Il potere del silenzio
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Il potere del silenzio

  1. 288 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il potere del silenzio

Informazioni su questo libro

Nel Potere del silenzio l'incredibile percorso di ricerca interiore dell'antropologo peruviano Carlos Castaneda raggiunge un punto decisivo: avendo ormai costruito un solido rapporto con lo sciamano yaqui don Juan, l'autore può immergersi nei misteri della percezione, arrivando a toccare nuovi livelli di comprensione del mondo. Grazie alla straordinaria capacità di don Juan di controllare quelle energie dello spirito che nella società occidentale sono state soffocate dall'approccio razionalista, Castaneda vive nuove sconcertanti esperienze, in cui il grande stregone gli rivela come attraverso la padronanza dei diversi gradi di conoscenza - la consapevolezza, l'agguato e l'intento - sia possibile alterare i nostri concetti di "obiettività" e "realtà". Sperimentando nuove eccezionali arti magiche sotto la guida di don Juan, Castaneda accompagna il lettore in un itinerario di liberazione della mente, dischiudendoci tutto il fascino di quei sorprendenti stati di realtà che sfuggono alla nostra percezione ordinaria.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
Print ISBN
9788817258913
eBook ISBN
9788858691885
VI
La manovrabilità dell’intento

Il terzo punto

Don Juan portava spesso me e il resto dei suoi discepoli a far brevi gite sulla vicina catena montagnosa occidentale. Questa volta partimmo all’alba e riprendemmo la strada del ritorno nel tardo pomeriggio. Avevo scelto di camminare accanto a don Juan. Stargli vicino mi tranquillizzava e mi rilassava, mentre stare con i suoi briosi apprendisti produceva sempre in me l’effetto opposto, mi faceva sentire molto stanco.
Mentre scendevamo tutti dalle vette, don Juan e io ci fermammo prima di arrivare in pianura. Un attacco di profonda malinconia mi piombò addosso con tale forza e velocità che non potei fare altro che sedermi. Poi, seguendo il suggerimento di don Juan, mi distesi bocconi su un masso rotondo.
Gli altri apprendisti si presero gioco di me e continuarono il cammino. Sentii che le loro risa e urla si affievolivano per la distanza. Don Juan insisteva perché mi rilassassi e facessi assestare il mio punto d’unione, che secondo lui si era mosso con improvvisa rapidità, nella nuova posizione.
«Non preoccuparti» mi consigliò. «Tra breve sentirai una specie di strattone o una pacca sulla schiena, come se qualcuno ti avesse toccato. Poi starai bene.»
Lo starmene lì sdraiato immobile su quel masso, aspettando di sentire un colpo sulla schiena, mi provocò spontanei ricordi così intensi e nitidi da non farmi neanche notare la pacca che stavo aspettando. Ero tuttavia certo che me l’avessero data, perché la mia malinconia era presto scomparsa.
Descrissi velocemente a don Juan quanto mi era tornato in mente. Mi suggerì di restare sul masso e di spostare il punto d’unione nella posizione esatta in cui si trovava quando avevo vissuto l’avvenimento che avevo ricordato.
«Fa’ attenzione ai dettagli» m’avvertì.
Era accaduto molti anni prima. Don Juan e io ci trovavamo allora nello stato di Chihuahua, nell’altopiano desertico del Messico settentrionale. Ero solito recarmici con lui perché era una zona ricca delle erbe medicinali che lui raccoglieva. Inoltre la zona mi interessava enormemente dal punto di vista antropologico. Da poco gli archeologi vi avevano trovato resti di un grosso centro di commerci preistorico. Supponevano che il luogo, situato strategicamente in un crocevia naturale, fosse stato l’epicentro di traffici lungo una via commerciale che univa l’America sud-occidentale al Messico meridionale e al Centroamerica.
