LA SIGNORA DEI GOMITOLI
La Signora dei Gomitoli arriva piano piano, accompagnata da un profumo di cioccolata e di nuvole. Cammina portando con sé una valigia di cartone, dove custodisce gomitoli speciali: ognuno di loro racchiude una storia.
La Signora è sempre in viaggio. Trova storie un po’ qua e un po’ là, per le strade, dentro i pozzi, sotto i baffi dei gatti. Quando arriva in una nuova città, passeggia, osserva, parla con la gente. Poi si siede in mezzo alla piazza, solleva la valigia, tira fuori i gomitoli, li srotola e ne mette insieme due, dieci, cento. Intreccia i fili e inizia a raccontare. Attorno a lei si radunano molte persone, soprattutto bambini, non perché le sue storie siano solo per loro, ma perché i bimbi, si sa, sono più attenti.
Alla fine della giornata, i gomitoli sono stati srotolati e le storie raccontate. Restano tanti maglioni di mille colori diversi, che la signora regala a chi l’ha ascoltata. In cambio, riceve quello che la gente può darle: una moneta, un pezzo di pane, una biglia di vetro.
Una mattina, per le strade di una bella città si sentì quel buon profumo di cioccolata e di nuvole. I bambini lo riconobbero, perché conoscevano la Signora dei Gomitoli e sapevano che l’avrebbero trovata in piazza.
Lei era lì. Li salutò chiamandoli per nome, mentre tutti si mettevano in cerchio per ascoltarla. Ma prima che la storia cominciasse, una bambina molto piccola disse: «Però Gianni non è venuto.»
«Chi è Gianni?» chiese la Signora.
«È nuovo in città, ma è sempre arrabbiato e se ne sta da solo.»
«Prova a chiamarlo.»
La bimba ubbidì e corse via. Tornò poco dopo in compagnia di un ragazzino dai capelli mossi e dall’aria arruffata.
La Signora dei Gomitoli lo accolse con un sorriso: «Come ti chiami?»
«E a te cosa importa?» borbottò il bimbo.
«Ognuno di noi è una storia da raccontare. E per farlo, si parte sempre dall’inizio, dal nostro nome.»
Il ragazzino sussurrò: «Gianni.»
«Piacere di conoscerti, Gianni. Forse ho una cosa per te.»
La Signora frugò nella valigia di cartapesta e trovò un gomitolo solitario che non era riuscita a intrecciare con nessun altro. Prese i ferri e disse: «C’era una volta…»
Gli altri bambini si sedettero in cerchio, in ascolto, ma Gianni rimase in piedi, a braccia incrociate. La Signora sembrò non farci caso, cominciò a sferruzzare e a raccontare una delle sue storie.
Gianni si sedette e ascoltò, prima malvolentieri, poi sempre più incuriosito, perché quel racconto gli ricordava qualcosa, gli sembrava familiare e antico insieme, gli sembrava che parlasse di tutti e che parlasse proprio di lui.
Infine, la Signora dei Gomitoli tacque. La storia finì, il filo era stato intrecciato e trasformato in un bel maglione colorato. Era ormai sera, così tutti i bimbi si alzarono per tornare a casa. La Signora prese il maglione, lo diede a Gianni e disse: «Portalo con te: è caldo e soffice. E questo forse non cambia nulla, ma cambia tutto.»
Da allora, Gianni aspettò il ritorno della Signora dei Gomitoli per tanti e tanti anni. Ogni volta che tornava in città, la donna aveva con sé la sua valigia piena di nuove storie per lui e per tutti gli altri bimbi. Il tempo passava e Gianni divenne adulto e ad ascoltare quelle storie straordinarie portò anche la sua ragazza, che presto diventò sua moglie, e poi i suoi figli, e i figli dei suoi amici e i suoi amici stessi, perché anche i grandi hanno bisogno di fiabe.
