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Ho sette anni, sono uno scricciolo in pigiama seduto a gambe incrociate sul pavimento della camera di mia madre, e fisso ipnotizzato la TV. Friggo: è una settimana che aspetto questo momento.
Sull’enorme schermo piazzato in un angolo scorrono le immagini dell’arena di Orlando in delirio. Il pubblico urla scalmanato attorno al ring esagonale circondato da un’alta rete metallica: la Gabbia d’Acciaio, la chiamano. L’ululato degli spettatori si mescola alla musica assordante che spara dalle casse. È un casino, un casino sublime. E io non sto più nella pelle: striscio emozionato ancora più vicino alla TV. Il match del secolo sta per iniziare. Non voglio perdermene nemmeno un secondo!
Ed ecco che arriva il momento: i laser verdi tagliano l’aria come fulmini fluorescenti di una tempesta atomica. La voce sovraeccitata di Don West, il commentatore, sputa esclamazioni a raffica: «Preparatevi a uno spettacolo mai visto prima! Ecco finalmente l’incontro che tutti aspettavamo: è il capitolo finale di una rivalità che dura ormai da due anni, quella tra i Triple X e gli America’s Most Wanted! Solo un team vincerà, e i perdenti non potranno mai più, dico mai più lottare insieme!».
La telecamera inquadra dall’interno un tunnel d’acciaio colmo di denso fumo grigio, attraverso cui si fanno strada due figure enormi e mostruosamente minacciose. Indossano lunghi mantelli lucenti, uno di loro ha la testa coperta da un cappuccio.
Sono loro, i miei idoli, i wrestler più fichi di sempre!
Non riesco più a stare fermo, spicco un salto e rimbalzo in piedi sul lettone. Incrocio i polsi davanti alla fronte nella tipica mossa dei miei beniamini, gonfio il petto e come un leone ruggisco: «TRIPLE X! SIAMO NOI IL MIGLIOR TEAM! AMERICA’S MOST WANTED, SIETE MORTI!».
A quelle urla, passi pesanti corrono nel corridoio. La porta si schiude e in camera si affaccia il testone di mio fratello Gallieni, che mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite: «È iniziato? È iniziato? E non mi dici niente?!».
Si precipita davanti alla TV con due lattine di soda, una per mano.
Gli salto addosso, veloce: «Dammene una!».
Lui le tiene sollevate per impedirmi di toccarle. Mi guarda beffardo: «Non se ne parla proprio!».
Piagnucolo, capriccioso: «Dammela, ho detto!».
Si alza sulle punte e poggia le lattine su una mensola alta, dove non potrò mai arrivare. Ha nove anni e mi supera di parecchio in altezza. Diventeremo entrambi due colossi, ma non lo sappiamo ancora.
Salto su e stringo i pugni: «Ma ne hai due! Che ti costa darmene una?».
Lui si siede a terra davanti alla TV e mi tira giù accanto a lui, poi sussurra misterioso: «Mi servono. Aspetta e vedrai».
Rimango imbronciato, il labbro mi trema. La volevo proprio da matti, quella soda. Ma Gallieni è il mio fratellone, è il più forte, il più misterioso, il più fantasioso che c’è. Non sogno altro che essere come lui. E di solito quando mi dice “Aspetta e vedrai” significa che ha uno dei suoi piani pazzi in mente… Vale la pena starmene buono.
E poi mi ci vuole solo un attimo per tornare a farmi rapire dallo show. Triple X e America’s Most Wanted se le stanno dando di brutto! Io e Gallieni strilliamo e trasaliamo a ogni schianto, a ogni pugno, a ogni bodyslam. Io faccio un tifo sfegatato per Elix “Primetime” Skipper, la montagna nera dei Triple X. E Gallieni gioca a impersonare ora uno ora l’altro degli America’s Most Wanted.
Mi solleva di peso e urla: «Tennessee Cowboy si esibisce nel suo poderoso powerbomb!».
