galleggia una bottiglia vuota di acqua minerale, che danza sulle onde. La luce del sole è sempre magnifica, il cielo è tanto limpido da sembrare finto ma, forse proprio per la troppa limpidezza, la troppa luminosità, la eccessiva vastità, la bottiglia di plastica vuota che galleggia lontano diventa completamente scura, quando le onde riflettono i raggi accecanti del sole, sembra un uccello acquatico, o un altro oggetto galleggiante. Il suono continuo è cessato non si sa quando, come un filo che ondeggia al vento, ormai perduto.
«Qui, in riva al mare, è arrivata una coppia di cigni, poi ne è rimasto uno solo, l’altro, forse sarà stato ammazzato per farne un trofeo, e dopo un po’ anche quello rimasto è volato via.» È la voce di una donna, che chiaramente sta parlando a un uomo, e mentre lei dice questo, l’oggetto che galleggia sempre più lontano sembra proprio qualcosa di vivo, un uccello acquatico.
Anche un uomo con gli occhiali guarda i due che tirano la corda, li osserva attento attraverso le lenti, poi si leva gli occhiali, li pulisce per bene, come se altrimenti non riuscisse a vedere, e non si sa se ci vede o no, o se gli interessi o meno di vedere, semplicemente mette gli occhiali in tasca e raggiunge gli altri due a tirare la corda.
Sta in piedi in mezzo a una stradina deserta, il cui lastrico si arrampica fino all’estremità, vecchie case in pietra ne costeggiano i bordi, e siccome le imposte dei negozi sulla strada non chiudono bene, sono protette da serrande di ferro. Alza la testa per osservare intorno, in alto le finestre hanno tutte le tende chiuse, sono al buio, rimane solo una striscia lunga e sottile di cielo azzurro. Là dove la superficie della strada e il cielo si incontrano nulla impedisce di pensare che ci sia il mare. Dei gabbiani volteggiano nel cielo, con grida acute, forse per il bisogno di cibo, forse per esprimere piacere, una lingua che gli uomini non comprendono. Ma non è importante capire o no, l’importante è che questi uccelli stanno volando vigorosi in mezzo al cielo azzurro, e stanno gridando forte.
Ha il viso rivolto verso il lungo rettangolo di cielo di un intenso azzurro incastonato fra le case ai due lati della strada, il suo profilo si staglia come carta ritagliata, la cravatta ondeggia al vento, unico oggetto in movimento in mezzo alla strada in ombra.
Lei dice di non sapere cosa dovrebbe fare! Ha la voce concitata. Lui invece è freddo, dice di sapere benissimo quel che deve fare, ma che non ce la fa. Nell’oscurità lei si arrampica sul letto e, prona, tira su i piedi e li sbatte l’uno contro l’altro. Lui si siede davanti alla lampada, batte sulla tastiera, e sullo schermo compaiono in ordine:
Immagine 1 ATTIMI
Di quell’ombra di spalle si vede solo la cravatta che ondeggia alla brezza ma, girando fino a guardarlo di fronte, ci si accorge che è un manichino appendiabiti, con la testa senza volto, e i vestiti che danzano seguendo il vento. Il piedistallo è appoggiato sul marciapiede, per strada neppure un passante, e nemmeno automobili, anche le porte del negozio sono tutte sbarrate.
Un gabbiano grida forte, scende in picchiata e si tuffa nell’acqua, mentre altri restano a galleggiare sul mare. Lontano, in superficie, si susseguono onde gonfie di schiuma bianca. Il rombo sordo, cadenzato delle onde arriva piano, più lento del montare della marea.
Quando l’eco tumultuoso delle onde finalmente si avvicina, si vede quel gabbiano che vola via dall’acqua, il collo teso, le ali spiegate, i grandi occhi spalancati, le piume lucenti.
Una mela rossa, rotonda, striata di verdeazzurro, come lucida di cera, pulitissima, ruota lentamente, poi la mano delicata della donna, che l’aveva presa per osservarla minuziosamente, la posa di nuovo.
Sulla tavola coperta da una tovaglia bianca, vino rosso come sangue nei bicchieri di cristallo finemente intagliato, posate che tintinnano leggere. Dietro i bicchieri, uomini con irreali abiti da sera con cravatte e papillon, e scollature ingioiellate, altrettanto irreali, come le spalle nude delle donne. Gli uomini stanno parlando, ma non si riesce a sentire di che, pur se in modo disteso e allegro.
