Dizionario delle sentenze latine e greche
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Dizionario delle sentenze latine e greche

  1. 1,818 pagine
  2. Italian
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Dizionario delle sentenze latine e greche

Informazioni su questo libro

Paese che vai, proverbio che trovi? Eppure i motti che tornano tanto spesso nel nostro parlare sono presenti in tutta Europa, dalla penisola iberica agli Urali. E in questa grande summa che raccoglie 2286 tra proverbi, motti e citazioni, Renzo Tosi traccia una mappa dell'incredibile ramificazione culturale che la tradizione antica ha subito attraverso le massime. Dalla cultura greco-latina alla tradizione cristiana, dagli autori del Medioevo a quelli del Rinascimento, seguiamo questa evoluzione attraverso il commento che accompagna ogni sentenza, e che, come un filo rosso, permette al lettore di scoprirne finalmente le origini, i significati e la trasmissione. Una storia delle idee, che ci permette di imparare quanto il nostro patrimonio di immagini deve alla cultura classica. Con l'aggiunta di nuove voci e di un corposo apparato di indici, che consente di orientarsi facilmente nella raccolta, questo testo non è solo un prezioso repertorio organizzato con coerenza tematica, ma anche uno strumento spesso sorprendente per riscoprire in modo inedito le radici della nostra identità culturale.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
Print ISBN
9788817095037
eBook ISBN
9788858690208

I RAPPORTI CON GLI ALTRI

a) La chiusura nei confronti degli altri, l’inimicizia, l’invidia

1651. Nec scire utrum sis albus an ater homo
Non sapere se sei bianco o nero
Così si esprime Catullo (93,2) nei confronti di Cesare, mostrando un completo disinteresse: un atteggiamento clamoroso, che Quintiliano (11,1,38) definì poi insania, «follia». L’espressione, che va forse collegata alla tradizionale contrapposizione fra bianco e nero, simbolo di quella fra bene e male (cfr. ad es., in latino, Giovenale, 3,30, scolio a Persio, 1,110), è, come rileva Porfirione nel commento a Orazio, Epistole, 2,2,189, sicuramente proverbiale, e ritorna, con la stessa valenza, in vari autori: ad es., in Cicerone (Filippiche, 2,16,41), Fedro (3,15,10), Apuleio (De magia, 16), san Girolamo (Adversus Helvidium, 16, PL 23,200b), e anche in Plauto (Pseudolus, 1196) si legge Quem ego hominem nullius coloris novi col significato di «di lui non so quale sia il colore», cioè «di lui non so nulla di preciso». Il verso catulliano era spesso citato da Zwingli (a quanto riferisce Melchior Adam, Vitae Germanorum Theologorum, Heidelberg 1620, 43), e il topos fu analizzato da Erasmo negli Adagia (1,6,99). Attualmente, nell’italiano popolare, Non minteressa se sia nero o bianco allude al «colore» politico di una persona (quindi si ha spesso anche il rosso), mentre a livello letterario un parallelo va forse ravvisato in un passo de Il vento fra le case di Bonaventura Tecchi (Roma 1946, 53): Bianco o nero, in quel momento poco importava, questa doveva essere limmagine delleterno. Ricordo infine che ogni cittadino deve presentarsi per quello che veramente è, perché due sono le tinte, il bianco e il nero era un motto di David Lazzaretti (cfr. A. Petacco, Il profeta dellAmiata, Milano 1978, 93).