Poi con una spinta mi scaglia dritto sul lettone, dove rimbalzo ostentando grande dolore come il più astuto dei wrestler. La mia è tutta una simulazione per disorientare l’avversario!
«Ohi, ohi, ohi!» singhiozzo.
Ma in un attimo mi faccio di nuovo sotto e grido: «Però Primetime non ci sta, e lo sorprende con un hurricanrana!».
Prendo la rincorsa e mi lancio addosso a mio fratello, che intanto si è steso a terra e ride come un matto.
Gli afferro la testa tra le gambe in quella che dovrebbe essere una forbice volante. A me sembra micidiale ma, considerato che peso la metà di lui, a Gallieni deve far male quanto una carezza. E infatti ci mette un attimo a ribaltare la situazione e a scaraventarmi con la schiena a terra, ridacchiando: «Povero Primetime, è arrivata la sua fine… Tennessee Cowboy è pronto all’attacco finale!».
E bloccandomi contro il pavimento con il tutto il peso del corpo mi massacra di solletico finché non invoco pietà. Rido così tanto che non riesco a respirare!
Ma l’incontro non è finito: Gallieni ha ancora una sorpresa per me. In una perfetta imitazione di Don West esclama, con aria stupita: «Ma, ma… cosa vedono i miei occhi? Triple X e America’s Most Wanted non sono soli sul ring!».
Salta su e corre ad afferrare le due lattine di soda dalla mensola.
Non perdo tempo: «Da’ qui! Da’ qui!».
E gli salto addosso nel tentativo di afferrarne una.
Ma non c’è niente da fare: Gallieni mi scansa con l’agilità di un pugile.
Salta in piedi sul letto, alza le braccia verso l’alto e agita le lattine, come a salutare un pubblico adorante. Ora fa anche la parte dei fan scatenati: «Stone-Cold! Stone-Cold! Stone-Cold!».
Capisco che è il mio turno di imitare Don West: «Ma cosa sta succedendo? Questo sì che è un colpo di scena!».
Lui percorre a lunghi passi il perimetro del lettone, fissando con aria truce i suoi nemici immaginari. Una delle due lattine diventa temporaneamente un microfono, che Gallieni porta alla bocca per sibilare, con voce bassa e cavernosa: «Sono Stone Cold, e voi siete una massa di pivelli. Ora vi faccio vedere io chi è il più forte, RAAAAHHH!».
So cosa sta per fare: è la mossa tipica di Stone Cold Steve Austin, il più grande bevitore di birre della storia del wrestling!
Cerco di fermarlo: «No, Gallieni, no!».
Ma ormai è troppo tardi: mio fratello stappa le lattine e con un urlo disumano le sbatte talmente forte l’una contro l’altra che quelle scoppiano in due getti incontrollabili, inzuppando tutto il copriletto.
«Oh-oh…» dice una vocina alle nostre spalle.
È mia sorella Natalie. Ha schiuso la porta e ci fissa come se fossimo due alieni.
Gallieni sembra rendersi improvvisamente conto del casino che ha combinato e sbianca.
Guarda la macchia di soda che si allarga sul lettone, poi fissa me, infine guarda Natalie: «Non l’ho fa-fatto apposta…».
E quel genio di mia sorella, che a quattro anni ha l’aria innocente di una principessina e lo spirito diabolico di un elfo dispettoso, urla: «Lo dico a mamma!».
«Nononononono!» le gridiamo, precipitandoci da lei per tirarla in camera con noi e richiudere la porta prima che qualcuno si accorga del macello che abbiamo combinato.
Bisogna trovare una soluzione. I miei non crederanno mai che è stata solo colpa di Gallieni: se ci beccano sono dieci botte sul sedere. Dieci. Ciascuno.
Provo ad adulare Natalie: «Se non dici niente ti insegniamo le mosse più fiche!».
Gallieni mi dà man forte: «Sì, diventerai più brava di Hulk Hogan!».
Natalie punta i pugni sui fianchi: «Sai che me ne importa delle mosse!».
Balbetto: «E allora co-cosa vuoi?».
