Esercizi di memoria
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Esercizi di memoria

  1. 240 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Esercizi di memoria

Informazioni su questo libro

Ogni mattina alle sette, lavato, sbarbato, vestito di tutto punto mi siedo al tavolo del mio studio e scrivo. Sono un uomo molto disciplinato, un perfetto impiegato della scrittura. Forse con qualche vizio, perché mentre scrivo fumo, molto, e bevo birra. E scrivo, io scrivo sempre. Questo è Camilleri. Poi a novant'anni arriva il buio. E così come non era terrorizzato dalla pagina bianca, combatte anche l'oscurità della cecità e inizia a dettare. La sua produzione letteraria trova nell'oralità una nuova via per raccontare le sue storie. Ma se forte era la sua disciplina prima, lo è ancora di più oggi che può contare esclusivamente sulla sua memoria. E quindi occorre tenerla in esercizio: osservare nei dettagli i ricordi, rappresentarsi nella mente le scene. Quelli qui pubblicati, come dice lui, sono i compiti per l'estate: 23 storie pensate in 23 giorni, che raccontano come nitide istantanee la sua vita unica e, sullo sfondo, quella del nostro Paese. La memoria qui non è mai appesantita né dalla malinconia né dal rimpianto. Per questo Camilleri ha chiesto a chi parla attraverso i colori, le forme e i volumi di rendere il suo esercizio più godibile, più leggero, più spettacolare. L'ideale della mia scrittura è di farla diventare un gioco di leggerezza, un intrecciarsi aereo di suoni e parole. Vorrei che somigliasse agli esercizi di un'acrobata che vola da un trapezio all'altro facendo magari un triplo salto mortale, sempre con il sorriso sulle labbra, senza mostrare la fatica, l'impegno quotidiano, la presenza del rischio che hanno reso possibili quelle evoluzioni. Se la trapezista mostrasse la fatica per raggiungere quella grazia, lo spettatore certamente non godrebbe dello spettacolo.