1652. Πϱάττων τὰ σαυτoῦ, μὴ τὰ τῶν ἄλλων φϱóνɛι
Fa’ gli affari tuoi, non preoccuparti di quelli degli altri
È questo un monostico di Menandro (629 Jäkel); un altro (653) recita: πoλυπϱαγμoνɛῖν τἀλλóτϱια μὴ βoύλoυ ϰαϰά, «non darti molto da fare per i mali altrui». L’imperativo μὴ πoλυπϱαγμóνɛι, «non darti molto da fare» si ha in Ferecrate, fr. 163,2 K.-A. (si noti che nell’Atene del V secolo il verbo πoλυπϱαγμoνɛῖν assume una valenza tecnica, indicando la politica dinamica dei democratici), e in un adagio registrato nella cosiddetta Mantissa proverbiorum (2,8); molto simile è poi lo σϰoπέɛιν τινὰ τὰ ἑωυτoῦ, «guardare le proprie cose», di Erodoto (1,8), dove però accanto alla nostra valenza ne esiste anche una realistica: si tratta della risposta di Gige a Candaule che lo invitava a guardare sua moglie nuda; per il τὰ σαυτoῦ πϱάττɛιν si vedano inoltre Pseudo-Anassimene, Ars rhetorica, 38,7, e Giovanni Crisostomo, In Epistulam I ad Timotheum, PG 62,532. Non mancano – con varie sfumature – paralleli nella letteratura latina, innanzi tutto nella commedia (Plauto, Miles gloriosus, 994, Stichus, 320 [Tua quod nihil refert ne cures, «non preoccuparti di ciò che non ti riguarda!»], Terenzio, Heautontimoroumenos, 75 s., Hecyra, 810 [Tua quod nil refert percontari desine, «smetti di impicciarti di ciò che non ti riguarda!»]), poi in Orazio (Sat. 2,3,19 s.) e in Seneca (Ep. 70,10; 118,2). Va inoltre citato un luogo dell’Antico Testamento (Siracide, 3,24) in cui si invita a non essere indebitamente curiosi. Tra le sentenze medievali sono citate le lapidarie espressioni di Terenzio (Walther 31769) e di Plauto (31770), nonché altre simili formulazioni (ad es. Quod te non tangat hoc te nullatenus angat, «ciò che non ti tocca non ti angusti in nessun modo» [26067: si noti la paronomasia tangat/angat; cfr. anche 26066; 29281]). Una certa notorietà ha anche il motto Noli curare aliena negotia!, «non badare ai fatti altrui!», perfetto corrispondente di μὴ τὰ τῶν ἄλλων φϱóνɛι: curare aliena negotia era peraltro espressione diffusa, soprattutto grazie a un passo oraziano (Sat., 2,3,19 s. aliena negotia curo / excussis propriis, «privato dei miei affari, mi occupo di quelli degli altri»), citato ad es. da Bruno di Colonia (PL 153,408a), Wernerus Sancti Blasii (Libri deflorationum, PL 157, 1138a), Hildebertus Cenomanensis (Sermones, PL 171,345b), Giovanni da Salisbury (Policratico, PL 199,389c e all’inizio di una lettera a Balduinus Exoniensis), Petrus Cantor (Verbum abbreviatum, PL 205,223c; 401b), Innocenzo III (Regesta sive Epistulae, PL 214,997c), fino al secentista Caspar Barlaeus (Ep. 413, a Pieter Corneliszoon Hooft); notevole è poi che essa tradizionalmente si trovasse nel commento a un luogo della Seconda epistola ai Tessalonicesi (3,6), cfr. ad es. Walahfridus Strabo, PL 114,624a, Herveus Burgidolensis, PL 181,1399c, Pietro Lombardo, PL 192,324b, Petrus Cantor, PL 205,154a. Un’altra espressione latina registrata in varie raccolte è Ne depugnas in alieno negotio!, «non combattere fortemente in un affare altrui!»; nelle tradizioni proverbiali moderne, va ricordato il tedesco Was deines Amtes nicht ist, da lass deinen Vorwitz (cioè: «non essere saccente, impertinente nelle cose che non ti riguardano»), e si deve segnalare che il motivo è spesso ripreso con immagini espressive, come ad es. nei nostri Il fuoco che non mi scalda non voglio che mi scotti e Di quel che non ti cale non dir né ben né male (varianti dialettali in Schwamenthal-Straniero 2210), e nel tedesco Was dich nicht brennt, söllst du nicht löschen (cioè: «non spegnere ciò che non ti brucia»). Nei dialetti italiani è ovviamente frequente il corrispettivo di Fatti i fatti tuoi (cfr. Zeppini Bolelli 78): particolarmente divertenti mi paiono il campano Fatti fatti tuoi e trova chi tè ffa fà (cioè: «e trova chi te li fa fare») e il lombardo Besogna minga cascià el nas dove no pertocca (cioè: «non bisogna ficcare il naso in cose che non riguardano»). Imparentato, ma non uguale è Chacun pour soi, Dieu pour tous, che ha corrispettivi in tutte le lingue europee (cfr. Mota 61, Lacerda-Abreu 53, Schwamenthal-Straniero 4027; Every man for himself and God for us all è presente nella silloge di proverbi di John Heywood [1,11,1546]), ed è riusato ad es. da J.P. Sartre (La mort dans lâme, Paris 1949, 140), ma che indica sì che ognuno deve badare a sé ma anche e soprattutto che non bisogna fidarsi dell’aiuto altrui (come l’italiano Chi fa da sé fa per tre).