Lei ci pensa un attimo e poi strilla: «Dovete obbedire ai miei ordini! Voglio fare l’arbitro!».
Io e Gallieni ci guardiamo sbuffando. Natalie vuole sempre comandare! Noi due dobbiamo fare tutto quello che vuole lei, altrimenti pianta un casino che non finisce più. Ma mamma e papà non sembrano accorgersene: per loro è sempre la loro carissima, bellissima, dolcissima bambina. Io però lo so che è una vipera, come no!
«E va beeeene…» la accontenta Gallieni. «Però poi ci aiuti ad asciugare e non dici niente az nessuno, intesi?»
Natalie annuisce, ha gli occhi che le brillano. Non vede l’ora di comandarci a bacchetta!
Simula la campanella di inizio match: «DEN DEN DEN DEN DEN!».
Poi strilla: «Via! Combattete!».
Io e Gallieni ci tuffiamo uno nelle braccia dell’altro e ci esibiamo nella nostra versione di un feroce incontro di wrestling. Certo, più che dei muscolosi lottatori sembriamo due anguille rachitiche che si annodano l’una all’altra, ma almeno ci divertiamo!
Natalie invece no, si annoia subito.
Si infila tra di noi e ci separa: «Non così, non così! Vi dovete scontrare!».
Le chiedo affannando: «Scontrare come?».
Lei urla: «Scontrare, scontrare, così!».
E sbatte un pugno contro l’altro, facendo “POW!” con la bocca.
Gallieni ride, l’idea non gli dispiace. Così mi ordina: «Sergio, prendi quel cuscino grande grande, quello sulla sedia a dondolo!».
Lo prendo e glielo porto, e lui me lo lega alla vita con la cintura dell’accappatoio di nostra madre. Poi fa lo stesso per sé con un altro cuscino e una cintura di papà.
«Ora che siamo tutti e due belli imbottiti non possiamo farci niente!» ride.
E continua: «Tu mettiti in quell’angolo, io mi metto in quest’altro!».
Ci posizioniamo ai due lati opposti della stanza: lui contro la parete della porta, io contro quella della finestra.
Natalie è eccitatissima: sembra proprio il genere di scontro che voleva lei!
Rientra nella parte dell’arbitro e conta: «Tre, due, uno… VIA!».
Sicuri della nostra imbottitura, io e Gallieni ci lanciamo l’uno verso l’altro con tutta la forza che abbiamo e BAM! L’impatto è talmente forte che lui ricade all’indietro schiantandosi a terra di sedere, e io… io vengo sbalzato dritto contro la finestra e ci passo esattamente attraverso, facendola esplodere in un miliardo di pezzetti! Senza nemmeno rendermene conto mi ritrovo disteso in giardino, a pancia in giù in un mare di frammenti di vetro. È solo grazie al cuscino se non mi sono fatto niente!
Mentre provo a rialzarmi, la porta di casa si apre. Mio padre urla: «Ma che diavolo sta succedendo?!».
Poi arriva correndo in ciabatte. Mi guarda dall’alto, è senza parole. Gallieni e Natalie stanno affacciati alla finestra e guardano in basso, ammutoliti dal terrore. So che non dovrei, ma mi viene da ridere.
«La terza volta!» sbotta mio padre esasperato, agitando i pugni contro i miei fratelli. «La terza volta che rompete le finestre! Ma voi siete impossibili, siete dei diavoli, siete…»
Natalie mette su la faccia più innocente del mondo e la interrompe: «Ma papi, non è colpa nostra!».
Mio padre incrocia le braccia sul petto e sbraita: «Ah, no? Non è colpa vostra? E fammi sentire, di chi sarebbe?».
Natalie e Gallieni si guardano, e un sorrisetto si dipinge all’istante sul volto di entrambi. Sto sudando freddo.
Come in una coreografia ben studiata i miei fratelli, sangue del mio sangue, carne della mia carne, tornano a guardare verso il basso.
Poi puntano il dito verso di me ed escl...