Un giorno, la Signora giunse nella città di Gianni, prese il suo posto in piazza e aspettò i suoi ascoltatori. La prima ad arrivare fu una bimba con la pelle bianca e le labbra nere.
«Come ti chiami?» le domandò la Signora, anche se conosceva già la risposta.
«Mi chiamo Notte» disse la personcina dalla pelle bianca e dalle labbra nere.
La Signora dei Gomitoli la accolse come aveva sempre accolto tutti, con gioia e benevolenza. Aveva una fiaba anche per Notte, e Notte la ascoltò.
Quando il racconto finì, la bimba dalle labbra nere disse: «La tua storia mi è piaciuta. Per questa volta sono contenta, ma l’anno prossimo ti porterò via con me.»
Detto questo, Notte indossò il maglione sferruzzato dalla Signora dei Gomitoli e scomparve.
Tutti restarono in silenzio. Gianni esclamò: «Poverina! Si vedeva che ne aveva bisogno. Io non dimenticherò mai la prima volta in cui una storia mi ha riscaldato il cuore.»
La bimba dalla pelle bianca e dalle labbra nere tornò ogni anno, sempre nella stessa città.
«Come ti chiami?» le chiedeva ogni volta la Signora.
«Mi chiamo Notte» rispondeva lei, e si metteva in ascolto.
Alla fine, la Signora dei Gomitoli fu così anziana che ogni sua ruga sembrava la riga di una nuova storia. Così disse alla bambina: «Sono pronta, Notte. Ti chiedo solo un attimo ancora, un attimo solo.»
Era ormai sera e tutti erano tornati alle loro case. Restava solo Gianni.
La Signora gli diede la valigia di cartone e disse: «Gianni, ricorda le storie che ti ho raccontato. Raccontale a tua volta. Non si smette mai di vivere nelle parole di chi ci ha amato e ci ricorda.»
L’anno successivo, la Signora dei Gomitoli non riapparve nella piazza. Allora, tutti insieme, grandi e piccini si sedettero in cerchio, e Gianni aprì la valigia, prese i gomitoli e iniziò a raccontare una storia.
Alla fine, Notte venne anche per Gianni. E lui, che era diventato molto anziano, lasciò la valigia a una ragazza, che si chiamava Maya. E così accade ancora anno dopo anno, perché da qualche parte esisterà sempre una Signora dei Gomitoli che racconta storie per riscaldare il cuore di chi le ascolta. Quando sentirete profumo di cioccolata e di nuvole per le strade della vostra città, saprete che sta arrivando.
Queste sono le fiabe che la Signora dei Gomitoli raccontò a Gianni e ai bimbi di tutte le età che si fermarono in piazza ad ascoltarla.
IL BAMBINO DI FUMO
Santa Maria Maggiore
Aldo era un bambino molto piccolo che viveva in una città molto grande. I suoi genitori non c’erano più e lui per vivere mendicava in strada, avvolto in una coperta piena di buchi. In testa aveva un berretto di stoffa scura.
Un giorno uno spazzacamino lo vide e decise di prenderlo con sé. Lo portò in un paese in Piemonte che ancora oggi viene chiamato il Paese degli Spazzacamini, perché un tempo quasi tutti lì facevano quel mestiere. E lo fece anche Aldo, che imparò molto in fretta. Era così piccolo e agile che poteva infilarsi facilmente nelle canne fumarie più strette. Si toglieva la coperta piena di buchi, si calcava in testa il berretto, prendeva gli attrezzi da lavoro e poi su su, si arrampicava per pulire ogni camino da cenere e fuliggine. Quando ne usciva, era tutto sporco, coperto di nero da testa a piedi.
«Aldino piccolino» lo prendevano in giro gli altri spazzacamini, «dove sei? Al tuo posto c’è un bambino di fumo del camino!»
Aldo cercava di pulirsi un po’, ma lo faceva con la manica della giacca, che era impolverata. Così si sporcava ancora di più.
