Non chiedermi quando VINTAGE
eBook - ePub

Non chiedermi quando VINTAGE

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Non chiedermi quando VINTAGE

Informazioni su questo libro

Ci sono scrittrici che hanno fatto delle storie la propria vita, trasformando la propria vita in una storia irripetibile. Dacia Maraini è una di queste. Lo sguardo intimo e acuto di Concita De Gregorio fa emergere dallo sfondo le figure ribelli e coraggiose dei genitori Fosco e Topazia, gli amici artisti come Pasolini, Callas, Visconti, e poi Moravia e le altre passioni che hanno abitato l'esistenza di Dacia: il femminismo, il teatro, i viaggi. Un viaggio nelle luminose stanze della memoria di una delle autrici più amate dei nostri giorni.

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Informazioni

1

Non chiedermi quando

Ricordo tutto
Ma non chiedermi quando
Non ricordo le date, nessuna
Chiudo gli occhi ed è tutto sempre qui
Alberto mio padre Pier Paolo Elsa
Il primo libro e l’ultimo
Quella volta nel Mali, dormivo con la Callas
Lei piangeva
Le formiche nel Campo, la fame bambina
Mio padre, mio padre e i suoi occhi
La casa di Sapporo, l’odore del tè, la neve fuori
Quella volta che Enzo ha chiamato
Urlandomi: è morto
Che anno era quando è morto Alberto? Aspetta
Il tempo e io ci siamo sempre ignorati
Ci siamo proprio lasciati tranquilli.
Voltati le spalle
Come estranei
Sono i figli credo a darti il senso del tempo
Vedi un figlio di vent’anni e capisci
Ma io no. Ottant’anni mi dicono. Faccio fatica
Mi devo concentrare
Poi invecchiando il tempo si accorcia
È la prospettiva forse
Un anno dura niente
Un mese scappa
La mia memoria
È come un uccellino su un albero
Va e viene quando vuole
Vive altrove
Libera
Ma questa è la sua casa. Mi trova sempre
Io sono sempre qui. Adesso
È tutto sempre ora

2

Timida

Sono sempre stata molto timida, da bambina di una timidezza patologica. Non volevo essere vista. Che non mi vedessero, volevo questo. Essere invisibile. Non esserci per gli altri. Esistere solo per me. Se non mi vedono, non possono farmi niente. Sono salva.
Non riuscivo a entrare al cinema con le luci accese. Ancora adesso faccio fatica, aspetto il buio. Quando entro in un teatro non passo mai davanti, mi vergogno. Attraversare la strada, ti vedono. Entrare in un negozio e non comprare. Mia madre mi diceva sempre: Dacia sei un disastro, compri qualunque cosa. Ma era perché se entravo, se mi vedevano, allora c’ero. E se c’ero, dovevo fare quello che si aspettavano da me. In un negozio: comprare.
Ho imparato un po’ facendo teatro, in quei teatrini di cantina. A Centocelle.
Dopo lo spettacolo si teneva, come si usava allora, il dibattito: la gente veniva, si discuteva fino a mezzanotte. Io facevo tutto in teatro, salvo stare in scena: scrivevo i testi curavo la regia pulivo per terra andavo a cercare i costumi preparavo le luci suggerivo. Ma sul palco, mai. Dopo lo spettacolo però venivano a prendermi di peso, dicevano: tu devi venire al dibattito, mi prendevano e mi portavano in scena. Che sofferenza.
Tutti quegli sguardi addosso. Morivo all’idea di parlare in pubblico: mi metteva un’angoscia tale che ogni volta trovavo un nascondiglio nuovo, una scusa.
Piano piano però ho imparato. Adesso posso, ma è sempre uno sforzo.
Anche da ragazza. Quando mi corteggiavano scappavo. Non mi esibivo mai. Nel modo di vestire per esempio: mi sono sempre coperta. Pantalone, giacca, sciarpa, foulard, scarpe basse. Mi vergognavo, ma non per ragioni moralistiche. Non volevo che mi vedessero, semplicemente. Quelle poche volte che mi mettevo in costume da bagno mi vergognavo talmente che mi tuffavo in acqua subito. Eppure, non avevo nessuna ragione di nascondermi.
Sai qual è il mio pensiero costante?
Che quando sarò morta sarò esposta, la gente mi guarderà e non potrò nascondermi. Una cosa terribile, un orrore. Io lì stesa e tutti che si affacciano e guardano. Vorrei essere coperta subito. Vorrei non esserci, quel giorno, allo sguardo degli altri.
Un telo, penso, andrebbe bene. Un piccolo telo sopra. Si può fare, non credi?

