
- 432 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Valeria in bianco e nero
Informazioni su questo libro
Dopo "Nei panni di Valeria" e "Valeria allo specchio", il terzo volume della Serie di Valeria di Elisabet Benavent. Quattro amiche, i sogni, le storie, le conversazioni e l'amore. Fatti innamorare!
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Informazioni
Print ISBN
9788817094559eBook ISBN
97888586901541
Iniziamo alla grande
Víctor era inginocchiato sul letto. Nudo. E bellissimo. Aveva i capelli scarmigliati e le tempie sudate per lo sforzo. Le braccia e le cosce si tendevano seguendo il ritmo dei gemiti, che cominciavano a essere secchi e violenti. Il petto si gonfiava… quel petto tanto virile, definito, forte, villoso quanto basta, con i peli che andavano diradandosi fino a tracciare una linea sottile sugli addominali. Sotto, l’andirivieni tra i suoi fianchi e i miei.
Mi teneva per le cosce e mi sollevava a suo piacere, per penetrarmi più a fondo. Io inarcavo la schiena, abbandonata tra le sue braccia. Ero alla sua mercé. Quella posizione aveva il potere di farmi dimenticare tutti i miei patimenti; soprattutto quel nuovo «accordo» che regolava la nostra relazione. Sì, insomma: non eravamo fidanzati, non ci chiedevamo spiegazioni, non sapevamo nulla dell’altro oltre a ciò che l’altro voleva farci sapere. Uno schifo, insomma. Almeno per me. Io volevo qualcosa di diverso: un rapporto vero, di quelli in cui dopo l’orgasmo ci si giura amore eterno.
Comunque, quando Víctor mi prendeva così, poteva anche dirmi che da quel giorno in poi mi avrebbe solo spedito telegrammi in alfabeto morse, e a me sarebbe andato bene.
Buttò indietro la testa e ansimò in quel modo che mi piaceva tanto, a denti stretti. Il gemito attivò il mio interruttore interno: sentii un solletico tra le gambe e un lieve tremore mi attraversò dalla testa ai piedi. Mi trattenni. Non volevo finire così in fretta. Feci ondeggiare i fianchi verso di lui, per sentire ancora di più la sua erezione.
«Mi fai impazzire…» mormorò. «Cazzo, è una droga. Non smetterei mai di scoparti.»
Emisi un verso che voleva essere un sospiro trattenuto, ma che suonò come un ululato, e mi aggrappai alle lenzuola.
«Ancora, ancora… non fermarti» implorai.
Víctor accelerò il ritmo e i capezzoli mi si indurirono quando sentii il mio corpo tremare, come percorso da una corrente elettrica che partiva dal mio sesso. Non riuscii nemmeno a gridare. Stavo esplodendo in un intenso e sconvolgente orgasmo. Rimasi sfinita sul letto, in una specie di coma, e lasciai che Víctor continuasse a muoversi fino a venirmi dentro, per poi rallentare.
«Cazzo…» grugnì.
A quel punto tutto finì. Lui rimase qualche secondo dentro di me, con gli occhi chiusi. In quegli attimi avevo sempre la sensazione che si godesse con calma il momento, come fossimo una coppia che ha fatto l’amore e non due che scopano e basta. Poi quella sensazione sparì e lui si lasciò cadere al mio fianco, fissando il soffitto.
A volte si girava e mi diceva qualcosa. Qualcosa di stupido, ovvio, perché cosa puoi dire in un momento del genere se non: «Ti amo»? Invece si limitava a: «Wow», «È stato fantastico» o «Dammi mezz’ora e lo rifacciamo». Meglio quando restava zitto, come in questo caso. Noi donne siamo fatte così: preferiamo il silenzio, perché possiamo riempirlo con tutti i pensieri e le sensazioni che vorremmo aver scatenato nel nostro compagno. Certo, è solo una reazione ipotetica, immaginaria, ma batte di gran lunga la certezza di sentirlo canticchiare tra sé e sé o lo scoprire che si farebbe volentieri una birra.
Víctor si girò verso di me, sul letto, e si strinse al cuscino. Mi fece una carezza, mi diede un bacio sul collo e mi chiese se volevo fare la doccia con lui. Víctor e la sua dannata doccia postcoitale. Una doccia lunga e fredda che, tuttavia, finiva di solito con un secondo assalto.
«No, no. Adesso me ne vado. Domani ho parecchie cose da fare» risposi riprendendo fiato.
«Tipo?»
«La valigia. E mandare un articolo al mio editor. O agente. O che cavolo ne so io cosa…»
«Un articolo?» chiese aggrottando la fronte e guardandomi con aria curiosa.
«Per una possibile collaborazione con una rivista. Non so come andrà. Per il bene delle mie finanze, spero funzioni.»
«Bello.» Si sistemò sul letto e si coprì un po’ con il lenzuolo. «Quand’è che vai?»