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Il Paradiso a mille lire

Nel 1960 Eduardo De Filippo dopo lunghe ed estenuanti trattative con la Rai accettò, come ho già raccontato, di portare otto tra le sue migliori commedie in televisione. Il sì di Eduardo costituiva un importante risultato per la nostra televisione, allora tutti gli intellettuali più o meno di sinistra disdegnavano il mezzo televisivo, non partecipandovi in nessun modo né con loro lavori né come sceneggiatori. Se fosse andata bene in porto l’operazione Eduardo, di certo coloro che fino al giorno prima si erano rifiutati di collaborare avrebbero cambiato atteggiamento.
In qualità di esperto di teatro venni designato come “delegato alla produzione”. Era una figura nuova nell’organigramma, il produttore delegato era l’unico responsabile del programma, aveva ampi poteri: dalla scelta del regista e degli attori, alla designazione degli scenografi dei costumisti eccetera. Sapeva di avere un budget già prefissato da non sforare assolutamente e avrebbe dovuto consegnare il prodotto finito e già pronto per essere mandato in onda ad una data stabilita. Nel maggio di quello stesso anno presi contatto con Eduardo che allora abitava a Roma e il primo colpo di fortuna fu che riuscimmo simpatici l’uno all’altro. Cominciammo a ragionare su chi potesse essere il regista e io gli feci il nome di Stefano De Stefani che egli subito accettò. Dato che la direzione artistica era tutta di Eduardo, De Stefani si sarebbe dovuto limitare solo alla ripresa in studio di ciò che Eduardo suggeriva, si trattava insomma per De Stefani di un lavoro strettamente tecnico. Dopo due o tre incontri Eduardo mi comunicò che aveva numerosi impegni a Napoli e che avremmo potuto rivederci per fare il piano di produzione solo il 10 luglio.
«Dove ci vediamo?» domandai.
«Io, dal primo di luglio, me ne starò a Isca.»
Non avevo mai sentito nominare quel paese.
«Dov’è?»
«È un’isola di mia proprietà nell’arcipelago dei Galli, proprio di fronte a Positano.»
«E come ci si arriva?»
«Ci si arriva partendo dal paese più vicino all’isola che si chiama Nerano.»
«E a Nerano come ci si arriva?»
«Nerano attualmente è del tutto isolata, perché è franata la strada provinciale. Ci si arriva via mare, voi dovete prendere il vaporetto Napoli-Positano, scendete a Nerano e da lì qualcuno vi accompagnerà in barca fino all’isola.»
Il 9 di luglio andai a Napoli, mi recai al punto di partenza del vaporetto e chiesi un biglietto per Nerano. L’impiegato allo sportello, nel consegnarmelo, mi disse:
«Quando siete a bordo avvertite il comandante».
Appena salito un marinaio mi chiese il biglietto.
«Voi scendete a Nerano?»
«Sì.»
«Lo dirò al comandante.»
Io naturalmente ero in tenuta estiva, indossavo una camicetta a maniche corte, dei pantaloni leggeri e un paio di sandali e con me portavo la valigia con la biancheria di ricambio, avevo previsto di fermarmi per due giorni. Dopo un po’ che navigavamo e io ero incantato alla vista della Costiera, una voce all’altoparlante disse:
«Il viaggiatore che deve scendere a Nerano vada a poppa».
Presi la mia valigia e andai a poppa, contemporaneamente il vaporetto emise un lungo fischio fermandosi, io mi guardai attorno stupito: non vedevo altro che una spiaggia ampia, dorata sulla quale c’erano solo tre costruzioni, a destra una piccola baracca di legno, al centro un palazzo settecentesco a un piano pendente tutto da un lato perché metà era sprofondata nella sabbia, a sinistra montata su palafitte ci stava un’altra costruzione in legno sulla quale campeggiava a caratteri cubitali la scritta RISTORANTE. Intanto dalla riva si era staccata una barca con a bordo il barcaiolo, l’imbarcazione arrivò dopo dieci minuti sotto la poppa del vaporetto, venne buttato fuori una specie di scalandrone, il barcaiolo prese la mia valigia, io scesi, il barcaiolo cominciò a remare verso la riva e il vaporetto ripartì. Quando toccammo la sabbia io saltai giù e aiutai il barcaiolo a tirare la barca sulla spiaggia, egli ricambiò la cortesia.
«Vi accompagno all’albergo» disse prendendomi la valigia.
«Quanto vi devo?» domandai.
«Mille lire» rispose.
Mentre intascava il danaro gli chiesi:
«Ma l’albergo dov’è?».
Lui mi indicò il palazzo pencolante e mi disse:
«È quello».
Entrammo.
La hall consisteva in un vasto stanzone, il banco della reception era costituito da un grande tavolo nero di noce, dietro ci stavano dieci caselle numerate con le rispettive chiavi. Vidi così che le stanze dell’albergo erano dieci e che mancava solo la chiave della numero 1. La hall era completamente deserta, allora il barcaiolo si mise a gridare:
«Pasqua’! Pasqua’!».
Dopo un po’ una voce lontanissima rispose:
«Arrivo!».
Pasquale, un uomo grassoccio, con i pantaloncini corti, scalzo e con una camicia dalle maniche arrotolate, si mise dietro il tavolo e mi chiese i documenti, glieli detti e domandai:
«Ci sono stanze libere?».
«Tutte quelle che volete, ce n’è una sola occupata.»
«Quanto costa a sera?»
«Mille lire.»
Dissi che mi sarei trattenuto due, tre sere, Pasquale prese la valigia, la chiave della stanza numero 2, facemmo una breve rampa di scale e mi portò nella mia camera. Era semplicemente enorme, aveva un bagno privato, era arredata spartanamente ma non mancava nulla di ciò che serviva e inoltre era dotata di un balcone così ampio che pareva essere un terrazzo, il letto a due piazze era di ottone, una meraviglia. Era passato mezzogiorno, aprii la valigia, misi le mie cose in un armadio che risaliva per lo meno al Settecento e scesi in spiaggia. Non c’era anima viva, solo il barcaiolo se ne stava vicino alla capanna di legno, andai da lui.
