CAPITOLO UNO
La luce del sole si riflette sulle finestre del quindicesimo piano in un’assolata New York di fine maggio.
Anthony rosicchia nervosamente la sua matita gialla a strisce nere. Un tic nervoso che lo affligge da quando era bambino.
Spostando lo sguardo dal foglio bianco che ha davanti, incrocia l’occhiata di disapprovazione del direttore generale, costretto in un gessato troppo stretto. Per vendetta, immagina che la pancia gli scoppi e le viscere si disperdano nella stanza andando ad affrescare il grafico che il suo collega della divisione marketing sta commentando con una punta di innegabile compiacimento.
«Come potete notare, negli ultimi tre mesi si è registrato un netto incremento delle vendite dei divani Soft and Cheap. Linea elegante e prezzo contenuto hanno fatto sì che questo articolo si aggiudicasse un’ampia fetta di mercato.»
Il collega continua a parlare, ma Anthony sembra non ascoltare. Si massaggia delicatamente le tempie per cercare di dominare la tensione.
È un vero miracolo che Jason sia riuscito a invertire la tendenza delle vendite nel settore divani. Invece, l’ambito in cui da diversi anni lavora lui ha registrato un penoso calo nell’ultimo trimestre.
Che un certo tipo di arredamento etnico abbia fatto ormai il suo tempo sembra essere una convinzione solo sua. La Beautiful House non vuole saperne, infatti, di svecchiare quel ramo ormai obsoleto.
«Cancellare l’etnico sarebbe un errore» pensa sospirando, «ma perché non innovarlo?»
Mentre lui si tortura con questi pensieri, una bionda con i segni dell’età celati sotto un trucco pesante lo osserva divertita. Probabilmente sta ancora pensando al loro incontro nel piccolo ufficio riservato alle fotocopie.
Le otto di sera, il piano completamente deserto. Loro due da soli. Completamente soli.
Si schiarisce la voce abbassando lo sguardo. Lei tenta un approccio da sotto il tavolo, allungando il piede sopra il suo fino a sfiorarlo.
Il bel viso di Anthony si contrae in una smorfia di fastidio.
Jane, offesa dall’inaspettato rifiuto, si ritrae. Ora il suo volto maturo ospita un’ombra di delusione.
La riunione continua anche senza la loro attenzione.
Al termine dell’intervento di Jason, il direttore generale si alza in piedi battendo le mani, seguito da tutti i presenti.
Pure Anthony, anche se a scoppio un po’ ritardato, fa altrettanto. Si sente come uno dei personaggi a carica della sua infanzia, dotato di due piatti musicali, uno per mano, che girando una semplice chiavetta sbattevano l’uno contro l’altro.
Si slaccia i primi due bottoni della camicia. È arrivato il suo turno. Vorrebbe sottrarsi a quell’ingrato compito, ma non gli è possibile. Si schiarisce la voce, si alza in piedi e prende il posto del collega davanti allo schermo.
Due ore dopo è già parte della marea umana che si accalca nel Financial District di Manhattan. Si guarda intorno disorientato, come se non avesse mai visto quel calderone di umanità varia. Si sente invisibile, fra la gente indaffarata che corre chissà dove, come fosse inseguita da un branco di famelici Tirannosaurus Rex.
Controlla il suo BlackBerry, dopo averlo sentito vibrare nel taschino della giacca.
Ha perso il conto degli anni trascorsi dal suo primo incontro con Jennifer.
«Da me o da te?» gli domanda lei, senza giri di parole.
«Tuo marito?»
La voce della donna è tremendamente annoiata: «È nel New Hampshire a un torneo di golf».
«Da te. Ho un bisogno urgente di fare una lunga doccia rigenerante.»
Jennifer ride, di un riso sgraziato.
Poi, con voce chioccia, risponde: «Di bagni ce ne sono quanti ne vuoi a casa mia».
L’uomo annuisce: «D’accordo. Fra mezz’ora sarò lì».