1653. In camera caritatis
Nella camera della carità
La locuzione, di origine medievale, indica, con camera, il luogo ove si esercita il potere, e, con caritatis, comprensione e un atteggiamento del tutto opposto all’inflessibilità della legge. Essa è tuttora usata per rimproveri e ammonizioni dati in segreto, con spirito di amicizia, o per qualsiasi cosa – come una notizia o una confidenza – che venga detta fra poche persone e che non debba essere propagata. È comune soprattutto in ambito italiano, dove compare anche a livello letterario (ad es. in E. De Marchi, Arabella, 4, Demetrio Pianelli, 6, e in Pirandello, ’A Patenti, 2).
1654. Inter nos
Tra di noi
La locuzione, già classica (per le attestazioni si veda ThlL 7/1,2143,53-2144,3), è ampiamente usata a indicare confidenza e segretezza: tale senso, infatti, è in essa decisamente accentuato rispetto alla corrispettiva italiana. A testimonianza della sua diffusione sta ad es. il fatto che così si chiama una nota galleria d’arte milanese.
1655. Sapiens ... secum est
Il saggio sta in se stesso
L’espressione è desunta da Seneca (Ep. 9,13), e indica non l’evitare la vita pubblica, come il λάθɛ βιῶσας (n. 1317), ma una profonda compenetrazione di se stessi, che – lungi dall’esplicitarsi in un aristocratico diniego degli altri – è invece la base per un genuino e sincero rapporto col prossimo. Si tratta di un topos di derivazione stoica e diffuso nella filosofia romana: si vedano ad es. Cicerone, De senectute, 14,49, Orazio, Sat. 2,3,324; 2,7,112, Persio, 1,7; 4,52, e ancora un luogo delle Epistulae ad Lucilium (2,1) dove il Secum morari, «fermarsi in se stessi», diventa il primo elemento di una mente quadrata. Quanto ai precedenti greci, già Aristotele nell’Etica Nicomachea (9,4 [1166a]) faceva derivare l’amicizia per gli altri da quella per se stessi, mentre in Menandro (fr. 869 K.-A., cfr. Monostici, 775 Jäkel) si legge: τoῦτ’ ἔστι τò ζῆν, oὐχ ἑαυτῷ ζῆν μóνoν, «vivere consiste nel non vivere solo per se stessi» (dove, però, per quanto si può intuire, si tratta dell’egoistico vivere solo per sé e non del filosofico compenetrare se stessi). In sant’Ambrogio (De virginibus, 2,2,9) si dice della purezza di Maria nullo meliore custode quam se ipsa, «di cui non c’era miglior custode di lei stessa»; in ambito medievale abbiamo Sapiens a seipso pendet, «il saggio dipende da se stesso» (Walther 27511a), e varie riprese (ad es. negli Atti di san Giovanni Gualberto [267, PL 146,315a]); i proverbi moderni che riprendono il motivo lo banalizzano: si veda ad es. il tedesco Haltund suchdich in deiner Haut.
1656. Accedo nemini
Non m’accordo con nessuno
L’espressione, ora nota soprattutto in ambito tedesco col valore di «non m’accordo con nessuno», ha la sua radice nel rituale del conclave per l’elezione del papa, dove accessus indica la votazione. Con la formula Accedo Domino Cardinali un elettore dichiara di cambiare il voto precedente, mentre con Accedo nemini afferma che la sua scelta rimane invariata.