Le poche volte che ero stato su quell’altopiano desertico mi ero sempre più convinto che gli archeologi avevano ragione a pensare che quello fosse un passaggio naturale. Io, logico, avevo catechizzato don Juan sull’influenza di quel passaggio nella distribuzione preistorica di caratteristiche culturali nel continente nord-americano. In quel periodo ero molto interessato a spiegare la stregoneria presente fra gli indios dell’America sud-occidentale, del Messico e del Centroamerica come un sistema di credenze che si era trasmesso lungo le strade commerciali e che era servito a creare, a un certo livello astratto, una sorta di panindianismo precolombiano.
Don Juan, naturalmente, sghignazzava a più non posso ogni volta che gli esponevo le mie teorie.
L’episodio che avevo ricordato era iniziato a metà pomeriggio. Dopo aver raccolto due sacchetti di rarissime erbe medicinali, don Juan e io facemmo una sosta, sedendoci su due grandi massi. Prima che tornassimo là dove avevo lasciato la macchina, don Juan insisté a parlarmi dell’arte dell’agguato. Disse che quell’ambiente era il più adatto per spiegarmene le complicazioni, ma che per capirle dovevo prima entrare in stato di consapevolezza intensa.
Gli chiesi di spiegarmi prima, ancora una volta, quello che veramente era la consapevolezza intensa.
Mostrando grande pazienza, don Juan parlò della consapevolezza intensa in termini del movimento del punto d’unione. Mentre continuava a parlare, io notai l’assurdità della mia richiesta: sapevo già tutto quello che mi stava dicendo. Osservai che non avevo davvero bisogno che mi si spiegasse nulla, ma lui disse che le spiegazioni non erano mai sprecate perché erano stampate in noi per uso immediato o procrastinato o per aiutarci a preparare la via per raggiungere la conoscenza silenziosa.
Quando gli chiesi di parlarmi della conoscenza silenziosa più in dettaglio, mi rispose subito che la conoscenza silenziosa era una posizione generale del punto d’unione, che secoli prima era stata la posizione normale; poi, per ragioni che sarebbe stato impossibile determinare, il punto d’unione dell’uomo s’era spostato da quella collocazione specifica adottandone una nuova chiamata “ragione”.
Don Juan mi faceva notare che non tutti gli esseri umani rappresentavano questa posizione. I punti d’unione della maggior parte di noi non erano messi nella posizione esatta della ragione, ma nelle immediate vicinanze. Era accaduta la stessa cosa con la conoscenza silenziosa: nemmeno allora i punti d’unione di tutti gli esseri umani erano esattamente in quella posizione.
Aggiunse anche che “il luogo della non pietà”, un’altra posizione del punto d’unione, era il precursore della conoscenza silenziosa, e che un’altra posizione ancora del punto d’unione, “il luogo della sollecitudine”, era il precursore della ragione.
Non trovavo nulla di oscuro in quelle enigmatiche espressioni. Per me erano ovvie. Capivo tutto quello che diceva, mentre aspettavo che il suo solito colpetto fra le scapole mi facesse entrare nello stato di consapevolezza intensa. Ma il colpo tardava a venire e io continuavo a capire quello che lui stava dicendo senza accorgermi veramente di capire qualcosa. Quel sentirmi a mio agio e dare tutto per scontato, proprio della mia consapevolezza normale, rimase in me e io non dubitai della mia capacità di comprensione.
Don Juan mi guardò fisso e mi raccomandò di stare bocconi su di un masso rotondo, con braccia e gambe divaricate come un ranocchio.
Me ne stetti lì disteso per circa dieci minuti, completamente rilassato, quasi assopito, finché non fui strappato di soprassalto al mio torpore da un ringhiare, prolungato e penetrante. Sollevai il capo, guardai in su e mi si rizzarono i capelli per lo spavento. Un gigantesco giaguaro scuro era acquattato su un masso a neanche tre metri da me, sovrastante proprio il posto dov’era seduto don Juan. Il giaguaro, mostrando le zanne, mi fissava con occhi di fuoco, e sembrava pronto a balzarmi addosso.
