I ragazzi del Bambino Gesù
eBook - ePub

I ragazzi del Bambino Gesù

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I ragazzi del Bambino Gesù

Informazioni su questo libro

Se pensi che la malattia sia un tabù o, peggio, un incidente da dimenticare in fretta e nascondere scaramanticamente agli occhi del mondo, allora questo libro non fa per te. Perché se inizi a leggerlo potresti scoprire qualcosa che non ti aspetti. Le storie di Roberto, Caterina, Annachiara, Giulia, Sabrina, Klizia, Flavio, Simone, Alessia, Sara, Letizia e Ginevra si sono incrociate nei reparti del Bambino Gesù di Roma, l'ospedale pediatrico più grande d'Europa. Dietro i loro nomi, la sfida di chi è costretto ad affrontare una drammatica diagnosi nell'età dell'innocenza: l'incontro improvviso con la malattia, la paura, il ricovero, la degenza, le decisioni vitali da prendere, ma anche la speranza, l'amore dei genitori, la determinazione a guarire. Dicono che una malattia vissuta da piccoli sia un furto all'allegria. Le storie incontrate nei reparti del Bambino Gesù sono la prova che se sei circondato d'amore nessuno può rubarti nulla. Sono storie che hanno dentro una liberazione e una dolcezza che accarezzano il cuore e restituiscono la giusta misura a tutto il resto. Se continui a leggere potresti scoprire che la malattia è sicuramente qualcosa che sconvolge le vite, ma restituisce in cambio un brevetto di volo che dopo fa andare più veloce all'inseguimento dei sogni.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
Print ISBN
9788817096577
eBook ISBN
9788858690277

La paura di perdere tutto

Le prime notti in ospedale sono difficili, non è solo il letto a essere diverso da quello di casa, ci sono rumori, un certo tipo di luci e odori a cui bisogna abituarsi. Fin dalle prime ore del mattino c’è frenesia, velocità, è come assistere alle prove di un’orchestra con i musicisti che accordano gli strumenti e preparano gli spartiti… ognuno sa esattamente quello che deve fare, come muoversi, cosa dire. Quello che potrebbe sembrare caos, e confusione, nasconde invece un ordine rigoroso e consolidato dentro il quale tutti hanno un compito preciso da portare a termine. In primo luogo il benessere fisico e psicologico dei pazienti. Ognuno è un pezzo unico, un singolo bisognoso di cure su misura.
«Dormito bene?» domanda papà a Roberto, tutto stropicciato dopo una notte a fargli compagnia sul divano-letto, a pochi passi da lui. «Secondo te quando arriva la colazione? Ho fame.»
«Boh» gli risponde Roberto sorridendo.
Prova ad alzarsi, la giornata sarà lunga, sa che ad aspettarlo ci sono tutta una serie di esami, visite, medici che verranno a incontrarlo, lunghe spiegazioni di quello che dovrà fare nelle settimane a venire. Le gambe sono più molli, l’ospedale sta già facendo effetto: non appena ci si mette dentro un piede, ci si sente automaticamente un po’ più malati rispetto a un attimo prima.
«Dormito bene, Roberto?» gli chiede un’infermiera con tono affettuoso. Si ferma un secondo accanto a lui, lo guarda per verificare anche nei suoi occhi quello che gli sta chiedendo.
«Dài, adesso svegliati tranquillo, fra due minuti ripasso e ti spiego la giornata.»
La familiarità per uno come Roberto, che tende a dare pochissima confidenza anche ai suoi amici – «Sono uno che spesso il sabato sera diceva ai suoi compagni che aveva da fare perché preferivo starmene a casa a farmi i fatti miei al posto di uscire» –, è ancora più difficile. Ma da qui non si può scappare: bisogna sorridere quando possibile. Si alza, approfitta di quel momento libero per andare a fare un giro all’esterno del reparto. Passa e spia dentro le stanze, altri ragazzi e ragazze come lui, alcuni più piccoli, altri coetanei, si stanno svegliando probabilmente con le sue stesse sensazioni e i suoi stessi pensieri. I medici iniziano le visite, passano da una stanza all’altra, senza fretta, indugiano e ti guardano davvero negli occhi. I corridoi lentamente si rianimano. Fuori, al di là della soglia, diverse famiglie sostano nella sala d’attesa con un numerino in mano. La stanza è già piena: bambini assonnati sulle gambe delle madri, bambini rumorosi e nervosi che gironzolano avanti e indietro dalla sala redarguiti da genitori che provano a tenerli buoni con qualche gioco, altri con lo sguardo un po’ catatonico incollato sullo smartphone. Roberto si guarda il polso. Pensa: “Ho il braccialetto con su il nome e il numerino, un’altra soglia è superata”.
