GRISELDA
DEDICA A MADEMOISELLE***
Nell’offrirvi, giovane e saggia bellezza
questo modello di pazienza,
non mi sono certo lusingato
di farvelo imitare in ogni punto.
Sarebbe troppo, in coscienza.
Ma questa Parigi, in cui gli uomini sono galanti,
dove il bel sesso nato per piacere
trova ogni sua soddisfazione,
d’ogni parte è poi così piena
di esempi del difetto opposto,
tanto che non si può in tutto l’inverno
per difendersi o disfarsene
mai avere troppo contravveleno.
Una signora così paziente
come colei di cui io qui evidenzio i pregi
sarebbe in qualunque luogo inconcepibile,
ma a Parigi sarebbe un miracolo.
Da noi le donne sono sovrane
tutto è regolato secondo i loro desideri,
è infine un felice empireo
abitato solo da Regine.
Sicché io già vedo che in ogni modo
Griselda vi sarà poco apprezzata,
e che offrirà materia di riso
per le sue troppo antiquate lezioni.
Non è che la pazienza
non sia una virtù delle signore parigine,
ma da lunga tradizione esse hanno la scienza
di farla esercitare ai loro propri mariti.
GRISELDA
Novella
Ai piedi di quelle celebri montagne donde il Po, sfuggendo di sotto i canneti, se ne va a diffondere le sue acque nascenti in seno alle campagne vicine, viveva un giovane e coraggioso Principe, delizia della sua provincia. Creandolo il cielo aveva riversato su di lui in una sola volta tutto quanto vi è di più raro: ciò che di solito distribuisce separatamente a ciascuno dei suoi beneamati, e che non offre se non ai grandi Re.
Colmo di ogni valore, sia di corpo che d’anima, il Principe era robusto, agile, adatto al mestiere delle armi, e col segreto istinto di una divina fiamma amava ardentemente tutte le belle arti, amava la guerra e la vittoria, i grandi progetti, gli atti di valore, e tutto quanto fa vivere nella storia un grande nome; ma il suo cuore tenero e generoso era ancora più sensibile alla gloria positiva di rendere felici i suoi popoli.
Questo temperamento eroico era però oscurato da un tetro influsso di depressione e malinconia, che gli faceva giudicare in fondo al cuore tutto il bel sesso infedele e ingannevole. Nella donna in cui brillasse il merito più raro, lui vedeva un’anima ipocrita, uno spirito ebbro di orgoglio, un crudele nemico che aspirasse continuamente a ottenere un potere sovrano sullo sventurato che gli si fosse offerto.
I suoi frequenti contatti con una società dove non si vedevano che mariti soggiogati e traditi, insieme alla mentalità gelosa dei luoghi, accrebbero ancor più questo suo profondo odio. Per cui parecchie volte giurò a se stesso, che finché il cielo, già a lui tanto generoso, non avesse formato un’altra Lucrezia, non si sarebbe piegato alle leggi del matrimonio.
Così, dopo che la mattina, da lui dedicata agli affari di stato, aveva saggiamente regolato ogni decisione necessaria alla buona riuscita del suo governo, dopo aver difeso i diritti del debole orfano e della vedova oppressa, o eliminato un’imposta che una guerra necessaria aveva introdotto tempo addietro, l’altra metà della giornata la destinava alla caccia, dove o i cinghiali o gli orsi, malgrado i loro furori e le loro difese, gli davano ancor meno da pensare dell’affascinante sesso che continuava a evitare.
Tuttavia i suoi sudditi, spinti dal proprio interesse a garantirsi un erede al trono, che avrebbe potuto governarli in futuro con la sua stessa abilità, lo esortavano senza posa a dar loro un suo figlio.
Un giorno vennero tutti in gruppo a palazzo reale, per esercitare i loro più energici e definitivi sforzi, e un oratore dall’aria assai impegnata, il migliore che ci fosse in quel momento, disse tutto ciò che si può in una simile circostanza. Sottolineò il loro urgente desiderio di vedere nascere al più presto dal loro Principe una felice discendenza che rendesse lo stato fiorente per sempre. Disse perfino, concludendo, che vedeva sorgere un astro, uscito dal suo casto matrimonio, tale da far impallidire la Luna crescente.