Per una frazione di secondo pensai si riferisse al fatto che ero ancora nel suo letto, e quasi arrossii, poi però capii che parlava del mio viaggio.
«Dopodomani» risposi.
«E a che ora hai il volo?»
«Alle sei e venti, credo. Ma non ci metterei la mano sul fuoco. Dovo controllare i biglietti.»
«Ti accompagno in aeroporto?» propose, mentre mi accarezzava un braccio.
«Non è necessario. Prenderò un taxi» replicai voltandomi verso di lui.
«No, dai, passo io da te. Un taxi a quell’ora… non è il massimo. Posso fermarmi a dormire a casa tua, se ti va. Così ti accompagno prima di andare al lavoro e ti do una mano con la valigia.»
«D’accordo.» Sorrisi.
In fondo eravamo sempre lì a fare braccio di ferro, ma ognuno contro se stesso. A me quella storia da pseudocoppia moderna non andava giù, eppure giocavo a fare la dura e fingevo di non considerarlo parte della mia vita, di limitarmi a usarlo ogni volta che ne avevo voglia; in realtà mi scioglievo di fronte al minimo gesto che andasse oltre il semplice sesso. Anche se, a ben vedere, non erano per forza segnali d’amore.
D’altro canto, lui giocava allo stesso modo con se stesso. Per Víctor la posizione in cui ci trovavamo era la migliore. E non mi riferisco a quella messa in pratica a letto, ma al fatto di non dover dare spiegazioni e non avere una relazione ufficiale. Ci era abituato, e in questo modo non si sentiva costretto a fare le cose per bene.
Andavamo a cena fuori, a bere qualcosa, poi a scopare; oppure mi chiamava per passare la domenica insieme, anche senza per forza fare sesso. Tutto molto libero. Di sicuro agli amici diceva che ero solo la ragazza con cui andava a letto. A me sembrava immaturo e illogico perché, tra l’altro, per mantenere il nostro rapporto entro questi confini doveva lottare di continuo con se stesso: controllare gesti spontanei che andavano in tutt’altra direzione… Alla fine, entrambi dovevamo sforzarci per adeguarci alla sua definizione. Io, però, cominciavo a stancarmi.
Allungai la mano, presi gli slip che erano volati sul comodino e me li infilai. Mi alzai dal letto e raggiunsi i jeans ma, prima che potessi indossarli, Víctor mi afferrò per un polso facendomi cadere di nuovo sul materasso. Si avvicinò e mi baciò sulle labbra.
«Non andartene, testona. Resta qui stanotte.» Sfregò il naso contro il mio.
«Ma domani devo…»
«Ti sveglierò io prima di andare al lavoro. Dopodomani parti, e non potrò dormire con te per giorni.»
Non suonava proprio come lui voleva venderla, no?
2
E questo?
Sentii la sveglia in lontananza, anche se ero solo dall’altra parte del letto. Be’, il mio corpo era lì, ma la mia coscienza era in piena trance agonistica da saldi: stavo litigando con una ragazza imprecisata per una borsetta letteralmente da sogno.
La mano di Víctor diede un colpo sulla sveglia e quel fischio infernale si zittì. Mi accoccolai mentre lui si sedeva sul bordo del letto. Lo sentii sbuffare e sbirciai l’orologio senza impegnarmi troppo ad aprire le palpebre. Le sei e mezzo. E la sconosciuta senza volto mi aveva pure fregato la borsa superscontata.
Víctor si alzò e andò in bagno con passo lento. Mi ha sempre affascinato quel suo modo di fare: se deve alzarsi, niente storie, lo fa e basta. Non brontola mai, né supplica: «Ancora cinque minutini».
(Modalità ironia on)
Quasi come me.
(Modalità ironia off)
Quando passò davanti al letto non riuscii a trattenermi e lanciai un’occhiata alle sue gambe, al suo didietro. Adoravo l’abitudine che aveva di dormire solo in mutande anche quando faceva un freddo del diavolo. La mia gioia mattutina…
Sentii l’acqua della doccia. Le palpebre pesavano tonnellate. Sonnecchiai ancora un po’.
L’anta dell’armadio, suono dolce di grucce in legno che sbattono tra di loro. Aprii un occhio.
Víctor si stava infilando la camicia dentro i pantaloni. Strinse la cintura. Chiusi gli occhi, appagata da quella visione. Che meraviglia!
Si chinò e mi diede un bacio sul collo. Gemetti appena. Fuori era ancora notte.
«Valeria, sono le sette e mezzo. Ti ho lasciato il caffè in cucina.»
«Ancora cinque minutini» mormorai.
«Ma hai detto che volevi tornare a casa presto…»
«Ho detto presto, non all’alba» protestai.
«Dai.» Mi diede una pacca sul sedere che risuonò nella camera. «Più tardi ti chiamo.»