3

Buio

La notte, nel bosco
Vado a dare da mangiare agli animali
D’inverno, sulla neve
Cammino dentro la montagna, arrivo col cibo
Li sento
Loro vengono
Non li vedo ma li sento
Gli animali mi sentono. Stiamo un po’ lì, insieme. Facciamo i nostri incontri
Mi piace tanto
Camminare al buio da sola
La notte

4

Sicilia

La famiglia di mia madre Topazia era aristocratica ma povera. Avevano un’azienda vinicola, Corvo di Salaparuta, ma negli anni Cinquanta l’hanno venduta. Mio nonno. Enrico Alliata. L’ho conosciuto appena quando siamo tornati dal Giappone. Aveva il titolo di duca, stava tutto il giorno nei campi coi contadini. La terra lavorava e aveva sempre le mani sporche. Steineriano, vegetariano, tolstoiano. Un ribelle. Aveva sposato una cilena di origine basca, bellissima, Sonia Ortuzar, cantante lirica. Quando avevano già due figlie la moglie lo ha lasciato per seguire un altro uomo, è andata con lui a vivere a Pisa. Dopo un anno è tornata. Ho sbagliato, ha detto. Lui l’ha riaccolta. Ti puoi immaginare in paese, la gente. Mio nonno non ascoltava nessuno, aveva una sua filosofia di vita e andava diritto. Mia madre mi raccontava che da ragazza, quando passeggiava da sola per le strade, tutti i parenti mandavano a suo padre dei bigliettini: guarda che tua figlia cammina da sola per il paese. Lui mandava indietro altri biglietti: gliel’ho detto io, di camminare. Poi un giorno mia madre gli ha detto: ho conosciuto un ragazzo, vado. Mio padre, ventenne, non aveva né arte né parte. Scalava montagne, faceva foto. Mio nonno ha detto: vai, se sei sicura, vai.
Dopo la morte di mio nonno mia madre ha lavorato per un po’ nell’azienda vinicola. Mi ricordo che passavo i pomeriggi a pestare l’uva coi piedi. Vivevamo nella casa che era stata una stalla e non avevamo un soldo. Un vestito solo, un paio solo di scarpe. La biancheria si lavava la sera, si appendeva fuori ad asciugare e si indossava di nuovo la mattina. Avrei moltissimo voluto un orologio, mi ricordo. Un orologio al polso per guardare le ore: lo desideravo tanto ma non l’ho mai avuto. Chissà se dipende da questo che non so tenere conto del tempo.

5

Treno

Con mio padre arrivavamo al treno di corsa
Stava partendo era partito già
Mi trascinava per un braccio, di peso
Le ginocchia che strusciavano terra
Tutte scorticate, sanguinavo
Apriva lo sportello del treno che già correva
Era un pazzo
Un giorno mi fa: scendo e vado a prendere qualcosa da bere
Papà per carità, mi raccomando
Fai presto
Lui scende, il treno parte. Io piango
Avrò avuto dieci anni. Pensavo: non ho
Neppure il biglietto, come faccio
Qui da sola, come faccio
Dopo cinque minuti lo vedo arrivare
Era salito sull’ultimo vagone, a modo suo
Aggrappandosi al treno in corsa
Lo vedo arrivare con la bottiglia, quel sorriso bellissimo
Hai mai visto il suo sorriso? Guarda. Guarda questa foto
Mio padre era così

6

Idealismo

L’idealismo
Non è
Difendere le proprie idee quando non costa ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Non chiedermi quando
  4. Dedica
  5. Troppe persone deliziose
  6. 1. Non chiedermi quando
  7. 2. Timida
  8. 3. Buio
  9. 4. Sicilia
  10. 5. Treno
  11. 6. Idealismo
  12. 7. Campo
  13. 8. Bandiera
  14. 9. Il dolore il teatro e la politica
  15. 10. Centocelle
  16. 11. Vita di coppia
  17. 12. Gita
  18. 13. Maria
  19. 14. Rimini
  20. 15. Pier Paolo
  21. 16. Bionda
  22. 17. Teresa la ladra
  23. 18. Dicevamo di Teresa
  24. 19. Il leone
  25. 20. Indovinelli
  26. 21. La sera
  27. 22. Natale
  28. 23. Puntualità
  29. 24. Acqua
  30. 25. Scrivere
  31. 26. Matrimonio
  32. 27. Limoni
  33. 28. Manicomi
  34. 29. Nervi
  35. 30. Una ragazza umbra
  36. 31. Gelosia
  37. 32. Memoria
  38. 33. Pinocchio
  39. 34. La morte di Elsa
  40. 35. Il corpo, la voce
  41. 36. La morte di Alberto
  42. 37. La vita dopo
  43. 38. Dignità
  44. 39. Giuseppe
  45. 40. Tradimento
  46. 41. Capodanno
  47. 42. Aeroporti
  48. 43. Felicità
  49. 44. Susanna
  50. Indice