Con tono più semplice e a voce più sommessa, il Principe poi così rispose ai suoi sudditi.
«L’ardente fervore, col quale oggi mi spingete ai nodi del matrimonio, mi fa piacere e mi è gradita testimonianza del vostro amore. Ne sono sensibilmente toccato, e vorrei potervi soddisfare fin da domani. Ma secondo me sposarsi è un affare in cui l’uomo più è prudente più si trova impacciato.
Osservate bene tutte le ragazze: finché restano in seno alle loro famiglie non c’è in esse altro che virtù e bontà, pudore e sincerità, ma non appena il matrimonio ha posto fine alla maschera, e appena – avendo ormai fissato il loro destino futuro – essere virtuose non ha più importanza, esse abbandonano il personaggio che hanno finto non senza averne molto sofferto, e ognuna di esse nella nuova casa fa il bello e il cattivo tempo secondo il suo carattere.
L’una, di umore tetro, da nulla rallegrata, divenuta una devota fanatica, sgrida e rimprovera a ogni istante, l’altra si abbiglia da civetta, di continuo ascolta o spettegola, e non ha mai abbastanza corteggiatori. Quella, divenuta follemente curiosa di ogni bella arte, di tutto giudica senza appello e con alterigia, e criticando l’autore più abile si trasforma in Preziosa; quell’altra si atteggia a giocatrice incallita, ma perde tutto, denaro, gioielli, anelli, mobili di pregio, e perfino i suoi stessi abiti.
Pur nella diversità delle vie che seguono, vedo che tutte loro si trovano d’accordo in una sola cosa, ed è nel volere imporre la loro legge. Perciò mi sono convinto che nel matrimonio non si può mai vivere felici, dal momento che vi si comanda in due. Se dunque voi desiderate che io mi leghi a una moglie cercatemi una bella giovane senza orgoglio e senza vanità, di un’obbedienza fatta e finita, di una provata pazienza, e che non abbia una sua volontà. Quando l’avrete trovata la sposerò.»
Dopo aver posto fine a questo discorso morale, il Principe salta bruscamente a cavallo, e corre a perdifiato a raggiungere i suoi cani che lo attendono in mezzo alla pianura.
Passa su prati e maggesi, ritrova i suoi Cacciatori seduti sull’erba verde. Già allertati tutti loro si alzano e fanno tremare coi loro corni gli ospiti delle foreste. L’onda dei cani latranti brilla qua e là in mezzo alle stoppie, e i segugi dall’occhio ardente, andando e tornando dalla loro postazione alla tana della bestia, trascinano con lo sguardo i forti valletti che li trattengono.
Essendosi informato da uno dei suoi per sapere se tutto è pronto, e se si trovano sulle giuste tracce, egli ordina subito che si dia inizio alla caccia, e fa abbandonare il cervo ai cani. Il suono dei corni che rimbombano, il rumore dei cavalli nitrenti, e il penetrante abbaiare dei cani eccitati, riempiono la foresta di tumulto e agitazione, e mentre l’eco raddoppia senza sosta quel concerto essi si addentrano seguendoli nel più profondo segreto dei boschi.
Il Principe, fosse un caso o fosse il suo destino, prende una via fuori mano dove nessuno dei suoi Cacciatori lo segue. Più corre più se ne allontana: e infine si smarrisce a tal punto da non udire il rumore dei cani né dei corni.
Il luogo dove lo conduce la sua strana avventura, rischiarato dai ruscelli e reso oscuro dalla verzura, riempiva lo spirito di un intimo spavento religioso; la Natura semplice e ingenua vi si mostrava così bella e pura che egli benedì mille volte il suo errore.
Tutto colmo delle dolci fantasticherie che ispirano le grandi foreste, le acque correnti e le praterie, a un tratto il suo sguardo e il suo cuore sono improvvisamente colpiti dall’oggetto più gradevole, più dolce e più amabile che avesse mai visto sotto il cielo.
Era una giovane pastorella, che filava lungo la sponda di un ruscello. Mentre guidava il suo gregge, con mano saggia e operosa faceva prillare l’agile fuso.