A pochi metri da lui c’è Vincenzo, ha da poco passato i quaranta, la barba di qualche giorno e occhiaie profonde. Viene da Acerra, in provincia di Napoli, tiene la testa bassa, non vuole parlare con nessuno anche perché quello che sente gli fa solo più male.
«Sa, signora, sono preoccupata, ci devono mettere il gesso alla gamba a mio figlio… ha solo nove anni» dice una signora accanto a lui.
Vincenzo glielo sente dire e non riesce a non scuotere la testa. Si passa una mano fra i capelli, l’angoscia che deve sopportare è enorme, e viene da un lungo periodo di dubbi, paure, ripensamenti. La moglie e la figlia, a pochi metri da lui, sono entrambe in sala operatoria. “Stanze gemelle” si usa definirle, per dire che sono l’una accanto all’altra affinché il trasporto del rene da donatore a donato avvenga in modi e tempi il più possibile rapidi ed efficaci.
Sua moglie Marilisa è già sotto i ferri, le stanno asportando un rene che verrà subito dopo trapiantato nel corpo di sua figlia Caterina, che aspetta addormentata dall’anestesia. E lui è lì fuori: impotente, angosciato, con la paura di essere abbandonato e con il senso di colpa di pensarlo. Come se fosse egoista a non preoccuparsi solo per le loro, di vite. Ha paura, una paura dannata da cui non riesce a liberarsi. Non riesce neanche a muoversi talmente si sente gravato dalla paura. Ecco perché si dice “sprofondare nella paura”, perché il corpo all’improvviso si fa pesantissimo.
Non ha voluto nessuno accanto e adesso è lì, da solo, con Roberto che è già tornato in reparto per i primi esami del sangue, pensando a tutto il suo mondo in pericolo. E a quanto si sente in balia del destino. Gli passa davanti agli occhi la successione di eventi che l’ha portato fino a quella saletta del Bambino Gesù.
Sono passati tre anni. Caterina ha undici anni e frequenta la prima media quando comincia ad accusare una serie di malesseri. È una bambina, non avrà nulla, però è strano: la scuola è così vicina eppure continua a ripetere che le fanno tanto male le gambe. Lui e Caterina sono complici, lei è poco mammona, come si dice, preferisce stare con papà.
«Dài, non fare la pigra» le ripete lui un paio di sere a tavola, sentendola lamentarsi prima di guardare assieme un po’ di televisione. Passano i giorni e Caterina continua ad accusare dei fastidi che spesso sono veri e propri dolori. Vincenzo ci gioca, la fa divertire, ma quando ci sono problemi è sua moglie a prendere in mano la situazione.
«Domani ce ne andiamo a fare un prelievo e vediamo» dice mamma.
«Guardiamo un film?» propone Caterina, con papà che una mezz’ora dopo trasferisce a letto la piccola che nel frattempo si è addormentata sul divano.
La mattina dopo, Vincenzo riceve la telefonata preoccupata di sua moglie: i medici hanno prescritto nuovi esami, forse c’è qualcosa di più. Caterina viene sottoposta a una serie di analisi e nel giro di qualche giorno le scoprono un’insufficienza renale acuta, la nefronoftisi, una patologia che si manifesta solitamente durante l’infanzia, che può portare a insufficienza renale acuta durante l’adolescenza. E l’unico rimedio è il trapianto.
Tre anni dopo Vincenzo è in quella stanza, con altri genitori, alcuni giustamente preoccupati altri che, come dice Vincenzo, “che cosa gli posso dire? Che ne sanno di quello che sto provando io, che ne sa la gente normale di quello che può passare nella testa di un marito che sta aspettando che tolgano un rene a sua moglie e di un padre che spera che quello stesso rene salvi la vita alla sua bambina? Uno legge una statistica, scopre che di trapianto al rene non si muore, ma qui c’è mia figlia. E mia moglie. In quale ordine devo metterle?” si chiede Vincenzo. “E poi se fosse tutto così tranquillo perché firmare tutte quelle carte? Le liberatorie… consenso all’intervento… No, non è proprio possibile essere razionali” pensa Vincenzo, che vorrebbe chiamare qualcuno, un amico. Ma anche a lui che cosa direbbe? Niente. E quindi se ne sta zitto, da solo, con in testa quello che gli ha detto sua moglie prima di entrare. Forse poteva non dirlo ma se, nel caso in cui… doveva essere chiara su quel punto.