«Non muoverti!» mi sibilò piano don Juan. «E non guardarlo negli occhi. Fissagli il naso e non sbattere le palpebre. La tua vita è nel tuo sguardo.»
Feci quello che mi ordinava. Il giaguaro e io ci fissammo per un attimo finché don Juan non spezzò l’impasse lanciando il cappello come un frisbee in testa al giaguaro. Questi balzò all’indietro per non farsi colpire e don Juan emise un fischio forte, sostenuto e sibilante. Poi urlò con quanto fiato aveva in gola e batté le mani due o tre volte. Sembravano colpi di fucile un po’ attutiti.
Don Juan mi fece segno di scendere dal masso e unirmi a lui. Tutti e due urlammo e battemmo le mani finché don Juan decise che avevamo cacciato via il giaguaro, spaventandolo.
Tremavo in tutto il corpo, eppure non avevo paura. Confidai a don Juan che quel che mi aveva spaventato di più non era stato il ringhio improvviso del felino o il suo sguardo, ma la certezza che il giaguaro fosse stato a guardarmi un bel po’ prima che io lo sentissi e alzassi la testa.
Don Juan non disse una parola su quell’esperienza. Era profondamente assorto nei suoi pensieri. Quando feci per chiedergli se avesse visto il giaguaro prima di me, mi fece un gesto imperioso per zittirmi. Mi diede l’impressione che si sentisse a disagio o fosse un po’ confuso.
Dopo un attimo di silenzio, don Juan mi fece cenno di cominciare a camminare. Lui procedeva davanti; ci allontanammo dalle rocce, zigzagando di buon passo nel sottobosco.
Circa mezz’ora più tardi raggiungemmo una radura e ci fermammo un momento a riposare. Non avevamo scambiato neanche una parola e io ero ansioso di sapere cosa stesse pensando lui.
«Perché camminiamo a zig-zag?» domandai. «Non sarebbe meglio andare in linea retta e più velocemente?»
«No» rispose con enfasi. «Non servirebbe a niente. È un giaguaro maschio, quello. Ha fame e ci inseguirà.»
«Un motivo in più per mettere le ali ai piedi» insistetti.
«Non è facile» replicò lui. «Quel giaguaro non è appesantito dalla ragione. Saprà esattamente cosa fare per prenderci. E, come è certo che ti sto parlando, leggerà i nostri pensieri.»
«Cosa vuol dire, il giaguaro che legge i nostri pensieri?» chiesi.
«E non in senso metaforico» precisò. «Dicevo sul serio. Animali grossi come quello hanno la capacità di leggere i pensieri. Non indovinare, ma conoscere direttamente ogni cosa.»
Tutto allarmato domandai: «Cosa dobbiamo fare, allora?».
«Dovremmo diventare meno razionali e cercare di vincere la nostra battaglia rendendogli impossibile leggere i nostri pensieri.»
«Come potrebbe aiutarci l’essere meno razionali?» gli chiesi.
«La ragione ci fa scegliere quello che sembra più efficace alla mente» disse. «Per esempio, la ragione ti ha già detto di correre il più velocemente possibile in linea retta. Quel che la tua ragione non ha considerato è che noi dovremmo correre per sei miglia prima di poterci mettere al sicuro nella tua macchina. E il giaguaro corre più veloce di noi. Ci taglierebbe la strada, aspettando nel luogo più propizio per saltarci addosso.
«Procedere a zig-zag è una scelta migliore, anche se meno razionale.»
«Come sai che è migliore, don Juan?» chiesi.
«Lo so perché la mia connessione con lo spirito è molto chiara» replicò. «Cioè, il mio punto d’unione è nella posizione della conoscenza silenziosa. Di là posso vedere che si tratta di un giaguaro che ha fame, ma non ha mai mangiato esseri umani. Ed è sconcertato dal nostro modo di agire. Se adesso procediamo a zig-zag, dovrà fare uno sforzo per precederci.»
«Abbiamo altre alternative allo zigzagare?»