«Volevo avvertirvi che oggi pomeriggio alle quattro devo andare a Isca a trovare Eduardo De Filippo, mi ci potete portare?»
«Non c’è problema.»
«E quanto costa?»
«Mille lire.»
Allora lentamente mi diressi verso il ristorante, attraversai una lunga passerella, anch’essa montata su palafitte, e vi entrai, ero il solo cliente.
«Che avete da mangiare?»
«Pasta alle vongole e per secondo tutto il pesce che volete» rispose il proprietario.
Mi venne un improvviso desiderio.
«Aragoste ne avete?»
«Venite con me» fu la risposta.
Lo seguii, attraversammo la cucina, uscimmo da una porticina posteriore. Ci trovammo su una piattaforma di legno alla fine della quale stava infisso un paletto di ferro dove era legata una grossa corda. L’uomo si chinò, cominciò a tirare su la corda, dopo un po’ venne alla superficie una nassa enorme che conteneva una decina di aragoste vive.
«Sceglietevene una» mi disse.
Io ne indicai una piuttosto grossa e lui aprì la nassa, la prese e la depose sul legno, io me ne tornai al mio posto. Pranzai divinamente, l’aragosta era squisita, alla fine ci bevvi su un caffè e un bicchiere di whisky.
«Quanto pago?»
«Mille lire.»
Tornai in albergo, mi riposai un pochino, poi alle tre e un quarto circa scesi in spiaggia, il barcaiolo mi aspettava. Salii e cominciò a vogare costeggiando, dopo circa mezz’ora o poco meno vidi ergersi in mezzo al mare un enorme scoglio di colore scuro, dalle pareti a strapiombo sul mare, pareva non esservi via di accesso per arrivare in cima. A questo punto, il barcaiolo si voltò verso di me e mi disse:
«Credo che Eduardo non ci sia nell’isola».
«Come fate a saperlo?»
Mi indicò un pennone che sorgeva sulla sommità dello scoglio.
«Non c’è la bandiera.»
«Che bandiera?»
«Quella italiana, no?»
«Comunque proviamo» dissi.
Il barcaiolo continuò a remare fin quando arrivammo a una piccola piattaforma di cemento dalla quale partiva una scalinata stretta e ripida scavata nella roccia.
«Io vado a vedere» annunciai al barcaiolo, «voi aspettatemi qua.»
Cominciai a salire.
La scala, dopo una ventina di gradini, faceva una curva e qui mi trovai la strada sbarrata da un uomo che se ne stava seduto su uno scalino, era un quarantenne tarchiato che indossava i soli pantaloni.
«Chi cercate?» mi chiese.
«Ho un appuntamento con Eduardo.»
«Purtroppo non c’è, è dovuto andare a Positano. Voi vi chiamate Camilleri?»
«Sì.»
«Allora mi ha detto di dirvi che vi aspetta domani pomeriggio alle quattro.»
Non mi restava altro che raggiungere nuovamente la barca e farmi riportare a Nerano. Una volta arrivati chiesi al barcaiolo:
«Quanto vi devo?».
«Mille lire.»
Per fortuna m’ero portato dei libri, così andai a distendermi sul mio letto e mi misi a leggere. Il silenzio attorno a me era assoluto, solo un leggero sottofondo di risacca accompagnava la mia lettura. Mentre me ne stavo sul letto cominciai a sentire tutto il mio corpo distendersi, i nervi sciogliersi, era una sensazione così deliziosa, così pacificante che chiusi gli occhi e mi addormentai senza nemmeno accorgermene.
Alle otto e mezzo di sera andai di nuovo al ristorante, ero sempre l’unico cliente, questa volta variai il menu, divorai una squisita insalata di pesce e appresso delle freschissime triglie fritte, quindi ordinai un whisky. C’era la televisione accesa ma mi dava fastidio, avevo notato che il whisky mi era stato servito da una bottiglia piena a metà, così chiesi al ristoratore:
«Mi può dare la bottiglia?».
«Come no!» e me la consegnò.
«Quanto pago?»
«Mille lire.»
Si erano fatte quasi le dieci di sera, disteso sulla spiaggia a guardare il cielo stellato mi scolai la mezza bottiglia, poi, verso la mezzanotte, tornai un po’ malfermo sulle gambe in albergo, mi spogliai, indossai il costume da bagno, ridiscesi e mi feci un lunga nuotata notturna. All’uscita dall’acqua mi resi conto che ero completamente ubriaco e non avevo nemmeno la forza di camminare, mi trascinai fino alla mia stanza e mi buttai sul letto col costume bagnato e senza nemmeno chiudere la porta.
Mi svegliai l’indomani mattina alle sette, fresco, riposatissimo, avevo voglia di cantare senonché mi resi subito conto di qualcosa di strano. Ricordavo, sia pure abbastanza confusamente, che mi ero coricato sopra il lenzuolo e col costume da bagno: ebbene, mi ero svegliato nudo, senza costume e sotto il lenzuolo. Pensai che probabilmente nel sonno il costume mi aveva dato fastidio quindi me l’ero tolto e mi ero messo sotto il lenzuolo. Però alzandomi notai che il mio costume se ne stava appeso con una molletta alla ringhiera del balcone, non ricordavo assolutamente di averlo fatto perciò indossai un paio di mutande e mi affacciai cautamente. La spiaggia era deserta, non c’era nemmeno il barcaiolo con la sua barca, però sentii una voce femminile.
«Buongiorno, ben alzato.»
Guardai meglio, in mare vicino alla riva, ci stava una donna della quale vedevo solo la testa. Dissi:
«Se state ancora dieci minuti in acqua vi raggiungo».
«Vi aspetto.»
Presi il costume, l’indossai e scesi in spiaggia. Cominciai a nuotare verso di lei, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Esercizi di memoria
  4. Le ceneri di Pirandello
  5. Vincenzo Cardarelli
  6. L’ingegnere “Comerdione”
  7. La sostituzione
  8. La casa di campagna
  9. Incontro coi briganti
  10. Serbati Angelo
  11. Il circo Pianella
  12. Tarantella su un piede solo
  13. L’edicolante napoletano
  14. Con Eduardo
  15. La fortuna
  16. Borg Pisani
  17. Il gatto milionario
  18. Luciano Liggio
  19. Il Paradiso a mille lire
  20. I miei premi
  21. Pietro Sharoff
  22. Con Antonioni
  23. La cura perfetta
  24. La montagna e io
  25. Il commissario Camilleri
  26. La Bellezza intravista
  27. Indice