«Se dovesse succedermi qualcosa, pensa a Caterina, fai tutto quello che puoi perché Caterina si salvi…»
Perché gli ha detto una cosa del genere? Perché una madre pensa sempre a tutto, una madre prevede anche i casi peggiori. Non è forse stata lei ad accorgersi che Caterina stava male? Fosse stato per lui probabilmente Cate sarebbe ancora a casa, con i dolori. «Un’aspirina, un po’ di riposo e vedrai che domani starai meglio…»
Quando i medici gli dicono che Caterina ha bisogno di un trapianto di rene Vincenzo ha paura ma non riflette su ciò che significa. Non sa nulla dell’argomento, perché dovrebbe? Giusto qualche articolo letto in passato sui traffici di organi, cose terribili, da chiudere subito la pagina di Internet e tornare a fare altro. Vincenzo comincia a ragionare sulle conseguenze solo dopo, quando lui e la moglie vengono a loro volta sottoposti a una serie di esami molto accurati.
«Dobbiamo verificare la vostra compatibilità, i familiari sono sempre i primi…» dicono i medici.
Vincenzo vorrebbe donare il proprio rene a Caterina ma i medici decidono che con la mamma c’è maggiore compatibilità. Sarà lei a sottoporsi al trapianto. E Vincenzo, che fino a quel momento è stato sempre il primo a comunicare con Caterina, a spiegarle della malattia, a darle forza per le cure, a prospettarle una guarigione all’orizzonte, va in tilt. Perde in qualche modo la testa. Certo, vuole che qualcuno doni il proprio rene a Caterina, vuole che la figlia viva e sia felice, ma il terrore di perdere la moglie lo mette in uno stato di panico. Sua moglie prova a spiegargli che è la cosa migliore da fare, gli dice che i rischi sono bassissimi, gli descrive il trapianto come un’operazione di routine. «Ma qui c’è di mezzo la vita tua e anche la mia se rimango senza di te» risponde lui in tantissime discussioni.
«No, non se ne fa nulla, ci deve essere un altro modo.»
«Un altro modo non c’è» gli dicono i medici. «E questa è la soluzione migliore per la salute di sua figlia.»
Vincenzo non si fa convincere facilmente, anzi. Discute, argomenta, è intelligente e in cuor suo sa di avere torto, sa che dovrà cedere, ma è come uno che sale in cima a uno scoglio e deve tuffarsi: l’acqua è alta, profonda, il salto non è così impegnativo ma se… e allora rimane immobile, con i piedi aggrappati alla roccia.
Sia il chirurgo dell’ospedale sia Marilisa, sua moglie, provano a spiegargli in tutti i modi qual è la situazione ma lui non ha nessuna intenzione di ascoltare.
Anche Caterina fa fatica ad accettare la prospettiva del trapianto. “Ho paura che i miei genitori non mi dicano la verità. Penso sempre che non mi dicano le cose come stanno.” Allora chiede di nascosto a sua sorella Giovanna, di spiegarle meglio quello che sta succedendo.
«Quando mi hanno detto che dovevo fare il trapianto» ricorda Caterina, «ci sono rimasta. Mi faceva paura che mi dovessero aprire.» Parlare con la sorella l’aiuta ad affrontare questa nuova consapevolezza con maturità. Vincenzo si accorge solo dopo di quanto Caterina abbia preso proprio da lui il carattere ostinato: nella sua voglia di non sentire ragioni rivede le lunghissime discussioni fra Caterina e Marilisa, con la mamma che prova a convincere la figlia a fare qualcosa che non vuole e Caterina che si ribella. La sua paura è di non essere all’altezza di un compito così grande. Come la prima volta che è rimasto con Caterina piccola a casa da solo, anche se per poche ore. “E se le succede qualcosa?” ha pensato a un certo punto. “Per le mamme è diverso” si dice tra sé e sé, “l’accudimento è il loro destino, la loro seconda natura”, ma lui come papà si è sempre preoccupato di altro: far ridere Caterina, portarla al parco giochi… come farà a curarla se non ci sarà sua moglie, sarà in grado di farlo?