Il corridoio si riempì dei suoi passi, le chiavi infilate nella tasca dei pantaloni, la porta che si chiudeva. Guardai il soffitto. Nessun dubbio: ero più contenta quando Víctor mi amava, mi coccolava e mi portava la colazione a letto. Cosa avevo sbagliato per fare un simile passo indietro?
Non c’era molto da scervellarsi, le cose stavano così: se non mi andava bene, la porta era quella. Ma l’idea di lasciare campo libero a tutte le zoccolette che gli avrebbero volentieri scaldato le lenzuola non mi fece affatto sentire meglio. Mi aveva promesso che, fin quando ci fossimo frequentati, non avrebbe visto nessun’altra; nessuna smorfiosa dal corpo scultoreo disposta a trasformare in realtà tutti i suoi sogni proibiti avrebbe occupato quel pezzetto di letto che consideravo di mia proprietà. A pensarci bene, però, solo le elaborate tecniche amatorie mi rendevano diversa dalle altre. Loro le conoscevano, io no. Non ero che una in più, l’equivalente umano e sessuale di una borsa dell’acqua calda.
Vietandomi di continuare con quel genere di pensieri, mi alzai, rubai una maglietta dall’armadio e andai in cucina a bere una tazza di caffè. Siccome non avevo più diritto a lasciare qualcosa lì, potevo solo scegliere tra andare in giro carica come un mulo o abituarmi a portare con me l’indispensabile e rinunciare alle comodità. Comodità tipo un pigiama, un phon o un cambio di biancheria.
Bevvi il caffè, sciacquai la tazza, andai in camera e rassettai il letto. Non avrei dovuto farlo; anzi, avrei dovuto lasciarci dentro le mie mutandine, giusto per rompere un po’ le scatole, ma ero una codarda. Raccolsi i miei vestiti sparsi in giro per la stanza.
Tecnicamente, la sera prima eravamo passati di lì solo a prendere le chiavi della macchina, per andare a cena fuori, ma in un attacco di passione Víctor mi aveva spinta contro la parete e addio prenotazione al ristorante. I vestiti ce li eravamo strappati di dosso l’un l’altra, per cui non mi stupii di non trovare il reggiseno. Alla fine lo localizzai sotto due cuscini, sulla poltrona in un angolo della camera, piegato meglio di quanto mi aspettassi.
La prima cosa che mi sorprese fu il tessuto. La seconda che le mie tette non ci stessero dentro. Ricordo di aver sollevato il sopracciglio sinistro e di aver pensato che ultimamente mangiavo troppo, specie la sera. Ma, un attimo… Mangiavo così tanto da non entrare più nel reggiseno da un giorno all’altro? Me lo sfilai e lo studiai con più attenzione.
Era di una marca che non avevo mai usato. E non era della mia taglia, né dello stesso colore di quello che indossavo il giorno prima. Come avrei potuto abbinare degli slip di pizzo bianco a un reggiseno nero di raso sintetico? Raso sintetico!
Be’, ormai era chiaro: non era mio.
Prima di andarmene sbattendo la porta, cercai del nastro adesivo in tutta la casa. Lasciai il maledetto reggiseno appeso allo specchio dell’ingresso, con un biglietto che di...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Valeria in bianco e nero
- 1. Iniziamo alla grande
- 2. E questo?
- 3. Inconfessabile
- 4. Ci meritiamo il meglio
- 5. Lola e il cinese mandarino
- 6. L’abito da sposa
- 7. Il tizio delle lezioni di inglese
- 8. Riempirsi la vita
- 9. Chiudere un occhio sulla prima uscita
- 10. Nerea la Tiepida
- 11. La conferenza
- 12. Una sola fermata
- 13. Aggiorniamoci
- 14. Sorseggiando il tè
- 15. Posso uscire a cena?
- 16. Motociclette e inverno non vanno d’accordo
- 17. La cena
- 18. Malumore
- 19. L’email
- 20. Il riposo del guerriero
- 21. Routine
- 22. Diario delle telefonate
- 23. La vita va avanti
- 24. Un sabato tra ragazze
- 25. Ho già aspettato troppo per lunedì
- 26. Quattro mesi al matrimonio
- 27. Gli uomini non parlano di queste cose
- 28. Prove di Bruno e Valeria
- 29. Aggiornamenti prima della partenza
- 30. «Asturie, patria amata» cantavano…
- 31. Vietato ai minori
- 32. L’ultima scopata prima della partenza
- 33. Valeria la Bestia torna umana
- 34. Ansia da nozze
- 35. Persuasione
- 36. Normalità
- 37. Prima della festa
- 38. Pronti, partenza…
- 39. La festa
- 40. Cresci
- 41. Postumi della sbronza
- 42. Le nozze
- 43. Il finale?
- Ringraziamenti
- Copyright