Si infila nel sottopassaggio della metropolitana e scende le scale facendosi largo fra la folla, quasi a fatica.
Si domanda perché la vita sia così maledettamente difficile, ma non sa trovare una risposta ragionevole.
Sulla metro, un bambino fa scoppiare la gomma da masticare che gli si appiccica sul viso. Una donna sulla quarantina, presumibilmente la madre, con un gesto nervoso, gli assesta uno scappellotto. Il bambino piange e non smette più.
Anthony cerca di allontanare i ricordi che gli si affollano alla mente.
Qualcosa, approfittando della stanchezza e del calo delle difese, sta spingendo per demolire le barriere protettive.
A volte, fermare la memoria è un gesto di pura sopravvivenza. Lo ha fatto per tanti anni, ma ora quelle scene si impongono alla sua attenzione con una forza inaudita. Le allontana, infastidito, rimandandole a un altro momento o eliminandole per sempre. Questo è ciò che spera.
Le facce dei suoi compagni di viaggio sono inespressive.
Un ragazzo vestito con un paio di pantaloni logori e con il viso perforato da piercing muove la testa in maniera convulsa, ascoltando canzoni ritmate.
Un’anziana signora cerca di digitare un messaggio sulla tastiera del telefonino. Lo fa con estrema lentezza, dopo aver inforcato un paio di occhiali dalle lenti rotonde.
Una ragazza con un trasportino guarda attraverso le fessure una pallottola di pelo grigio. Chissà se quel gattino riesce a dormire perfino in mezzo a quella confusione?
Prima fermata. Anthony azzera i pensieri.
Seconda fermata. Una marea umana fa il suo ingresso nel vagone, quasi assorbendo la poca aria residua.
Terza fermata. È pronto per scendere.
Si guarda intorno con aria furtiva, sentendosi stupido, mentre legge sul display un nuovo messaggio di Jennifer.
«Ma dove sei finito?»
Infila nervosamente il BlackBerry in tasca, accelerando il passo.
Il mondo va tremendamente in fretta. La vita va tremendamente in fretta, e a lui sembra di rimanere costantemente indietro.
Inspira ed espira per spezzare la tensione.
Guadagna l’uscita della metro, attraversando il tornello. All’aria aperta boccheggia come un pesce rosso scivolato per sbaglio fuori dalla sua boccia di vetro.
Passa davanti alla vetrina di un elegante negozio di abbigliamento. Vi si vede riflesso: mascella volitiva, occhi color smeraldo, capelli corvini perfettamente curati, camminata atletica. Non una traccia di imperfezione. Non esteriore, per lo meno, ma nel suo cuore è in atto una guerra all’ultimo sangue fra l’Anthony di sempre e quello che preme per cambiare.
Lui ancora non lo sa. Avverte solo una sensazione di larvata insoddisfazione e a tratti è furente con gli altri e con se stesso.
Gira l’angolo e suona il citofono di una lussuosa palazzina Si sente improvvisamente a disagio mentre il cancello in ferro battuto si apre automaticamente.
Jennifer con le sue voglie e suo marito con le sue amanti.
Davanti alla porta di casa l’attesa è minima. Lei indossa una vestaglia grigio perla, trasparente. Gli viene incontro e rompe il ghiaccio per prima: «Ciao, Anthony».
Calza vistose ciabatte con il tacco color cipria, che gli paiono fuori luogo. Come la vestaglia in tinta e il sorrisetto ironico a fior di labbra.
Jennifer ha imparato a decifrare i suoi umori e tutto in lui quel giorno, dall’espressione, alla camminata, alla laconicità, annuncia tempesta.
Meglio non indagare sul perché di quello stato d’animo. Non ha voglia di ascoltare i guai degli altri. Le bastano le sue, di seccature.
«Se vuoi fare una doccia, il bagno alle mie spalle è stato appena pulito dalla domestica. È l’ultima stanza che ha provveduto a risistemare prima di uscire. Questa sera è libera.»
«Non avevo dubbi, Jennifer» dice Anthony c...