“Ma quanto ci mettono?” pensa là fuori, a due passi dalla sala operatoria. Controlla continuamente il telefono come se potesse arrivare una risposta sul display con una foto sullo sfondo di lui e sua moglie in una bella giornata al mare. Ripensa a quando è andato la prima volta in spiaggia con la bambina e le ha insegnato a nuotare. Con lei che voleva che ci fosse solo lui perché diceva che la mamma non la capiva.
Ora il tempo non passa, sono entrati solo da mezz’ora e sembrano giorni, anni. E poi perché quel ragazzino fa così rumore e la madre non lo sgrida?
“Gli uomini sono fifoni e le donne dove trovano il coraggio?” pensa Vincenzo senza riuscire a darsi una risposta. Non c’è un libro, un manuale, un foglio delle istruzioni.
“Sto arrivando” gli scrive sua sorella che è venuta a confortarlo. Ma anche con lei ha poco da dire. E quella frase di sua moglie continua a rimbombargli nella testa.
“Pensa a Caterina…”
Ecco, vede il chirurgo, lo cerca nella sala, adesso gli è davanti. Che espressione ha? Felice, preoccupata, sono attimi lunghissimi.
«È andato tutto bene.»
«Come sta? Sta bene? È sveglia? Ha dolori?»
«Sua moglie sta benissimo.»
«E Caterina?»
«Adesso operiamo Caterina.»
«Posso vedere mia moglie?»
«No, sua moglie sta riposando. Ma appena può entrare glielo diciamo.»
Qualche ora dopo, Vincenzo entra finalmente nella stanza di sua moglie. Marilisa è collegata a tutta una serie di fili, flebo, macchine, ma sta bene. Ha solo l’aria stanca. Le prende la mano, con dolcezza, con quella paura che si ha di rompere qualcosa di delicato, un bicchiere di cristallo. Marilisa è esausta ma vuole sapere di Caterina, vuole sapere come sta. Vincenzo le spiega che è andato tutto benissimo.
«L’hai vista?»
«No, non ancora, sta riposando. Serviva prima operare te, lei è venuta dopo…» scherza.
«Chissà come sta con tre reni.»
Tre reni… proprio così. Quando si fa un trapianto il rene malato viene lasciato, semplicemente viene aggiunto quello sano e si fa in modo che sia lui a far funzionare il meccanismo.
«Andrà tutto bene, ce ne usciamo di qui» dice Marilisa e adesso anche Vincenzo ne è convinto.
«Dài, vai di là adesso che se Caterina si sveglia…» gli dice sua moglie.
Vincenzo cammina da un reparto all’altro. Dall’una e dall’altra metà del suo cuore. Dopo essere state operate in sale gemelle, madre e figlia adesso sono in due reparti diversi molto lontani fra loro. Tutti gli altri adulti che si incontrano invece nei reparti sono lì solo per prendersi cura dei più piccoli. E in fondo è come dovrebbe essere sempre. Perché se salvi un bambino salvi il mondo intero.
Quando Vincenzo vede Caterina, si accorge che è un po’ pallida. Lei però sorride. Per fortuna i medici l’hanno convinto, per fortuna è stato capace di ascoltarli. Perché ha accettato? Forse perché ha avvertito amore, ha sentito che il futuro di Caterina stava a cuore a queste persone almeno quanto a lui.
Prende la mano di Caterina e pensa a una cosa che le ha sentito dire al telefono con una sua amichetta. Che quando le hanno detto del trapianto ci era rima...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Superare la soglia
  4. La paura di perdere tutto
  5. Fuggire lontano
  6. La voglia di casa
  7. Una festa rimandata
  8. Lottare per una passione
  9. Reagire con rabbia
  10. Cambio di passo
  11. Darci un taglio
  12. È ora di correre
  13. Imparare da un bambino
  14. Due amiche per tuffarsi
  15. A scuola dalla malattia
  16. Portami via, portami a ballare
  17. Tornare a casa
  18. Una domanda aperta
  19. La sedicesima battuta
  20. Ringraziamenti
  21. Indice