1657. Nescio vos
Non vi conosco
L’espressione è ora usata per indicare un netto rifiuto, un atteggiamento di assoluta chiusura nei confronti dell’interlocutore. Essa riprende, in particolare, un famoso passo evangelico (Matteo, 25,12), dove le vergini stolte che non hanno tenuto accesa la loro lampada si sentono rispondere questo dallo sposo, quando torna e si accorge della loro imprevidenza: tale luogo è spesso esplicitamente citato (cfr. ad es. sant’Agostino, Contra Manichaeos, 33,2, san Bernardo da Chiaravalle, Sermo de fugienda cordis et corporis immunditia, 12,1110b, Guerricus Igniacensis, Sermones, 5,2,80, Pelbarto di Themesvar, Pomerium de sanctis. Pars aestivalis, 15, Albertano da Brescia, Sermones,1; Tommaso Cantipratano, Vita de Sancta Christina, 55, Piers Plowman, 5,2,24, un sermone di Lancelot Andrewes pronunciato il 4 marzo 1598). Oltre a questo, tale perentoria risposta si ha in altri due passi della Sacra Scrittura; il primo deriva dal Vangelo di Luca (13,25), in cui Cristo sulla via di Gerusalemme parla della porta stretta attraverso cui si accede alla salvezza, e del fatto che molti saranno esclusi (Cum autem intraverit pater familias et clauserit ostium et incipietis foris stare et pulsare ostium dicentes «Domine, aperi nobis» et respondens dicet vobis «Nescio vos», «quando entrerà il padrone di casa e chiuderà la porta e voi inizierete a stare fuori, a bussare alla porta dicendo “Signore, aprici” e rispondendovi egli dirà “Non vi conosco”»); anch’esso è talora con tutta evidenza richiamato (cfr. ad es. Erasmo, Colloquia familiaria. Exequiae seraphicae, Roberto Bellarmino, De aeterna felicitate sanctorum, 3,6, Voltaire, Dictionnaire philosophique, s.v. Enfer). Un terzo luogo è del Deuteronomio (33,9), in cui si legge Qui dixit patri suo et matri suae «Nescio vos», «chi ha detto a suo padre e a sua madre “Non vi conosco”», talora (cfr. ad es. san Tommaso d’Aquino, Expositio in Matthaeum, 10,14, cfr. anche Summa Theologiae, 2,2,101,4) ripreso per spiegare il passo di Matteo (10,35), in cui Cristo afferma di essere venuto per dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre. A parte gli espliciti richiami a questi loci classici, l’espressione ritorna a sé stante, e vive di vita autonoma, fin dai primi autori cristiani (cfr. ad es. sant’Agostino, Contra ad...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Bibliografia
  5. Premessa alla prima edizione
  6. DIZIONARIO DELLE SENTENZE LATINE E GRECHE
  7. I MODI DEL COMUNICARE
  8. L’UOMO: INDOLE NATURALE E ABILITÀ TECNICA
  9. LE APPARENZE E GLI INGANNI
  10. LA CONOSCENZA, L’EDUCAZIONE, GLI AMMAESTRAMENTI
  11. LA STOLTEZZA E LE AZIONI INUTILI
  12. IL RELATIVISMO DELLA VITA UMANA, I SUOI LIMITI E I SUOI CONDIZIONAMENTI
  13. I MOMENTI E LE FASI DELLA VITA FISICA
  14. IL MONDO E LA VITA FISICA
  15. LO SVOLGERSI DELLE VICENDE, I CAMBIAMENTI E LE ALTERNE SORTI
  16. LE SPERANZE, I DESIDERI, GLI OBIETTIVI E LA DETERMINAZIONE
  17. LA DIMENSIONE POLITICA: CITTADINI E GOVERNANTI
  18. LA GIUSTIZIA E LA LEGGE
  19. L’AGGRESSIVITÀ, LA PACE E LA GUERRA
  20. I RAPPORTI CON GLI ALTRI
  21. LA DONNA, L’AMORE, IL MATRIMONIO
  22. LA RELIGIONE E I RAPPORTI CON LA DIVINITÀ
  23. I PERICOLI E I MODI DI AFFRONTARLI
  24. DIFFICOLTÀ, MALI E DOLORI
  25. VIRTÙ, ECCESSI E MODERAZIONE
  26. LE CONDIZIONI ECONOMICHE
  27. Copyright