Avrebbe potuto domare i cuori più selvaggi; la pelle del suo viso aveva il candore dei gigli, e la sua freschezza naturale era stata protetta dall’ombra dei boschi. La bocca conservava tutti i vezzi dell’infanzia, e gli occhi, raddolciti da una bruna palpebra lampeggiavano più azzurri ma anche più luminosi del firmamento.
Con trasporto amoroso il Principe, internandosi sempre più nel bosco, contempla le bellezze di cui ha l’anima commossa. Ma al fruscio che produce passando lo sguardo della bella si volge su di lui. Dacché si vede osservata, il pronto e vivo ardore del brillante incarnato raddoppia la luminosità del suo colorito, e fa trionfare il pudore diffuso sul suo volto.
Sotto l’innocente velame di quel grazioso impaccio, il Principe scopre una semplicità, una dolcezza, una sincerità, di cui credeva il bel sesso incapace, e che ora vede là in tutto il loro fascino.
Preso da un’inquietudine per lui del tutto nuova, le si avvicina incerto, e più timido di lei le dice con voce malsicura di aver perduto la traccia di tutti i suoi Cacciatori, e le chiede se uomini e cani non siano per caso passati da quei boschi.
«Signore, nulla è apparso in questa solitudine» disse lei «e nessuno è venuto qui tranne lei solo. Ma non stia a preoccuparsi, poiché io rimetterò i suoi passi su una strada nota.»
«Per la fortuna che ho avuto oggi non posso» rispose lui «che render grazie anche troppo agli dèi. Frequento questi luoghi da tanto tempo, ma finora avevo ignorato ciò che hanno di più prezioso.»
E intanto lei vede che il Principe si china sull’umida riva del ruscello, per spegnere nel corso dell’acqua la sete ardente che l’opprime. «Signore, aspetti un momento» dice, e correndo in fretta verso la sua capanna, vi prende una tazza, che offre al suo nuovo innamorato con gioia e grazia squisita.
I vasi più preziosi, di cristallo e di agata, sui quali risplenda l’oro in mille sfaccettature, e che un sofisticatissimo artigiano sappia eseguire con cura, non avevano mai avuto per lui, nel loro inutile sfoggio, tanta bellezza quanto il vaso d’argilla che ora gli offriva la pastorella.
E intanto, per trovare una strada più facile, che conduca il Principe in città, attraversano boschi, scarpate rocciose e torrenti incrociati fra loro. Il Principe non entra mai in una nuova via senza osservare bene tutti i luoghi all’intorno. Il suo amore ingegnoso, che già pensava al ritorno, se ne fece una mappa fedele.
Infine la pastorella lo conduce in un’opaca e fresca foresta, dove da sotto i folti intrichi dei rami egli vede in lontananza nel mezzo della piana i tetti dorati del suo ricco palazzo.
Dopo essersi separato dalla bella con un vivo dolore egli si allontana da lei a passi lenti, sopraffatto dal dardo che gli trapassa il cuore, e il ricordo della sua tenera avventura lo conduce con piacere a casa sua. Ma dall’indomani risentì nettamente la ferita e si vide oppresso dalla tristezza e dalla sofferenza.
Non appena lo può torna alla caccia, dove sfugge al suo seguito e si libera destramente, per rismarrirsi con ogni gioia. Gli alberi e le cime elevate dei monti, che aveva tenuto a mente con sì gran cura, e i suggerimenti segreti del suo amore fedele, lo guidarono così bene che, nonostante gli incroci di cento strade diverse, ritrovò la casa della sua giovane pastorella.
Seppe che essa non aveva con sé altro che il padre, che si chiamava Griselda, e che i due, vivendo tranquillamente del latte delle loro pecore, si facevano da soli i vestiti con della lana da lei stessa filata fra le sue mani.
Più la guarda più si entusiasma delle vive bellezze della sua anima. Capisce vedendo tanti preziosi doni di natura che se la pastora è tanto bella ciò è perché una piccola scintilla della sua anima le brilla negli occhi.
Prova un’estrema gioia per avere così ben riposto il suo primo innamoramento. Così senza più attendere oltre, quel giorno stesso fece riunire il consiglio di stato e gli tenne questo discorso.