«Solo alternative razionali. E non abbiamo l’attrezzatura necessaria per appoggiarle. Per esempio, potremmo andare su un’altura, ma avremmo bisogno di un fucile per difenderci.
«Dobbiamo tenerci allo stesso livello del giaguaro. Le sue scelte sono dettate dalla conoscenza silenziosa. Noi dobbiamo fare quello che ci dice la conoscenza silenziosa, per quanto possa sembrare irrazionale.»
Cominciò a correre a zig-zag. Io lo seguivo molto da vicino, ma non avevo nessuna fiducia che correndo così ci saremmo salvati. Avevo una reazione ritardata di panico. Mi ossessionava il pensiero dell’oscura sagoma incombente di quel gattone.
Il chaparral desertico consisteva di alti e sparuti cespugli distanti l’uno dall’altro un paio di metri circa. Le limitate precipitazioni del deserto non permettevano la crescita di piante con fitto fogliame o di un ricco sottobosco. Eppure l’effetto visivo del chaparral era di una boscaglia fitta e impenetrabile.
Don Juan si muoveva con straordinaria agilità e io lo seguivo come meglio potevo. Mi suggerì di guardare dove mettevo i piedi e fare meno rumore. Disse che il rumore dei rami che si spezzavano sotto i miei passi mi tradiva sfacciatamente.
Feci molta attenzione per cercare di camminare nelle orme di don Juan per evitare di spezzare rami secchi. Zigzagammo così per un centinatio di metri prima che io scorgessi l’enorme massa scura del giaguaro a non più di una trentina di metri dietro di me.
Urlai a gola spiegata. Senza fermarsi, don Juan si girò abbastanza in fretta per veder scomparire il grosso felino dalla nostra vista. Don Juan emise un altro fischio penetrante, continuando a battere le mani per imitare il suono di fucilate attutite.
A voce molto bassa affermò che i gatti non amano andare in salita, così noi dovevamo attraversare a gran velocità l’ampia e profonda gola che si trovava a pochi metri da me, sulla destra.
Diede il via e ci lanciammo in mezzo ai cespugli alla massima velocità. Scivolammo giù lungo un fianco del burrone, raggiungemmo il fondo e risalimmo per l’altro versante. Da lì avevamo una buona vista del declivio, del fondo della gola e del pianoro dov’eravamo prima. Don Juan bisbigliò che il giaguaro stava seguendo la nostra traccia e che se fossimo stati fortunati l’avremmo visto precipitarsi fino in fondo al burrone sulle nostre piste.
Guardando fisso sotto di noi aspettai con ansia di veder apparire l’animale, ma non lo vidi. Stavo cominciando a pensare che forse era scappato via quando udii il terrificante ruggito del bestione nella boscaglia alle nostre spalle. Rabbrividii nell’accorgermi che don Juan aveva avuto ragione. Per essere arrivato dov’era, il giaguaro doveva aver letto i nostri pensieri, attraversando la gola prima di noi.
Senza dire una parola, don Juan cominciò a correre a una velocità spaventosa. Gli andai dietro e proseguimmo per un pezzo, sempre a zig-zag. Quando ci fermammo per riposare, ero completamente senza fiato.
Il timore di essere inseguito dal giaguaro non mi aveva impedito di ammirare la stupenda forma fisica di don Juan. Aveva corso come un giovanotto. Avevo cominciato a dirgli che mi aveva ricordato qualcuno che, nella mia infanzia, mi aveva colpito per la grande abilità nella corsa, ma mi fece cenno di smettere di parlare. Ascoltava con grande attenzione, e ascoltai anch’io.
Sentii un lieve fruscio nel sottobosco, proprio davanti a noi, e poi per un istante, a neanche cinquanta metri di distanza, fu visibile la nera sagoma del giaguaro.
Don Juan si strinse nelle spalle e fece un gesto in direzione dell’animale.