La mano della donna si mette di nuovo a rigirare lentamente la mela, e la conversazione intorno alla tavola diventa gradualmente percettibile: molto affettuoso... Barbara... davvero interessante... non prendo il dolce... Lili mangi troppo poco... grazie... fantastico... che dice... scusi... d’estate... un antiquario... geniale... vado a Hong Kong... non capisco la guerra... omosessuale... una sorta di tensione... oh, no... davvero adorabile... uno scoop... un massaggio per i piedi... un bagno turco... non ha il suo stile... perché... difficile da dire... provaci... ieri pomeriggio... lei è pazza... non è riutilizzabile... il gatto di casa... troppo doloroso... forse è vero... il governo... come si chiama... una birra scura... scoprire... un vero idiota...
Un Buddha dalla tunica scarlatta, aperta, decorata di fili d’oro, ornata di svastika, di simboli propiziatori, il mento arricchito da pieghe di grasso, le mani a reggere il grosso ventre tondo, tranquillamente assiso nella meditazione, sulla mensola di marmo nero del camino, l’espressione felice, in piena tranquillità, le labbra aperte in un ampio sorriso. A guardarlo da vicino, sembra quasi uno sbadiglio. E ad andare ancora più vicino, gli occhi semichiusi sembrano addormentati. Ma se ci si avvicina ancora, sembra rovesciare il bianco degli occhi, indescrivibile.
Entra in un bar, si siede su un alto sgabello, il cameriere porta due grandi bicchieri di birra e glieli posa davanti. Nel bar, alla luce delle lampade di un blu fluorescente, si distinguono appena i visi dei pochi avventori, completamente assorti nel bere, soltanto un pianoforte sistemato davanti, su una piccola pedana, è illuminato, una negra sta suonando. Un blues, triste. Lei è vecchia e brutta, un vero rospo, ritmicamente carezza la tastiera, così concentrata, così attenta, come se toccasse il suo amante. Accanto a lei, un negro vecchio come lei, una corona di crespi capelli grigi gli circonda la testa. Lui picchia sui tamburi grandi e piccoli che lo circondano, e ogni tanto si avvicina al microfono per cantare qualche frase.
Il fuoco nella stufa è incandescente, la legna che brucia emette crepiti e scoppi, anche da lontano si sente il sibilo dell’aria aspirata dentro il camino. Intorno al camino bordato di marmo nero non c’è un filo di cenere. Davanti è disteso un folto tappeto di lana.
Proprio ora arriva il quarto uomo, porta una giacca di pelle, senza dire una parola si mette anche lui a tirare la corda. Sono tutti molto impegnati, impassibili, la corda è tesa. Una mano dopo l’altra, tirano senza perdere un colpo, con tutte le forze.
«Un piccolo cinese...» canta in inglese il vecchio negro, ma non guarda lui. La vecchia negra carezza veloce la tastiera, prostrata sul pianoforte, si dondola, ubriaca o stregata, immersa nella musica, e non guarda lui. Nel bar, in quella luce blu fluorescente, nessuno guarda gli altri, tutti completamente presi dalla musica sembrano un gruppo di marionette che continuano a muovere la testa.
Il cavallo ha sollevato le zampe anteriori, i garretti ricoperti di folti peli. «Va in giro per il mondo...» canta la voce del vecchio negro.
La vecchia negra piazza un accordo, un suono cupo, che risuona sotto gli zoccoli dei cavalli. «Va in giro per il mondo, va in giro per il mondo...», mentre canta il vecchio negro percuote la batteria, e il pubblico segue il ritmo muovendo la testa.
La corda scorrendo avanza tra le mani degli uomini, sotto di essa, sul prato verde, i piedi calzati di scarpe di cuoio restano saldi, spingendo con forza.
Spruzzi di schiuma schizzano alti, le onde battono sullo sbarramento. Sotto, la marea monta, la spiaggia è ormai completamente scomparsa. Il sole è forte come al solito, mentre il cielo e il mare sembrano ancora più azzurri.
Alla fine appare l’est...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione di Federico Rampini
  4. UNA CANNA DA PESCA PER MIO NONNO
  5. IL TEMPIO DELLA GRAZIA PERFETTA
  6. L’INCIDENTE
  7. IL CRAMPO
  8. IN UN PARCO
  9. UNA CANNA DA PESCA PER MIO NONNO
  10. ATTIMI
  11. Indice