Pratica
Premere il pulsante della coscienza
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Meditazione di gruppo
Nella meditazione la mente parla alla mente,
il cuore parla al cuore.
Motto sufi
Mostrami il volto che avevi prima di nascere.
Motto Zen
Una seduta
Ora ne sappiamo abbastanza sui preliminari alla meditazione e le pratiche che ci sono utili. La mia meditazione è una versione della mindfulness o presenza/pienezza mentale. Mi ispiro ai modelli e li adatto a un contesto occidentale. Ho insegnato per anni psicologia dinamica (corso progredito), esperienza che mi ha fornito un quadro di riferimento per la meditazione. Man mano che procedo nella descrizione della tecnica ne preciserò gli spunti.
In primo luogo, voglio presentare al lettore il resoconto di una seduta-tipo. Anziché procedere per deduzione, dal generale al particolare, seguirò il percorso inverso. Il lettore potrà farsi un’idea di ciò che intendo con mindfulness. La seduta è una meditazione di gruppo. I partecipanti hanno già nozioni di meditazione, ma non tutti. Per alcuni è la prima volta. Sono seduti in cerchio. Ci troviamo in una sala non troppo ampia. Qualcuno si è portato un cuscino per stare comodo. Usiamo le sedie, ma qualcuno è steso sul tappeto. La disposizione resterà la stessa: ognuno ha il suo posto. Potrebbe essere la prima seduta di un corso di base.
Nella stanza non c’è troppa luce, ma non è buio. Ci troviamo al primo piano di un appartamento, in cui non abitano altre persone. Qualcuno dei presenti siede nella posizione yoga del mezzo loto. Ognuno si dispone come vuole. Molti scelgono le sedie. La loro età è tra i venti e i settant’anni.
Parlo senza microfono. Ho attaccato il cavo dell’iPad a un amplificatore (non sempre lo uso). Il volume è adeguato. Sul tablet ho parecchi sintetizzatori e qualche campionatore. Come al solito suono musica mia in tempo reale. Potrei definirla elettronica soft o ambient. Mi siedo ogni tanto sullo schienale della sedia. Sto perlopiù in piedi, e mi muovo attraverso la stanza. La mia voce cambia d’intensità a seconda della distanza dal gruppo. Quella che segue è la trascrizione della seduta-tipo. Non dico sempre le stesse cose. Ogni seduta ruota intorno a un tema. Lascio la parola alla registrazione.
20/3/2017
«Bene, possiamo cominciare. Ci siamo tutti. Potete rilassare i punti o le parti del corpo che sto per indicare. La sommità del cranio, la fronte, il punto in mezzo agli occhi, che chiamerò il terzo occhio, la bocca, le arcate dentarie separate, la mascella rilassata. E poi il collo, la gola, la nuca. I polmoni, l’addome, i genitali, la colonna vertebrale. E poi i gomiti e le braccia, le gambe e le ginocchia, i talloni. Bene. Ora tutto il corpo è rilassato, dalla sommità del cranio ai talloni. Dai talloni alla sommità del cranio. Il rilassamento aumenterà, non dovete neanche rendervene conto, nel corso dell’esercizio.
Tra poco vi parlerò, ma prima conterò da uno a dieci. Quando arriverò a dieci, e anche prima, vi troverete in uno stato lievemente diverso di coscienza, senza dover far niente di speciale (pausa).
Uno, due, tre, quattro (tra un numero e l’altro faccio una pausa; le pause sono progressivamente più lunghe); cinque, sette, otto (lunga pausa), nove e dieci (tono enfatico e distante). (Dopo il sette ho iniziato a suonare l’iPad. La musica prosegue per quasi tutta la seduta.)
Bene, ora proverò a parlare alla vostra mente inconscia, quella che farà il lavoro. La mente conscia può riposarsi o impegnarsi altrove. Non occorre che prestiate attenzione a ciò che dico. Molto meglio che la portiate sul terzo occhio, il centro del nostro lavoro di oggi. Ascolterete con questa parte del corpo.
Vi ricordo che formate un gruppo, che mette insieme la sua energia per il lavoro (lo ripeterò più volte). Mentre siete seduti con gli occhi chiusi, il rilassamento aumenterà man mano che il tempo passa (pausa).
Siete arrivati qui, partendo dalle vostre case, chi a piedi, chi in auto, in bicicletta o altro. Avete aperto la porta e siete entrati nell’appartamento. Vi siete seduti. E siete in attesa. In attesa del vostro primo incontro di meditazione. Vi chiedete cosa faremo e se sarete all’altezza. Bene (pausa).
Vi ripeto che non dovete far nulla di speciale, nessuna prestazione, nessun compito. Anche io, come voi, sto aspettando di vedere cosa faremo. Senza aspettative. Vediamo cosa mi viene in mente. La musica vi aiuta. Potete ascoltarla senza sforzo, senza tensioni. La mia voce potete anche non ascoltarla. Non preoccupatevi se perdete qualche parola. La vostra mente inconscia registrerà tutto il discorso (pausa).