Con il tempo, si abituò a essere sempre lurido, perché passava giorno e notte dentro camini e caminetti. Solo nelle notti di luna piena Aldo sollevava la testa e usciva sui tetti. Restava lassù, incurante dei richiami degli altri spazzacamini. Guardava la luna.
Una sera, quando Aldo scese da una canna fumaria, apparve accanto a lui un bambino di fumo. Non era sporco: era proprio fatto di fumo, nerissimo e inafferrabile. Aldo allungò le mani per toccarlo e quello strano bimbo si disperse nell’aria, per poi tornare dov’era prima, assumendo di nuovo forma umana.
«Chi sei?» gli chiese Aldo. L’altro non rispose e lo guardò con grandi occhi luminosi.
«Ti chiamerò Dodò» decise Aldo e gli tese la mano. Dodò la prese fra le sue dita di fumo.
Aldo si voltò verso gli spazzacamini. «Guardate!» disse. «Lui si chiama Dodò e da oggi starà sempre con me.»
Gli spazzacamini guardarono, ma nessuno di loro riuscì a vedere Dodò. Così iniziarono a prendere in giro Aldo: «Aldino piccolino, chi hai incontrato nel camino? Un fantasmino?»
Aldo provò ancora. «Guardate» insisteva. «È proprio qui, davanti a voi. Come fate a non vederlo?»
Ma nessuno gli dava retta. «Aldino piccolino» replicavano gli spazzacamini, «per caso il tuo amico gioca a nascondino?»
Aldo, sconfitto, strinse più forte la mano di Dodò. Quelle cinque dita di fuliggine gli sembrarono più solide di prima.
Da quel giorno, Dodò non lasciò mai Aldo. Era sempre con lui quando il piccolo spazzacamino risaliva le canne fumarie. Dodò non sapeva arrampicarsi, e non era abbastanza leggero per volare. Così si issava sulle spalle di Aldo e gli restava aggrappato mentre salivano.
Il tempo passava, e Dodò diventava sempre più pesante, più solido. A ogni viaggio sembrava arricchirsi di uno strato nero in più che si depositava su di lui come fa una nuova nevicata su un pupazzo di neve.
Dodò divenne pesantissimo.
Aldo, a furia di trasportare quel gran peso, si ammalò.
Iniziò a tossire fumo.
«Basta, Dodò non può più essere mio amico» pensò, ma non riusciva a mandarlo via. Non era possibile. Dodò gli stava sempre incollato alla schiena e, se Aldo provava a spostarlo o a chiedergli di allontanarsi per un momento, scoppiava a piangere. Era un pianto silenzioso e senza parole; sul viso del bambino di fumo cadevano piccole lacrime simili a perle nere che brillando rotolavano via.
La salute di Aldo peggiorò e peggiorò. Quando i suoi colleghi gli chiedevano che cosa avesse, lui scuoteva la testa e diceva: «Come fate a non vederlo?»
Gli altri spazzacamini chiamarono un dottore, che lo visitò e disse: «Non ha niente, è sano come un pesce.»
«Ma non vedi, dottore?» disse Aldo, indicando Dodò.
«Non c’è proprio nulla da vedere» replicò il medico e se ne andò.
Aldo, però, non riusciva più a lavorare.
I primi giorni gli altri spazzacamini gli portarono qualche pezzo di pane, un po’ di formaggio. Ma era inverno e c’erano sempre più camini da pulire, sempre più lavoro da fare, e sempre meno tempo per occuparsi di Aldo.
Il bambino dovette tornare a mendicare per strada.
Il piccolo Dodò si sedeva accanto a lui, al freddo, e piangeva senza fine le sue lacrime di perla, nere e lucenti.
Arrivò la vigilia di Natale.
I passanti erano tutti di fretta. C’erano i ritardatari che dovevano ancora comprare gli ultimi regali. C’era chi doveva correre a finire di preparare il cenone. Nessuno aveva tempo di badare ad Aldo, né di gettargli una monetina.
In quella folla di gente, Aldo vide una bimba. Era vestita di bian...