«Sembra che non riusciamo a levarcelo di torno» disse, con tono di rassegnazione. «Camminiamo con calma, come se facessimo una bella passeggiata nel parco, e raccontami la storia della tua infanzia. È il tempo giusto e l’ambiente adatto per farlo. Un giaguaro ci dà la caccia e tu ricordi il passato: il perfetto non-fare per essere inseguiti da un giaguaro.»
Rise sonoramente. Ma quando gli dissi che avevo perduto ogni voglia di raccontargli l’aneddoto, si piegò in due dalle risate.
«Ora mi stai castigando per non aver voluto ascoltarti, vero?» domandò.
E io, ovviamente, cominciai a difendermi. Gli replicai che le sue accuse erano chiaramente assurde. Io avevo davvero perduto il filo del racconto.
«Se uno stregone non ha boria, se ne infischia di aver perduto il filo» disse, con una luce maliziosa nello sguardo. «Visto che non ti è rimasta neanche un po’ di presunzione, dovresti raccontarla adesso, la tua storia. Raccontala allo spirito, al giaguaro e a me, come se non avessi perso il filo per niente.»
Volevo dirgli che non mi andava di ubbidire ai suoi desideri perché la storia era troppo sciocca e l’ambiente opprimente. Volevo scegliere lo sfondo adatto, in un altro momento, come faceva lui per i suoi racconti.
Prima di dar voce alle mie opinioni, lui mi rispose.
«Sia il giaguaro sia io leggiamo i pensieri» disse sorridendo. «Se io scelgo luogo e tempo per le mie storie di stregoneria, è perché fanno parte dell’insegnamento e voglio ricavarne il massimo effetto.»
Mi fece cenno di cominciare a camminare. Camminavamo tranquilli, fianco a fianco. Gli confessai che avevo ammirato la sua falcata e la sua resistenza e che c’era un po’ di presunzione in fondo alla mia ammirazione perché mi consideravo un buon corridore. Poi gli raccontai l’aneddoto della mia infanzia che mi ero rammentato vedendolo correre così bene.
Gli dissi che da ragazzo giocavo a calcio e correvo molto bene. Infatti ero talmente agile e veloce che pensavo di poter commettere impunemente qualsiasi marachella perché sarei riuscito a lasciare indietro chiunque avesse cercato di prendermi, specie i vecchi poliziotti che pattugliavano a piedi le strade della mia città natale. Se avessi spaccato il vetro di un lampione o cose del genere, tutto quel che dovevo fare era darmi alla fuga e me la sarei cavata.
Ma un giorno, senza che io lo sapessi, i vecchi poliziotti furono rimpiazzati da agenti più giovani, allenati militarmente. Giunse il fatale momento in cui mandai in frantumi la vetrina di un negozio e corsi via, fiducioso che la velocità fosse il mio salvacondotto. Un giovane poliziotto si diede al mio inseguimento. Corsi come non avevo mai corso prima, ma inutilmente. L’agente, che era un formidabile centrattacco nella squadra di calcio della polizia, aveva più velocità e forza di quanta potesse averne il mio corpo di ragazzo decenne. Mi afferrò e mi riportò a calci fino al negozio con la vetrina spaccata. Contava ad alta voce tutti i calci, come se si stesse allenando allo stadio. Non mi fece male ma mi s’inaridì la gola dalla paura. Tuttavia la mia cocente umiliazione fu attenuata dall’ammirazione, tipica in un ragazzino della mia età, per la bravura e il talento del calciatore.
Confidai a don Juan che quel giorno avevo provato la stessa sensazione con lui. Era in grado di correre più velocemente di me, nonostante la differenza di età e la mia propensione per le fughe veloci.
Gli dissi anche che per anni avevo avuto un sogno frequente, in cui correvo così bene che ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. I. LE MANIFESTAZIONI DELLO SPIRITO
  6. II. IL TOCCO DELLO SPIRITO
  7. III. LO STRATAGEMMA DELLO SPIRITO
  8. IV. LA DISCESA DELLO SPIRITO
  9. V. LE ESIGENZE DELL’INTENTO
  10. VI. LA MANOVRABILITÀ DELL’INTENTO
  11. Indice