(Mi muovo nella stanza, cammino lentamente. I miei passi sono quasi impercettibili.)
Ricordate di non perdere la concentrazione sul terzo occhio. Se vi distraete, riportatevi l’attenzione delicatamente, senza il minimo sforzo (pausa).
Stiamo ascoltando i suoni (suoni elettronici statici, che non delineano melodie). Ho pensato che oggi potrebbe essere questo il nostro compito. Ascoltare i suoni. Potreste concentrarvi sui suoni e da lì passare al terzo occhio. E tornare ai suoni. Alcune cose sono molto semplici da fare, ma le crediamo difficili, finché non le facciamo. E noi siamo un gruppo, che mette insieme la sua energia (pausa).
(Scelgo un suono fisso, una nota lunga al sintetizzatore. Fa da tappeto. Ricomincio il discorso dopo lunghe pause.)
Vorrei dirvi che un maestro Zen aveva ideato un esercizio, un koan. Non è importante se capite, la vostra mente inconscia lo farà al posto vostro. Il maestro aveva meditato a lungo. Era esperto e sapeva entrare con facilità in stati di coscienza non comuni. Bene, vi dicevo che aveva pensato a lungo a questo koan e alla fine l’aveva concepito. Queste erano le sue parole (lunga pausa).
“Due mani che battono producono un suono (le batto tre-quattro volte a intervalli). Ma qual è il suono di una mano sola?” (Lunga pausa.)
Ecco, sarebbe bello ascoltare questo suono, il suono di una mano sola. Forse la musica ve lo suggerisce.
(Intervengo sulla musica, scelgo un flauto campionato e suono un riff di poche note lunghe. Lo registro in tempo reale sul sequencer e lo faccio riascoltare. Un effetto ripetitivo, monotono.)
Ascolta il suono di una mano sola (ripeto la frase più volte, inframmezzandola con lunghe pause).
Ascolta il (pausa) suono (pausa) di una mano (pausa) sola. Ascolta il suono (pausa) di (pausa) una mano (pausa) sola (pausa).
(Questa fase dell’esercizio si protrae per venti minuti. Ne sono passati circa dieci dall’inizio. Ripeto la frase lentamente e con diverse intonazioni, dal volume normale al sussurro.)
Ora possiamo entrare nella seconda fase dell’esercizio. Mentre siete rilassati e con gli occhi chiusi, vi chiederei di fare attenzione a quale parte del corpo si interessa a questo suono. Avete udito un suono e forse pensate che non sia quello di una mano sola. In ogni caso, cercate di scoprire in quale punto del corpo si è riverberato o fatto sentire. Che sia o no il suono di una mano sola, quello è il vostro suono, il vostro suono di una mano sola (pausa).
Affidatevi alla vostra prima impressione. Alla parte del corpo che per prima ha reagito al suono. L’avete sentito lì, sapete qual è questa parte. So anche che alcuni di voi erano già entrati nella seconda fase prima che ne parlassi. E hanno già sentito in un punto del corpo il suono di una mano sola (pausa).
Non preoccupatevi di dare una prestazione, di essere impeccabili. Notate come state in questo istante, cosa sentite, e soprattutto in quale parte del corpo riecheggia il suono di una mano sola (pausa).
Ormai lo avete sentito tutti, il suono, concentratevi su questa parte. Dal terzo occhio a questa parte: è la seconda fase del nostro esercizio di oggi (lunga pausa, il suono prosegue e intervengo al sintetizzatore, suoni elettronici sul tessuto di base, sovrapposizioni di note lunghe con variazioni di volume ed effetti).
(Passano altri venti minuti, resto in silenzio. Ogni tanto mi richiamo al suono di una mano sola e riaccenno all’energia del gruppo.)
(Passo davanti a ogni membro del gruppo e mi fermo lì, restando in silenzio. Come volessi «intonarmi» a lui o a lei. Cerco di non pensare a niente e di avere presente soltanto lo spazio in cui ci troviamo entrambi, io e questa persona. Passo dall’uno all’altro, tentando di dedicare a ciascuno lo stesso tempo e la stessa attenzione. Mi siedo e lascio che la musica prenda il sopravvento.)
La sensazione di calma profonda, che avete provato anche solo per un attimo, in realtà so che è stata più lunga, vi accompagnerà fino al nostro prossimo incontro e oltre. Tra poco potrete tornare qui, svegliarvi, e lo dico soprattutto a chi pensa di essere sempre rimasto sveglio. A chi non vede l’ora di tornare e a chi vorrebbe restare in questo stato. Farò un conto alla rovescia per agevolarvi. Ma intanto restate ancora un po’ in questa situazione, nell’ascolto del suono della mano sola in una parte del corpo. Ancora qualche momento (pausa di qualche minuto; anche questa fase è durata circa venti-trenta minuti).