«Ecco che finalmente, seguendo il vostro desiderio, sto per sottomettermi alle leggi nuziali. Non ho preso mia moglie da un paese straniero, l’ho scelta fra di voi, bella saggia ben nata, così come i miei avi hanno già fatto più volte. Ma aspetterò ancora tutto intero questo giorno prima di farvi sapere chi è la prescelta.»
Non appena la notizia fu risaputa in giro, eccola sparsa in ogni luogo. Né si può dire con quanto ardore si manifesta da ogni parte la pubblica allegria. Il più felice era l’Oratore, convinto di essere stato l’unico artefice di un bene così grande per merito del suo discorso patetico. Dove mai avrebbero potuto trovare un suo pari? «Nulla può resistere alla grande eloquenza», si diceva senza sosta in cuor suo.
Il piacere fu poi di vedere il lavoro (inutile) delle Belle di tutta la città, per attirarsi e meritarsi la scelta del Principe loro Signore, soltanto affascinato da un contegno casto e modesto, come già cento volte aveva detto e ridetto.
Cambiarono tutte, di abito e di contegno, tossirono in tono devoto, raddolcirono le voci, abbassarono le loro pettinature di un mezzo piede, si coprirono la scollatura, allungarono le maniche. Appena appena si vedevano loro le punte delle dita.
Intanto nella città, per il giorno del matrimonio che si avvicina, si vedono lavorare tutti i tipi di artigiani, e qui appaiono magnifici carri di una forma tutta nuova, così belli e così ben concepiti che l’oro scintillante dappertutto è la minore delle loro bellezze.
Là invece vengono rizzate grandi impalcature, per vedere facilmente tutta la pompa dello spettacolo, e qui ancora grandi archi trionfali dove si celebra la gloria del principe guerriero e la sorprendente vittoria dell’Amore su di lui.
Là, con arte industre, vengono forgiati quei fuochi artificiali che spaventando la terra attraverso i colpi di un fulmine innocente, abbelliranno il cielo di mille nuovi astri. Laggiù si coreografa con attento studio la deliziosa follia di un nuovo balletto, e là si sentono ripetere le arie melodiose di un’opera popolata da mille dèi, la più bella che mai l’Italia abbia prodotto.
E giunse infine la grande giornata del famoso matrimonio.
Appena appena l’aurora vermiglia confondeva l’oro con l’azzurro sullo sfondo di un cielo intenso e puro, quando dappertutto il bel sesso si sveglia di soprassalto: la popolazione curiosa si sparge da ogni lato. I vigili vengono sistemati in diversi luoghi per contenere la folla e costringerla a lasciare spazio al passaggio. L’intero palazzo risuonava di trombe, di flauti, di oboe, rustiche cornamuse, e nei dintorni non si odono che tamburi e trombette.
Finalmente il Principe esce circondato dalla Corte, e subito si leva un lungo grido di gioia, ma restano tutti molto meravigliati quando alla prima svolta, lo vedono prendere la via della vicina foresta, come faceva ogni giorno. «Ecco» si dissero «che le sue tendenze personali lo trascinano: a dispetto dell’amore la caccia resta la più forte delle sue passioni.»
Ma lui attraversa rapidamente i maggesi della pianura e, arrivando alla montagna, s’inoltra nel bosco con gran meraviglia del seguito che lo accompagna.
Dopo essere passato per le vie più svariate e contorte, che il suo cuore innamorato si compiace di riconoscere, trova infine la rustica capanna dove abita il suo tenero amore.
Griselda, informata del matrimonio dalla voce pubblica, s’era messa l’abito della festa; e per andarne a vedere la magnifica cerimonia, usciva proprio in quel momento dalla porta inferiore della sua casa di campagna.
«Dove corri, così agile e leggera» le disse il Principe avvicinandosi e guardandola con tenerezza «non avere più tanta fretta, o mia pastorella troppo amabile, le nozze cui ti affretti, e di cui io sono lo sposo, senza di te non si potrebbero fare...
Sì, ti amo, ti ho scelta fra mille giovani beltà, per passare con te il resto della mia vita, sempre che tu non...