Bene, posso iniziare il conto. Conterò da dieci a uno e all’uno potrete svegliarvi e aprire gli occhi, tornando qui e ora (pausa).
Dieci, nove, otto, sette (la musica si fa più veloce e intensa). Sei, cinque, quattro (tra un numero e l’altro faccio una pausa, sempre più breve). Tre, due, quattro, tre, quattro, tre, due… due e UNO. Potete svegliarvi. Aprite pure gli occhi. Siete qui, siete tornati. Attenzione alla luce (la riaccendo).»
Osservazioni
Passare in rassegna i punti del corpo serve a creare il rilassamento preliminare. Sono i cakra, le ruote energetiche nel pensiero indiano. Dalla sommità del cranio ai talloni: li esamino tutti. Dico alla mente inconscia dei partecipanti che il rilassamento aumenterà. Le parlo prima di dire loro che lo sto facendo. Terranno presente l’informazione, mentre sono impegnati in altro: portare l’attenzione sulle parti del corpo, sedersi comodi e così via.
Il conteggio serve a creare l’attesa. All’ultimo numero, solo per aver contato, il meditante può trovarsi in uno stato lievemente alterato di coscienza.
Anche saltare un numero (il sei) può convincerlo di non cogliere tutto ciò che si sta dicendo perché si sta rilassando. Dire al gruppo che non deve fare niente di speciale lo distrae, mettendolo nello stato di non azione, molto adatto al lavoro meditativo: uno stato senza aspettative e che non richiede particolari abilità.
Quando i meditanti sono rilassati e si trovano in un altro stato di coscienza, la musica ne sottolinea i cambiamenti percettivi rispetto alla realtà. Fa da collante alla seduta.
Dico che parlerò alla loro mente inconscia. Può essere un modo di dire, ma anche più. Per lungo tempo si è pensato, nella psicoanalisi classica, che i messaggi del terapeuta non influissero sull’inconscio del paziente. Più o meno verso la metà del secolo scorso si è visto che non è così.
Si deve cambiare linguaggio e confezionare un messaggio adatto – non come ci rivolgeremmo a un interlocutore nello stato di veglia. Molti ricercatori sono giunti a questa conclusione. Per esempio, l’ipnotista Milton Erickson e la scuola di psicoterapia di Palo Alto, tra cui, Paul Watzlawick e Don Jackson.
Rivolgersi alla mente inconscia implica che si parlerà a un’altra parte del meditante. Che creda o meno all’esistenza dell’inconscio è irrilevante. Lo stesso vale per la distinzione tra le menti.
Che la coscienza e l’inconscio entrino in contrasto è un presupposto del lavoro analitico, in modo che si concentrino su compiti e funzioni differenti. Non è necessario che il meditante condivida questi assunti. Avranno lo stesso effetto sulla sua mente.
Dire che non occorre prestare attenzione serve a stornare le resistenze. Il meditante, come l’analizzato, vuole accingersi alla mindfulness, ma teme che ciò sconvolga le sue certezze e i punti di riferimento. Spiegargli che la sua attenzione può volgersi altrove favorisce la non azione.
«Ascolterete con il terzo occhio.» I meditanti sono spiazzati e si chiedono cosa significhi. Di solito, sono legati a una concezione logico-razionale della vita. Non occorre che capiscano ciò che gli si chiede.
Una parte di loro, man mano che il rilassamento e la calma aumentano, seguirà l’indicazione. Si stupirà di poterlo fare, e il terzo occhio parteciperà al lavoro. Come? Con un prurito, il calore, la sensazione che la parte del corpo è presente o qualsiasi altra lasciata all’immaginazione del meditante.
Nella meditazione si è soli, ma in gruppo. Molti la praticano per godere della loro solitudine. Hanno un momento della giornata per appartarsi, anche se in gruppo. E lo sanno. Altri, più socievoli, sono lieti di ritrovarsi in compagnia. Entrambe le categorie sono stimolate dal richiamo all’energia del gruppo.
L’atmosfera cambia con la meditazione. Tutti i membri partecipano di uno stato di calma, in intensità diverse. Meditare in gruppo è meglio, lo sanno anche i solitari. Temono gli altri, ma la meditazione li aiuta. Restano soli, insieme agli altri: una condizione ottimale. È quello che cercano, altrimenti non avrebbero accettato di partecipare a un’attività collettiva.
Ripetere l’esortazione al gruppo serve a rafforzare la convinzione di appartenervi, anche nei più recalcitranti. Dire che si forma l’energia di gruppo è una realtà. La si percepisce: l’atmosfera è diversa.
Lo si fa presente ai meditanti: sono seduti con gli occhi chiusi (1) e il rilassamento aumenterà (2). Niente di ciò che la voce guida dice è inefficace o privo di scopo. La frase 1, una realtà di fatto, serve a far accettare ai meditanti la frase 2, l’effetto che ci si propone di ottenere.
Il suggerimento deriva dalla pratica te...